Quella che oggi chiamiamo ‘ecologia politica’ ha molti precursori: per limitarci agli anni 1970, pensiamo ad André Gorz, Ivan Illich, Hans Jonas, Murray Bookchin o ancora Cornelius Castoriadis. Alla maggior parte di loro era già chiaro che l’emancipazione dal sistema tecnico-produttivo deve essere pensata come questione che coinvolge l’intera sfera politica e sociale. Non tutti questi autori, però, erano stati in grado di rifuggire da certe tentazioni tecnocratiche, le stesse che vediamo riemergere oggi.
Pensiamo appunto ad Hans Jonas. Rivisitando i precetti della morale kantiana il filosofo tedesco aveva concepito un ‘principio responsabilità’ che impone agli esseri umani di oggi di preservare le condizioni di vita per l’umanità di domani. In questo modo l’etica jonasiana della responsabilità assegna alla politica dei compiti indiscutibili di azione ecologica e prevede persino, con rammarico, lo scenario autoritario eventualmente necessario per farli rispettare. L’etica pre-politica di Jonas rompe quindi solo in apparenza con l’irrazionalità tecno-scientifica contemporanea, in quanto delega precisamente alla tecnica il compito di controllare gli effetti della tecnica.
Per Cornelius Castoriadis, invece, la questione ecologica è inseparabile dalla questione dell’autogoverno: parlare di ecologia significa parlare nello stesso tempo di democrazia. Promuovere una tutela esperta che ponga fine all’anarchia dei comportamenti antiecologici, secondo il filosofo greco-francese, equivale a negare la dimensione politica e rischia di portare all’integrazione dell’ecologia in un’ideologia neofascista. Affrontare la tecnica con la tecnica significa restare fedeli al principio di eteronomia. Insomma, il principio responsabilità di Jonas, col pretesto di responsabilizzare l’individuo, lo solleva da tale responsabilità affidando ad altri il compito di assumerla.
Denunciando la progressiva istituzionalizzazione dei Verdi e la rapida degenerazione delle loro ambizioni rivoluzionarie Castoriadis ha, perciò, introdotto un concetto centrale per un’ecologia realmente sovversiva: l’auto-limitazione. Per i Greci, spiega Castoriadis, l’autolimitazione mira a proteggere la natura dall’eccesso umano fissando collettivamente i limiti che regolano il potere della società sugli esseri umani e su sé stessa. La hybris moderna che ha innescato la marcia dell’Antropocene nasce dall’assenza di autolimitazione, cioè dalla trasgressione di limiti mai definiti.
Ma come facciamo a tracciare questi limiti?
Qualche spunto può venire dalla lettura di Murray Bookchin, il teorico dell’ecologia sociale. Attaccando tutte le forme di gerarchia, e sviluppando un progetto di democrazia radicale, Bookchin appare molto vicino alle posizioni di Castoriadis. Tuttavia, il ‘senso comune ecologico’ che attribuisce alla futura società libertaria, una volta liberatasi dai rapporti di dominio, appare come fin troppo vicino all’ecocentrismo, con i suoi appelli normativi alla natura. Bookchin, in effetti, abbina l’emancipazione politica a una dialettica naturalistica basata sulla riconciliazione delle nature: la prima natura corrisponde al mondo naturale e la seconda natura alla cultura umana. Il pensatore statunitense quindi socializza l’ecologia, ecologizza il sociale e naturalizza la libertà umana. Al contrario, Castoriadis diffida della tentazione del riduzionismo biologico e mette in guardia contro «l’illusoria evidenza di un’organizzazione della natura data e assegnabile, di cui la società deve solo impadronirsi» (come scrive ne L’istituzione immaginaria della società).
Fedele all’ontologia del Caos che sta alla base della sua filosofia, il filosofo considera la libertà e l’autonomia come anomalie puramente umane e la natura priva di connotazione normativa in sé.
Castoriadis sostiene e teorizza una decentralizzazione democratica organizzata attorno a unità sociali autogestite, composte da un numero di cittadini compreso tra 10.000 e 30.000 unità, che vivono per la maggior parte di risorse locali rinnovabili e che sono in grado di pensare collettivamente uno stato stazionario adatto a tutti e governabile da tutti.
Tuttavia la filosofia castoriadiana della democrazia non può impedire a una società autonoma di decidere di essere una società ecologicamente orribile. Questa è la grande differenza con Bookchin, che pensa che l’ideale democratico sia necessariamente sinonimo di armonia con la natura.
L’autolimitazione non è altro che ciò che le persone fanno di essa, e una democrazia autentica potrebbe decidere di non riconsiderare il suo rapporto utilitaristico con la natura. Forse che i cittadini greci dei tempi di Tucidide si sono mai proposti di risolvere la contraddizione tra il regime di libertà e uguaglianza che avevano fondato e l’iniqua istituzione della schiavitù? La democrazia non è una garanzia assoluta contro l’imprudenza collettiva e rimane, per sua stessa natura, un sistema politico tragico.
Sostenere il primato della politica sull’etica e sul naturalismo in un momento di emergenza climatica comporta quindi dei rischi, ma sono rischi che dobbiamo correre, come ci direbbe Castoriadis.