Coinvolgimenti plurali riguardo l’ambiente

Coinvolgimenti plurali riguardo l’ambiente, di Laurent Thévenot. Intervista di Laura Gherardi

Autore

Laurent Thévenot

Data

14 Settembre 2023

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14 Settembre 2023

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Ambiente

Sociologia

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La Natura come limite

«L’ambiente è ciò che abbiamo  di più prossimo. Ma è anche ciò che abbiamo di più globale»

Agosto 2012 – Laurent Thévenot è Direttore di Ricerca all’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi. Sociologo, statistico, è uno dei fondatori della svolta pragmatica in sociologia e dei primi membri del GSPM (Groupe de Sociologie Politique et Morale). A fine anni ’70 del secolo scorso, ha mosso i primi passi nella disciplina nel gruppo di Pierre Bourdieu, per poi segnare una rottura con la teoria di quest’ultimo, insieme a Luc Boltanski, nota come passaggio dalla sociologia critica alla sociologia della critica. Ovvero, una sociologia che si occupa delle capacità critiche degli attori sociali, nelle situazioni pratiche di conflitto in cui essi cercano delle basi legittime per le proprie argomentazioni che possano generalizzarne l’interesse in riferimento a un bene comune (grandezza). In particolare, questa prospettiva emerge in De la Justification, scritto con Boltanski1, in cui dall’analisi delle critiche e delle giustificazioni avanzate nei conflitti quotidiani emergono sei mondi comuni, caratterizzati ognuno dal riferimento a una peculiare forma di grandezza2.

Nel mondo mercantile, la grandezza è il prezzo su un mercato concorrenziale; nel mondo industriale la grandezza è data dall’efficacia tecnica; nel mondo civico, la grandezza è espressa dalla solidarietà collettiva in vista dell’uguaglianza; nel mondo domestico  è basata sulla tradizione; nel mondo dell’opinione sulla notorietà; infine, nel mondo dell’ispirazione, la grandezza è data dall’idea illuminante3. A questi mondi, Thévenot aggiunge, qualche anno più tardi, quello verde4– i  cui valori sono salute, unicità, ecologia – ripreso estesamente in Rethinking  Comparative Cultural Sociology (con M. Lamont)5.

In questo testo, l’ambiente figura tra gli ambiti della ricerca comparativa avanzata in Francia e negli Stati Uniti su conflitti riguardanti temi caldi, come il razzismo, gli scandali sull’arte contemporanea, il valore di un libro, l’oggettività giornalistica e le molestie sessuali. Riguardo all’ambiente, vengono qui ripercorse e analizzate le argomentazioni, avanzate in Francia e in America, di sostenitori e oppositori di due progetti infrastrutturali – l’uno, in Francia, riguardante la costruzione del tunnel del Somport, l’altro, in California, riguardante la proposta di edificazione di una diga sul Clavey River. Tali argomentazioni, originate da un conflitto di natura ambientale, hanno una portata ampia, che tocca i temi della comunità, degli interessi condivisi, della democrazia e del bene comune. Questa ricerca – e, in particolare, al suo interno,  l’esperienza degli indiani Me-Wuk, descritta nell’intervista che segue – ha  portato Thévenot a interrogarsi sulle condizioni del riconoscimento di un problema ambientale territorialmente circoscritto come issue di rilevanza  pubblica nazionale e internazionale. Più in profondità, lo ha portato a distinguere diversi «regimi di coinvolgimento» – in L’Action au Pluriel6–, che  sono rapporti con gli altri e con il mondo, dal personale-vicino al pubblico impersonale, da cui dipendono altrettante forme di agency da parte degli  attori sociali, a seconda della loro prossimità, in questo caso rispetto a un luogo. L’ambiente è, infatti, contemporaneamente ciò che rileva del più  prossimo – fino a essere un’estensione del corpo di chi è familiare con un  luogo – e del più globale7

Come nasce il suo interesse per il tema dell’ambiente? 

All’inizio è stata la teoria a portare il mio interesse sul mondo delle cose  e dei viventi non umani. Quando ho scritto De la Justification, con Luc Boltanski, sono stato influenzato dalla lettura di Bruno Latour, che pure aveva una prospettiva diversa dalla nostra. Il suo tema era, allora, la distinzione tra umano e non umano, anche lui si interrogava sul posto dell’uomo nell’ambiente che lo circonda. Mentre nelle filosofie politiche classiche, ma  anche nella sociologia classica – ad esempio, in Pierre Bourdieu rispetto al quale De la Justification ha marcato un distacco – hanno importanza quasi unicamente le interazioni tra uomini, noi abbiamo proposto un’apertura all’ambiente materiale in cui l’uomo è immerso. La sociologia di Bourdieu, dicevo, che avevo conosciuto all’EHESS tramite Alain Desrosière, non prendeva in considerazione l’ambiente, mentre Boltanski e io volevamo studiare un mondo in cui non rientrano solo gli esseri umani, ma anche la dimensione materiale, cose viventi e non viventi. E in ognuno dei mondi di De la Justification la natura è messa in valore in modo diverso: come bene mercantile (per accedervi) nel mondo mercantile, come risorsa a uso industriale in quello industriale, come spazio pubblico accessibile in egual modo a tutti nel mondo civico, come eredità che costituisce un patrimonio nel mondo domestico, in veste di posti spettacolari e celebri nel mondo dell’opinione e come luogo che suscita forti emozioni nel mondo dell’ispirazione. Ma a questo sono arrivato solo dopo la ricerca con  Lamont.

È la ricerca sui temi conflittuali che ha dato origine a Rethinking Comparative  Cultural Sociology? 

Sì, si è trattato di una ricerca comparativa con équipe di lavoro miste, francesi e americane. Con Lafaye avevo già scritto un articolo sulla possibilità di un mondo ulteriore, rispetto ai sei individuati, che faceva leva sul valore ecologico, che nella nostra teoria è la grandezza «verde»8 e, nel libro  che ha citato, mi sono occupato, con altri, di due progetti infrastrutturali: il caso francese, che ha visto un ampio dibattito mediatico, era quello del tunnel Somport, che collega Francia e Spagna attraversando i Pirenei, per fare un asse di comunicazione rapida europea. Data la sua ampiezza, il caso richiamava tutti i valori9 e, in senso opposto, è anche vero che l’ambiente si integra in tutte le valutazioni pubbliche – ovvero in tutti i modi in  cui, in seno a un conflitto, si critica la posizione altrui e si giustifica la propria secondo giudizi che possono essere accettati da terzi. 

Mi aveva accennato ad un’ulteriore tappa nella sua riflessione sull’ambiente, nello  specifico sull’ambiente naturale. La terza tappa ha avuto inizio durante l’avventura della ricerca nel con testo americano. Il caso americano era quello della proposta di costruire  una diga sul Clavey River, uno dei fiumi più selvaggi della California. Gli  americani avevano molta più esperienza di noi europei riguardo i conflitti  ambientali: là vi erano addirittura manuali del tipo How to Save Your River,  rivolti agli abitanti di un luogo minacciato dalla costruzione di un’infrastruttura. Questi manuali, che contenevano argomentazioni, strategie, prove da  portare, a uso degli abitanti di un luogo minacciato, avevano in comune il  suggerimento di cercare nativi indigeni nei confronti dei quali il progetto po tesse costituire una violazione. Ci siamo, dunque, accorti che tra gli oppositori al progetto della diga sul Clavey vi erano gli indiani della tribù nomade Me-Wuk, il cui territorio di caccia e di raccolta delle piante taumaturgiche  sarebbe stato ricoperto dalle acque. Quindi, vado a visitare la riserva con  Michael Moody, dottorando americano con cui lavoravo, e – grande delusione! – mi ritrovo in un lotto di case. Mi riceve una donna in jeans, che ci  era stata presentata come una delle ultime raccoglitrici delle erbe. Ci mostra – altra sorpresa! – un book di fotografie delle piante che lei raccoglie va, scattate dai rangers. Mi è sembrato un «formato» di presentazione della  sua conoscenza e del suo sapere molto pubblico10 dunque distante dalla  sua esperienza familiare di raccoglitrice. Il «formato», infatti, varia sensibilmente a seconda dei regimi, formale per il pubblico, richiede invece indizi personali nella prossimità. Infatti, la donna ci ha presto detto: «Non potete  comprendere se non venite con me sui luoghi in cui raccolgo le piante!». 

Quindi siete andati con lei sulle rive del fiume? 

Con la sua quattro per quattro! Il punto è che, una volta là, ci siamo  avventurati nella vegetazione, ma noi non vedevamo ciò che lei vedeva, per  noi ciò che guardava era invisibile. Per me c’erano alberi, muschio, non riuscivo a comprendere la sua esperienza personale nel luogo in cui cercava  le piante, perché quel luogo era familiare per lei, ma non per noi. E questo,  insieme al contrasto tra le foto – che erano un mezzo di comunicazione al  pubblico – e la sua esperienza familiare del luogo, ha contribuito a ri-orientare tutta la mia riflessione verso i regimi di coinvolgimento. Quella donna  voleva farci condividere l’emozione che provava in quel luogo e per quel luogo, farci comprendere cosa la toccasse emotivamente. E le persone che vivono in un luogo, o che hanno verso esso una forma di attaccamento, sono sempre toccate da vicino dalle questioni ambientali che le riguarda no. L’ambiente è ciò che abbiamo di più prossimo. Ma è anche ciò che abbiamo di più globale, perché si estende al pianeta intero. Questa tensione tra prossimo e globale pone dei problemi peculiari alla mobilitazione politica attorno alle questioni ambientali.

Per esempio? 

Per esempio, prendiamo il caso francese di cui abbiamo parlato, il Somport. A sostegno della causa, durante la manifestazione contro la costruzione del tunnel, erano arrivati sul luogo dei militanti da diversi paesi, tra i quali degli ecologisti olandesi. Gli abitanti del posto – i bearnesi –, che ne  avevano un’esperienza molto familiare, dicevano che gli olandesi, come gli altri non residenti, non potevano insomma comprendere cosa significasse per loro la costruzione di quel tunnel. Questa è una costante strutturale nei conflitti ambientali. Occorre articolare il nesso tra la questione locale e quella globale. La questione diventa sempre: come integrare una caratterizzazione molto ampia della causa con una caratterizzazione molto personale? I conflitti ambientali hanno bisogno, come punto di appoggio, di un approccio intimo, sono tutt’altro che mera riflessività pura e universale. Dunque, occorre, in qualche modo, fare sperimentare il luogo a chi non ne ha un’esperienza intima. Altro esempio, questa volta personale: da piccolo, i miei genitori mi portavano sempre a sciare in un paesino di montagna. Era il momento dei grandi progetti di sbarramento idroelettrico e ricordo il mio sgomento quando ho visto il villaggio sotto assedio: quando siamo nel familiare, l’aggressione al nostro ambiente, che è un’estensione del corpo, diventa quasi una violenza fisica. 

La teoria dei mondi e delle grandezze plurali ha avuto un’applicazione pratica anche  nelle convenzioni di qualità dei prodotti, per individuare le quali lei è stato contattato dall’Istituto Nazionale di Ricerca Agronomica (INRA). Sì, mi hanno contattato perché serviva loro la formulazione di una critica  del modello produttivista di sfruttamento della natura, in difesa della plura lità delle forme di valorizzazione della qualità dei prodotti agro-alimentari11.

La differenziazione dei mondi, dunque delle grandezze, permette di distinguere delle convenzioni di qualità, per esempio: nel mondo industriale ri entrano i prodotti affidabili, nel civico quelli equi e solidali, nel domestico i prodotti tradizionali. Le convenzioni di qualità dei prodotti – espressione  che viene dalla «economia delle convenzioni», la branca dell’economia istituzionalista a cui abbiamo dato origine – sono un tema molto sviluppato  dal Genio rurale, dopo che il problema ambientale ha portato un altro  corpo tecnico di Stato [Ponts et chaussées] ad aprirsi alla sociologia e all’ambiente. Ho iniziato a lavorare con il Genio rurale e l’INRA nel campo agro ambientale, svolgendo ricerche su questioni di produzione, per esempio  sul tema dell’AOC [equivalente dell’italiano DOC]. Un piccolo esempio  nell’esempio: l’Unione Europea minacciava la sparizione di alcuni prodotti a denominazione di origine controllata, fatti artigianalmente in Corsica, di origine suina, a causa della loro non conformità rispetto alle norme  igieniche comunitarie e in quanto ostacolo alla concorrenza. Il problema,  allora, era quello di mettere in valore l’AOC corso e con esso la protezione di arti tradizionali di produzione, dunque di mestieri, di paesaggi e  di ecosistemi. Altro piccolo esempio: il camembert, il famoso formaggio  prodotto in Francia, che nel 1950 era quasi ovunque fatto interamente a  mano. Ho condotto un’analisi statistica e qualitativa dei dati riguardanti  tutti gli attuali produttori di camembert, restituendone una cartografia  che metteva assieme tutte le sfumature della combinazione tra artigianale  e industriale, che è anche una mappa delle innovazioni nel settore. Più in  generale, i prodotti a denominazione di origine controllata, sono stati, in  Francia, una fonte di rilancio regionale e locale, perché hanno mobilitato  gli attori locali attorno all’immagine dei prodotti stessi. In particolare  dagli anni ’90, è stata in gran parte la qualità dei prodotti ad articolare,  in Francia, storia politica, questione ambientale e movimento della regionalizzazione. Retrospettivamente, l’agro-alimentare, in Francia, è stato  il settore più favorevole per le riflessioni sulle riforme della democrazia,  perché ha declinato, prima di altri ambiti, la questione delle innovazioni  sulla concertazione in senso partecipativo. Dunque, sulle riforme della democrazia nel senso di partecipazione ampia e di allargamento degli attori coinvolti.

In quali circostanze i conflitti ambientali possono, quindi, trovare soluzioni armoniose? 

Occorre che la partecipazione degli attori sociali toccati dal problema sia organizzata in modo da poter confrontare la pluralità dei diversi modi  di valorizzazione dell’ambiente, cosicché l’accento non sia posto solo sul la grandezza industriale e mercantile12. Ad esempio, nel caso del Clavey River, i difensori del fiume che si opponevano al progetto della diga avevano costituito un insieme di organismi ognuno centrato su una specifica grandezza, in cui certo l’ambiente aveva il ruolo di protagonista. Vi era una struttura che organizzava visite di personaggi celebri di San Francisco sulle rive del fiume – e che rientrava nel mondo dell’opinione –, un altro costituito sulla base della previsione di un prezzo, per l’energia idroelettrica, superiore a quello dell’energia derivante da una centrale a gas che avrebbe  potuto costituire un’alternativa, e così di seguito per ognuno dei sei mondi. La soluzione ai conflitti ambientali va cercata in un compromesso – non nel senso di compromissione, né in senso monetario – inteso come compatibilità delle diverse grandezze che si rivelano, in questo, uno strumento estremamente utile. 


Fonte/Testo originale: Laurent Thévenot ‘Coinvolgimenti plurali riguardo l’ambiente’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 2, agosto 2012, Il Mulino.

Note

  1. L. Boltanski e L. Thévenot, De la Justification, Paris, Gallimard, 1990.
  2. Vedi: V. Borghi e T. Vitale, Convenzioni, economia morale e  analisi sociologica, in V. Borghi e T. Vitale (a cura di), Le convenzioni del lavoro, il lavoro delle convenzioni, in «Sociologia del Lavoro», n. 104, 2006 e il secondo capitolo di L. Centemeri, Ritorno a Seveso. Il danno ambientale, il suo riconoscimento, la sua riparazione, Milano, Bruno Mondadori, 2006.
  3. L. Thévenot, Autorità e poteri alla prova della critica. L’oppressione del governo orientato all’obiettivo, in  «Rassegna Italiana di Sociologia», n. 4, 2006, pp. 627-660 (trad. di N. Giusti e L. Centemeri).
  4. L. Thévenot e C. Lafaye, Une justification écologique? Conflits dans l’aménagement de la nature, in «Revue Française de Sociologie, vol. 34, 1993, pp. 495-524.
  5. L. Thévenot, L. Moody e C. Lafaye, Forms of Valuing Nature: Arguments and Modes of Justification in  French and American Environmental Disputes, in M. Lamont e L. Thévenot (a cura di), Rethinking Compa rative Cultural Sociology: Repertoires of Evaluation in France and the United States, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, pp. 229-272.
  6. L. Thévenot, L’Action au Pluriel. Sociologie des régimes d’engagement, Paris, La Découverte, 2006
  7. Id., Organizzazione e potere. Pluralismo critico dei regimi di coinvolgimento, in V. Borghi e T. Vitale (a  cura di), Le convenzioni del lavoro, il lavoro delle convenzioni, in «Sociologia del Lavoro», n. 104, 2006, pp.  86-104 (trad. di T. Vitale).
  8.  Vedi nota 2.
  9.  D. Stark, Appello per una sociologia della grandezza, in V. Borghi e T. Vitale (a cura di), Le convenzioni  del lavoro, il lavoro delle convenzioni, in «Sociologia del Lavoro», n. 104, 2006 (trad. di T. Vitale).
  10. L. Thévenot, The Plurality of Cognitive Formats and Engagements: Moving between the Familiar and the Public, in «European Journal of Social Theory», vol. 10, n. 3, agosto, 2007, pp. 413-427.
  11. L. Thévenot, F. Eymard-Duvernay, O. Favereau, A. Orléan e R. Salais, Valori, coordinamento e  razionalità: il programma di ricerca dell’Economia delle convenzioni, in V. Borghi e T. Vitale (a cura di), Le convenzioni del lavoro, il lavoro delle convenzioni, in «Sociologia del Lavoro», n. 102, 2007 (trad. di L.  Boschetti).
  12. Riguardo ai dispositivi di partecipazione aperta al compromesso tra la pluralità delle gran dezze, e l’apprendimento attraverso un gioco, vedi: A. Richard-Ferroudji e O. Barreteau, Assembling  Different Forms of Knowledge for Participative Water Management – Insights from the Concert’eau Game, in C.  Claeys e M. Jacqué, Environmental Democracy Facing Uncertainty, Bruxelles, Peter Lang, 2001.
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