Città resilienti

Le città da una parte contribuiscono al cambiamento climatico in quanto energivore, e quindi responsabili delle emissioni di gas serra, dall’altra devono contrastarne gli effetti applicando strategie di resilienza.

Autore

Margaretha Breil

Data

22 Giugno 2023

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DATA

22 Giugno 2023

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Città

Adattamento

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2017 – Le città da una parte contribuiscono al cambiamento climatico in  quanto energivore, e quindi responsabili delle emissioni di gas serra, dall’altra devono contrastarne gli effetti applicando strategie di resilienza. In Italia alcuni centri hanno messo a punto e avviato, a partire dal loro profilo climatico, dei Piani di adattamento con obiettivi e azioni decisi caso per caso, seguendo la forma della città.

Le aree urbane italiane1 ospitano più del 90% della popolazione e producono servizi che sono essenziali per l’economia e la vita sociale e culturale del Paese. Le città sono, di conseguenza, dei veri e propri «punti nevralgici» per il cambiamento climatico. Tutte queste aree, al contempo, contribuiscono in modo considerevole e crescente al cambiamento climatico. Si stima che nel 2013, a livello globale, le aree urbane siano state responsabili di circa il 64% dell’uso primario di energia e dell’emissione di circa 24 miliardi di tonnellate di CO2 pari al 70% del totale mondiale2.

Gli insediamenti storici presentano delle vulnerabilità specifiche dipendenti dal loro carattere «artificiale», che altera processi naturali ed esaspera gli impatti da eventi come le ondate di calore estivo. Infine, la loro vulnerabilità e gli effetti delle misure atte a ridurla hanno spesso ricadute su aree diverse dal centro storico e che oltrepassano frequentemente i limiti dell’area urbana. Non a caso la Strategia Europea per l’adattamento ai cambiamenti climatici vede le aree urbane come uno dei settori chiave d’intervento per ridurre le vulnerabilità e aumentare la resilienza delle società3; altrettanta enfasi viene loro riservata nella Strategia Nazionale di Adattamento dell’Italia.

Che cosa aspettarsi dal futuro? 

Mentre l’osservazione sia soggettiva sia sistematica conferma che la frequenza di eventi climatici che creano situazioni di rischio per le aree urbane è aumentata negli ultimi anni4, per descrivere in maniera puntuale i possibili sviluppi futuri ci si deve rivolgere a scenari che forniscono stime su parametri climatici. Da alcuni anni esistono scenari focalizzati sull’Italia che dettagliano e precisano informazioni ottenute da scenari globali e danno informazioni più accurate per quanto riguarda le regioni italiane grazie a un esercizio di downscaling5

Le indicazioni fornite da questi scenari da un lato consentono di evidenziare i principali impatti nelle aree urbane situate nelle differenti macroregioni climatiche italiane, dall’altro rendono evidente come la selezione di strategie di adattamento debba tenere conto dell’intero profilo di vulnerabilità delle singole città. Tale profilo comprende specifici parametri, come le condizioni territoriali, la dotazione e le caratteristiche delle infrastrutture, le condizioni socio-economiche locali, e richiede un’analisi appropriata delle problematiche emergenti. Lo studio degli elementi che determinano la specifica vulnerabilità delle singole città – attività che richiede l’impegno e il coinvolgimento delle amministrazioni locali e dei cittadini – costituisce  il primo passo verso l’adattamento e rappresenta la più urgente azione da  intraprendere nei comuni.  

Ciò detto, i principali stressor climatici che concorrono alla potenziale vulnerabilità delle aree urbane possono essere così identificati: i) eventi di precipitazione intensa con gli indicatori corrispondenti in aumento; ii) eventi estremi di temperatura e ondate di calore, con associati rischi per la salute sia diretti (stress da caldo) sia indiretti attraverso gli impatti sulla qualità dell’aria. Infine, iii) la riduzione delle precipitazioni, a cui va associata la scarsità idrica caratteristica soprattutto delle aree insulari e del Sud del Paese.

Perché le città sono a rischio?

È importante rilevare come nella maggioranza dei casi l’elemento climatico sia un fattore che esaspera criticità già esistenti, dovute in larga parte a errori o lacune nella pianificazione e nella gestione del territorio e delle risorse. In questo senso, lo scarso controllo dell’urbanizzazione durante l’ultimo secolo, che ha portato all’occupazione di aree alluvionali e del fondo valle di fiumi e torrenti6, alla continua e sistematica impermeabilizzazione del suolo e alla trasformazione dei corsi d’acqua, associati in molti casi a sistemi scolanti inadeguati, non ha fatto altro che contribuire all’aumento del rischio da dissesto idrogeologico urbano.  

Scarsità di vegetazione, abbondanza di superfici riflettenti, densità e altezza delle costruzioni intensificano l’effetto delle isole di calore urbane, che ha ricadute negative sulla salute. L’uso intenso delle risorse idriche da parte di diversi settori (oltre a usi urbani, agricoltura, industria, produzione  energetica), sommato alla crescente inefficienza delle reti idriche urbane, accentua il conflitto tra usi alternativi d’acqua. 

In questo senso, tra i parametri identificati per le zone climatiche del Paese, prevalgono i tratti comuni piuttosto che le diversità. Ne consegue la  necessità di procedere alla caratterizzazione degli impatti dei cambiamenti climatici, della vulnerabilità e della propensione al rischio per i singoli centri urbani, tenendo in considerazione tutte le particolarità proprie degli insediamenti la cui scala d’indagine appropriata, è in molti casi quella di «quartiere». Una tale indagine potrà ricorrere a strumenti modellistici, all’analisi dei dati di diverse tipologie disponibili (per esempio, condizioni sociali, reddito, formazione, caratteristiche degli edifici, densità abitativa) e di quelli climatici ad alta risoluzione, per generare e fornire delle vere e proprie «mappe di vulnerabilità urbana», indispensabili per dare una priorità temporale e finanziaria alla messa in opera delle azioni di adattamento e identificare le aree cruciali per migliorare le capacità delle aree urbane di rispondere agli impatti climatici. La vulnerabilità urbana, va sottolineato, non è definita solo dalle caratteristiche morfologico-strutturali (per  esempio la scarsità di vegetazione e l’abbondanza di superfici riflettenti, la densità e l’altezza delle costruzioni, i suoli altamente impermeabilizzati), che semmai la accentuano, al modificarsi della temperatura dell’aria, della direzione del vento e del regime delle precipitazioni medie ed estreme, ma anche dall’elevata densità di popolazione, dalla presenza di beni e servizi indispensabili per la salute e la sicurezza (per esempio, la distribuzione di acqua potabile ed energia, il funzionamento del sistema fognario e lo smaltimento dei rifiuti, le infrastrutture di trasporto e di comunicazione), dalla loro posizione (per esempio rispetto a fiumi o coste, pendii più o meno stabili eccetera) e dalla capacità (anche economica) della popolazione e delle istituzioni di modificare abitudini e prepararsi a situazioni (climatiche) nuove. 

Precipitazioni intense

Le conseguenze dell’aumento della frequenza di eventi di precipitazione intensa e degli impatti dovuti alla specifica vulnerabilità urbana sono ben rappresentate dagli episodi che negli ultimi anni si sono verificati nelle aree urbane del nostro Paese provocando danni considerevoli e, in alcuni casi, anche vittime. Tra i casi più recenti segnaliamo quelli di Genova, dove due eventi di questo tipo verificatisi nel 2011 hanno provocato, a distanza di  pochi giorni, la morte di 19 persone e danni dell’ordine di diverse decine di  milioni di euro7; successivamente, nel 2014, sempre nella stessa città, un  analogo evento ha provocato una vittima e danni per circa 100 milioni di  euro8. Fatti simili si sono verificati in Sardegna (Olbia e centri minori) nel  2013 con 17 vittime9, a Milano nel 2014, a Noto (Palermo) e nel Veneto nel 2014 e ancora Milano nel 2016. Come evento più recente si ricorda l’alluvione a Livorno nel settembre 2017, che è costata la vita a otto persone. 

Gli eventi di precipitazione intensa espongono le città a rischi dovuti principalmente a due fenomeni: l’esondazione di corpi idrici superficiali o  sotterranei10 a causa di eventi riguardanti i bacini idrici posti a monte delle aree urbane, e l’inondazione delle aree urbane per l’insufficiente capacità dei sistemi di drenaggio di smaltire quantità d’acqua superiori ai valori per i quali essi sono stati progettati. Di conseguenza, il deflusso di queste avviene per via superficiale, creando così accumuli e corsi di acqua nelle strade, nelle zone più basse – come i sottopassi delle metropolitane – e nei piani  inferiori degli edifici. Oltre alle caratteristiche oggettive geografiche e idrogeologiche del territorio, l’esposizione delle aree urbane italiane a questo tipo di eventi dipende  da fattori antropogenici, legati principalmente al processo di urbanizzazione. La trasformazione del territorio e dei corsi d’acqua ha limitato o cancellato  le aree di esondazione e ridotto i suoli permeabili a superfici impermeabili (strade, parcheggi, piazze ed edifici) e cementificato argini e letti. In questo modo sono aumentate la frequenza e l’intensità delle onde di piena nei centri abitati. È preoccupante osservare che mentre il trend demografico che aveva dato impulso all’urbanizzazione in Italia nella seconda metà del ventesimo secolo sia ormai rallentato, quello della trasformazione del suolo in  aree impermeabili continui a crescere, seppure a ritmo leggermente ridotto11.

In questo senso è importante sottolineare come «più di un quinto (il  21,5%, quasi 5.000 km2) del suolo consumato in Italia nel 2015 sia concentrato nel territorio amministrato dalle 14 città metropolitane»12, mentre l’impermeabilizzazione raggiungeva o superava, nel 2012, il 60% della  superficie (vedi figura 1).

Figura 1. Percentuali di impermeabilizzazione del suolo nei centri urbani nel 2012 (fonte: Map Book EEA,  Climate Adapt, dicembre 2016).

Per quanto riguarda la vulnerabiltà, è importante sottolineare che l’eterogeneità dei diversi insediamenti urbani si riproduce anche all’interno delle singole aree. I tassi di sensitività, che indicano la predisposizione del territorio a subire impatti negativi, variano a seconda del modo in cui sono disposte le zone residenziali, quelle dei servizi, le aree produttive e le infrastrutture. Inoltre, è da tenere in considerazione anche la composizione della popolazione (persone anziane, persone con problemi di deambulazione eccetera). Oltre alla sensitività al rischio fisico, ce n’è una di tipo economico, che sta suscitando crescente attenzione negli ultimi anni. È ampiamente documentato13 che nelle città inglesi le famiglie povere, per carenza di  risorse, vivono spesso in aree a rischio di inondazione. In Italia mancano  studi dettagliati su quest’argomento, tuttavia è un fatto oggettivo che i va lori immobiliari delle aree marginali delle città siano bassi e attraggano le  persone meno abbienti.

Temperature estreme, ondate di calore e qualità dell’aria

Il suolo delle aree urbane risulta in gran parte impermeabilizzato dall’asfalto e dalle costruzioni: queste superfici, insieme alle pareti degli edifici,  assorbono la radiazione solare (diretta, diffusa e riflessa) accumulando e liberando calore. Calore che va ad aggiungersi a quello proveniente dai processi di combustione degli impianti industriali, dei veicoli, degli impianti di climatizzazione. Le temperature medie dei centri urbani possono quindi risultare anche di 5-10°C più alte di quelle delle aree rurali circostanti[notaT.R. Oke, The Energetic Basis of the Urban Heat Island, in «Quarterly Journal of the Royal  Meteorological Society», vol. 108, n. 455, 1982, pp. 1-24; A. Lemonsu, V. Viguié, M. Daniel e V. Masson, Vulnerability to Heat Waves: Impact of Urban Expansion Scenarios on Urban Heat Island and  Heat Stress in Paris (France), in «Urban Climate», vol. 14, n. 4, 2015, pp. 586-605 (doi: 10.1016/j. uclim.2015.10.007).[/nota]. Questo fenomeno, denominato isola di calore, è particolarmente intenso nel periodo notturno, quando gli edifici cedono il calore accumulato durante il giorno ed è accentuato dalla particolare struttura di molte aree urbane, che riduce la ventilazione e quindi anche la capacità di dispersione del calore rispetto alle aree naturali più aperte. Mentre nelle aree edificate, l’energia del sole viene accumulata, con conseguente aumento della temperatura, in quelle naturali i processi di evapotraspirazione riescono a ridurre sia le temperature diurne sia quelle (soprattutto) notturne.

Le principali conseguenze di questi impatti sulla salute sono da stress termico, soprattutto per le temperature notturne elevate, causa di un aumento della mortalità per soggetti affetti da patologie – spesso non diagnosticate (per esempio, malattie cardiache e polmonari), specialmente tra la popolazione anziana e bambini, e i lavoratori costretti, per ragioni professionali, a prolungate esposizioni alle alte temperature14.

La rilevanza di tali impatti è stata ampiamente documentata in occasione dell’ondata di calore dell’estate 2003, dove in Europa sono stati stimati oltre 70 mila decessi in più rispetto alla mortalità standard (in particolare tra gli ultra 75enni). In Italia, nello stesso periodo, in alcune città del Nord-Ovest gli incrementi di mortalità nel gruppo degli anziani hanno superato il 30%15. Esiste, inoltre, una stretta correlazione tra condizioni climatiche e inquinamento atmosferico legato alle attività antropiche proprie degli insediamenti urbani (traffico veicolare, centrali termoelettriche, riscaldamento e  condizionamento degli edifici). Le immissioni in atmosfera contribuiscono all’aumento non solo dei gas serra (CO2, CH4), ma anche di sostanze quali  SO2, NO2, CO, benzene (C6H6), particolato fine (PM10 e PM5) e ozono  troposferico (O3), che compromettono la qualità dell’aria16. I fenomeni  atmosferici determinano come questi composti vengono dilavati e trasformati17, per cui i cambiamenti climatici, alterando i primi (soprattutto il  regime dei venti e delle precipitazioni, l’altezza dello strato di rimesco lamento degli inquinanti, temperature e irraggiamento solare), incidono  anche sui secondi18

Scarsità idrica

Un ulteriore stressor climatico rilevante per le aree urbane deriva dalla prevista riduzione delle precipitazioni, soprattutto nel periodo estivo, caratteristica rilevante in tutte le macroregioni climatiche italiane, a eccezione di alcune zone del Veneto, della Toscana e dell’arco alpino. Questo fenomeno causerà siccità e scarsità idrica sempre più frequenti, con conseguente aumento del confronto tra domanda d’acqua potabile per uso urbano e  per quello agricolo e industriale-energetico e per garantire il funzionamento dei servizi ecosistemici. Questo conflitto potenziale si colloca in un contesto di stress idrico già oggi medio-alto, in cui si sfrutta più del 30% delle risorse idriche rinnovabili, a fronte dell’obiettivo di un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse che prevede di non estrarre più del 20% di quelle idriche rinnovabili disponibili. In realtà, la richiesta di acqua potabile rappresenta solo il 12% delle reti d’acqua a livello nazionale e la legislazione attribuisce la priorità dell’uso potabile su tutti gli altri utilizzi (D.Lgs. n. 152/2006). Tuttavia, le città  rimangono fortemente vulnerabili alla scarsità idrica, soprattutto per la dipendenza da singole (e potenzialmente limitate) fonti di approvvigionamento. Questa vulnerabilità è emersa in modo chiaro con gli episodi di siccità del 2003/2007 legati ai prelievi da fiume19, a Ferrara e Parma, e nel 2017 a Roma con conflitti tra amministrazioni sul prelievo dal Lago di Bracciano. Un secondo fattore che determina la vulnerabilità delle aree urbane rispetto alla scarsità idrica è dovuto al fatto che il fabbisogno di  acqua potabile sta crescendo. A fronte di consumi pro capite medi nazionali in diminuzione, grazie a strategie di incentivazione economica e di  comunicazione che hanno promosso il risparmio idrico20 nel periodo 2008-2012, sia la quantità di acqua prelevata per uso potabile sia la quantità immessa nelle reti comunali di distribuzione sono rispettivamente cresciute  del 3,8 e del 2,6%. Contestualmente, le quantità di acqua dispersa nella rete sono aumentate dal 2008 al 2012 dal 32,1 al 37,4%. A correzione di una precedente sottostima del fenomeno, tale aumento può essere in parte attribuito a una migliore contabilizzazione e a una maggiore diffusione di  contatori. Si osserva, però, anche un’oggettiva riduzione degli investimenti nel settore idrico e questo comporta una diminuzione delle attività di manutenzione degli impianti e un aumento del fenomeno di dispersione. Questo fenomeno però non è distribuito in maniera uniforme tra le regioni e i  tassi di efficienza della rete di distribuzione sono tendenzialmente inferiori  proprio in quelle macroregioni climatiche (Appenino centro-meridionale,  Sud e isole) che sono maggiormente esposte a scarsità idrica.

I percorsi dell’adattamento urbano: le esperienze italiane

Il livello di consapevolezza dei comuni italiani sulla necessità di preparare e attrezzare il proprio territorio, le infrastrutture e i servizi ai cambiamenti delle condizioni climatiche è ancora piuttosto basso, nonostante il numero elevato di comuni che hanno aderito, da soli o in gruppo, al Covenant of Mayors. Infatti, dei circa 800 membri europei del Covenant of Mayors globale, più di 180 sono comuni italiani. Un numero, questo, che  appare però più l’espressione di un interesse che un segnale di iniziative  intraprese.

Figura 2. Mappa delle città che hanno aderito al Covenant of Mayors for Climate and Energy 2006 (fonte: Map  Book EEA, Climate Adapt, agosto 2017).

Tra i pochissimi comuni italiani che hanno effettivamente concluso l’iter previsto con la definizione di un piano di adattamento urbano, spicca  Bologna, che ha approvato nel 2015 – seconda in Italia dopo Ancona – il  proprio, redatto nell’ambito del progetto Life+BlueAp. Il piano è basato su un profilo climatico della città (elaborato dall’ARPA Emilia-Romagna) che descrive le mutazioni attese entro il 2050 per quanto riguarda temperature, ondate di calore e precipitazioni. Quest’importantissimo esercizio ha prodotto esiti che sono stati decisivi per aumentare la consapevolezza sia dei decisori sia dei cittadini nei confronti degli effetti del cambiamento climatico; il profilo climatico ha fatto comprendere con chiarezza che, di fronte a segnali climatici già percepibili oggi, per evitare mutamenti di lungo periodo, occorre impostare strategie di lungo periodo, associate ad azioni a breve termine. Questo duplice orizzonte temporale della pianificazione ha facilitato la messa a punto delle azioni dell’amministrazione comunale in  rapporto all’evoluzione e all’intensità del cambiamento climatico.  

Nella pianificazione dell’adattamento è emerso con chiarezza che per alcune azioni è necessario un coordinamento di area vasta. Questi aspetti  sono stati chiaramente esplicitati nella strategia di adattamento e ciò ha contribuito a sensibilizzare altri soggetti – Regione, Area metropolitana, gestori di servizi, aziende private – contribuendo a estendere a un ampio network istituzionale una maggiore sensibilità nei confronti del cambiamento climatico e dei suoi impatti locali, ponendo così le basi per ulteriori  e più cogenti impegni. 

Il piano approvato dal Comune di Bologna è un quadro coerente di  azioni da realizzare come, per esempio, la riprogrammazione delle risorse,  la strutturazione di attività amministrative integrative e, non ultimo, la promozione della governance multilivello21

Anche Roma ha intrapreso un percorso verso l’adattamento urbano al cambiamento climatico, reso possibile grazie al supporto finanziario e logistico della Fondazione Rockefeller nell’ambito del programma 100 Resilient Cities. È durato due anni e ha prodotto nel 2016 una Valutazione preliminare di resilienza con alla base un audit sociale molto ampio, teso a disegnare un quadro esaustivo dei punti di forza e di debolezza della città, delle tendenze esogene, delle azioni in corso, degli shock e stress percepiti, del le informazioni disponibili. Inoltre, ha identificato cinque aree prioritarie  d’intervento e le relative azioni da implementare per migliorare la resilienza della città, non solo rispetto agli impatti del cambiamento climatico.

Altre singole misure di adattamento sono state realizzate in diverse città, come per esempio i sistemi di allerta per rischi idrogeologici (Ancona), il ridisegno di piazze, con la creazione di spazi verdi e acquatici in modo da contrastare le alte temperature estive attraverso un’elevata evaporazione (Modena) e studi e sperimentazioni per migliorare la gestione del verde urbano (Padova).

Come agire?

Il livello principale d’intervento è a scala locale, anche se i comuni in molti casi non riusciranno da soli a risolvere situazioni di rischio, avendo  bisogno non solo di competenze e informazioni, ma anche della capacità di intervenire e gestire situazioni critiche a scala vasta, per esempio rispetto a inondazione da fiumi e scarsità idrica (in quest’ultimo caso, infatti, lo studio del problema e le azioni di adattamento vanno condotti a livello di bacino). 

Numerosi esempi di pratiche da mettere in campo da parte dei comuni, sono reperibili in una serie di linee guida e diverse banche dati, in particolare in quelle della piattaforma europea per l’adattamento Climate Adapt22. Quest’ultima mette a disposizione un’importante raccolta di informazioni di supporto a politiche di adattamento che includono misure di: 

  • allerta, che permettono ai cittadini di proteggersi in casi di eventi  estremi (per esempio dalle ondate di calore);  
  • prevenzione, che adattano il territorio in maniera da limitare l’esposizione agli impatti (riducendo, per esempio, il grado di impermeabilizzazione dei suoli nelle aree urbane e creando spazi per la raccolta e il deflusso  delle acque meteoriche);  
  • difesa, al fine di proteggere i cittadini e i loro beni dagli impatti climatici;
  • carattere organizzativo, che facilitano il risarcimento dei danni dovuti a disastri naturali ed eventi estremi (assicurazione) e la ripresa dell’attività  economica.

Nella scelta delle misure da adottare va tenuto conto di alcuni principi  fondamentali: 

  • nel prendere decisioni, la collaborazione dei cittadini è indispensabile per assicurare il buon esito delle misure di adattamento; 
  • privilegiare gli interventi di adattamento i quali, oltre a ridurre gli impatti climatici a lungo termine, forniscono anche benefici nell’immediato  (per esempio, aumentando la qualità urbana); 
  • nell’attuare strategie modulate, dettate di volta in volta dai problemi  da risolvere, non precludersi l’adozione di misure più incisive per far fronte al verificarsi, in futuro, di impatti più consistenti;  
  • verificare, in dettaglio, la fattibilità economica e la realizzabilità tecnico-istituzionale degli interventi, elementi indispensabili per una valutazione attendibile del rapporto costi-benefici.  

Si segnalano inoltre alcune azioni che sono a costo zero o a costo molto basso e che possono essere realizzate subito. Tra queste quella che  attiene all’adozione di un sistema di pianificazione urbana che, tenendo conto di rischi presenti e futuri, riservi aree potenzialmente inondabili o franose a causa del mutato regime delle piogge a usi compatibili (incluse le aree verdi e le superfici acquee), allo scopo di attenuare i picchi di temperatura e il rischio di inondazioni nella città. Inoltre, avere una prospettiva di lungo termine per l’adattamento delle aree urbane permette di volta in volta di utilizzare gli interventi programmati nell’ordinaria gestione urbana per rimodulare le infrastrutture in funzione di futuri rischi climatici.  

Vi sono poi degli interventi di adattamento in grado di produrre consistenti benefici aggiuntivi non solo in termini di qualità urbana, ma anche di salute pubblica e biodiversità. Si tratta soprattutto di misure, per l’uso di aree verdi urbane, anche sugli edifici (non solo parchi e orti urbani, ma anche pareti e tetti verdi). Oltre ad accrescere la capacità delle città di assorbire le acque meteoriche, queste misure contribuiscono a ridurre l’effetto delle isole di calore e hanno ricadute benefiche sul benessere e sulla salute dei cittadini23. Una visione di lungo termine ha un ruolo fondamentale per il disegno  della città, non solo per la consapevolezza che le decisioni odierne avranno sul suo futuro, ma anche perché molti degli impatti climatici si verificheranno in tempi piuttosto lunghi e pertanto sono ancora sconosciuti.  Inoltre, l’elaborazione di uno scenario di futuro possibile aiuta a prendere  decisioni di breve-medio periodo. L’adattamento climatico sarà alimentato  da azioni a breve termine e da una programmazione di investimenti, anche  importanti, su tempi più lunghi. Di qui l’importanza di creare una consapevolezza comune sul significato del cambiamento climatico, dei suoi effetti e  delle azioni per mitigarne gli impatti. Consapevolezza significa superare la  logica del do nothing is better.


L’articolo è una sintesi del capitolo Insediamenti urbani del Piano  Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Roma, Ministero  dell’Ambiente, luglio 2017) di Francesco Bosello, Margaretha Breil, An drea Filpa, Serena Marras, Paola Mercogliano, Valentina Porceddu, Guido  Rianna e Valentina Torrente (disponibile online all’indirizzo: https://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio_immagini/adattamenti_cli matici/documento_pnacc_luglio_2017.pdf).


Fonte/Testo originale: Margaretha Breil ‘Città resilienti’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 2, dicembre 2017, Il Mulino.

Note

  1. Manca in Italia una definizione precisa dei termini «città» e «urbano». In questo contesto si intende per «area urbana» quella che corrisponde alla categoria «centro abitato» utilizzata da  ISTAT nei censimenti della popolazione. Nel 2011 più del 90% della popolazione italiana viveva in queste aree (ISTAT, 15oCensi mento della popolazione 2011, Roma, Techreport, 2016).
  2. R.M. Duren e C.E. Miller, Measuring the Carbon Emissions of  Megacities, in «Nature Climate Change», vol. 2, n. 8, 2012, pp.  560-562; D. Satterthwaite, Cities Contribution to Global Warming:  Notes on the Allocation of Greenhouse Gas Emissions, in «Environment  and Urbanization», vol. 20, n. 2, 2008, pp. 539-549; K.C. Seto, S.  Dhakal, A. Bigio, H. Blanco, G.C. Delgado, D. Dewar, L. Huang et al., Human Settlements, Infrastructure and Spatial Planning, in O.  Edenhofer, R. Pichs-Madruga, Y. Sokona, E. Farahani, S. Kadner,  K. Seyboth, A. Adler et al. (a cura di), Climate Change 2014: Mitiga tion of Climate Change. Contribution of Working Group III to the Fifth  Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change,Cambridge-New York, Cambridge University Press, 2014 (disponibile online all’indirizzo https:// ipcc.ch/pdf/assessment-report/ar5/wg3/ipcc_wg3_ar5_chapter12.pdf).
  3. Commissione Europea, An EU Strategy on Adaptation to Climate Change. Communication from the  Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, Bruxelles, 2013. 
  4. Vedi, rispettivamente per ondate di calore ed eventi estremi di precipitazione: M. Amanti,  D. Berti, M. Lucarini e A. Troccoli, Eventi estremi di precipitazione e criticità geologico-idrauliche nell’area  urbana della capitale, in D. Gaudioso, F. Giordano, E. Taurino, M. Sansoni e D. Mazzella (a cura  di), Focus sulle città e la sfida dei cambiamenti climatici, Roma, ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, 2014; F. Desiato, G. Fioravanti, P. Fraschetti, W. Perconti e E.  Piervitali, Onde di calore e Indici di temperature estreme in Italia (disponibile online all’indirizzo https://www.Researchgate.net/profile/Francesca_Maio2/publication/271834494_QUALITA_DELL’AMBIENTE_URBANO_X_RAPPORTO_Edizione_2014_Focus su LE CITTA_E_LA_SFIDA_DEI_CAMBIAMENTI_CLIMATICI-Clima_salute_e_benessere_in_città/links/54ec2f0a0cf2082851bf567c. pdf#page=124).
  5. E. Bucchignani, M. Montesarchio, A.L. Zollo e P. Mercogliano, High-Resolution Climate Simulations with COSMO-CLM over Italy: Performance Evaluation and Climate Projections for the 21st Century: Cli mate Simulations with COSMO-CLM over Italy, in «International Journal of Climatology», vol. 36, n. 2,  pp. 735-756 (doi: 10.1002/joc.4379).
  6. M. Amanti, D. Berti, M. Lucarini e A. Troccoli, Eventi estremi di precipitazione e criticità geologico idrauliche nell’area urbana della capitale, in D. Gaudioso et al. (a cura di), Focus sulle città e la sfida dei  cambiamenti climatici, cit.
  7. F. Silvestro, S. Gabellani, F. Giannoni, A. Parodi, N. Rebora, R. Rudari e F. Siccardi, A Hydro logical Analysis of the 4 November 2011 Event in Genoa, in «Natural Hazards and Earth System Sciences»,  vol. 12, n. 9, pp. 2743-2752. 
  8. F. Desiato, G. Fioravanti, P. Fraschetti, W. Perconti e E. Piervitali, Onde di calore e indici di tem perature estreme in Italia, cit. 
  9. F. Desiato, G. Fioravanti, P. Fraschetti, E. Previtali e W. Perconti, Gli indicatori del clima in Italia nel  2014, Stato dell’Ambiente, Roma, ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale,  2015.
  10. Spesso sono stati, infatti, i corpi idrici sotterrati a provocare nelle città, durante l’ultimo se colo, le esondazioni (un esempio è il caso di Milano).
  11. I. Marinosci, L. Congedo, P. De Fioravante, M. Di Leginio, C. Giuliani, S. Pranzo, A. Salmeri  et al., Stima del consumo di suolo, in M. Munafò (a cura di), Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi  ecosistemici, Roma, ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, 2017.
  12. M. Munafò (a cura di), Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici, Roma,  ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, 2016.
  13.  Si veda, per esempio, S. Lindley, J. O’Neill, J. Kandeh, N. Lawson, R. Christian e M. O’Neill,  Climate Change, Justice and Vulnerability, York, Rowntree Foundation, 2011 (disponibile online  all’indirizzo: https://www.climatenorthernireland.org.uk/cmsfiles/resources/files/Climate-Change Justice-and-Vulnerability—Joesph-Rowntree-Foundation.pdf); A. Kazmierczak e G. Cavan, Surface  Water Flooding Risk to Urban Communities: Analysis of Vulnerability, Hazard and Exposure, in «Landscape  and Urban Planning», vol. 103, n. 2, 2011, pp. 185-197.
  14. Per completezza del quadro, va rilevato che anche le temperature troppo rigide si ripercuotono in modo negativo sulla salute, acuendo le patologie cardiovascolari e respiratorie. In Italia, per esempio nell’inverno 2011-2012, in seguito all’ondata di freddo del febbraio 2012, è stato registrato un incremento del 25% della mortalità dei soggetti più anziani (D. Gaudioso, F. Giordano,  E. Taurino e M. Sansoni, Le città e la sfida dei cambiamenti climatici, Roma, ISPRA – Istituto Superiore  per la Protezione e la Ricerca Ambientale, 2014). Secondo le proiezioni oggi disponibili, nell’area  dell’Appennino centro-meridionale, l’elevato numero di frost days di questo periodo dovrebbe ridursi.  In questo caso, dovrebbero anche diminuire i tassi di mortalità da freddo.
  15. S. Conti, P. Meli, G. Minelli, R. Solimini, V. Toccaceli, M. Vichi, C. Beltrano e L. Perini, Epide miologic Study of Mortality during the Summer 2003 Heat Wave in Italy, in «Environmental Research», vol.  98, n. 3, 2005, pp. 390-399 (doi: 10.1016/j.envres.2004.10.009).
  16. IPCC, Climate Change 2013 The Physical Science Basis: Working Group I Contribution to the Fifth  Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, a cura di T.F. Stocker, D. Qin, G.-K.  Plattner, M. Tignor, S.K. Allen, J. Boschung, A. Nauels, Y. Xia, V. Bex e P.M. Midgley, Cambridge,  Cambridge University Press, 2014.
  17. G. Brandt Hedegaard, J.C. Heile, C. Geels, A. Gross, K.M. Hansen, W. May, A. Zare e J.  Brandt, Effects of Changed Climate Conditions on Tropospheric Ozone over Three Centuries, in «Atmospheric  and Climate Sciences», vol. 2, n. 4, 2012, pp. 546-561 (doi: 10.4236/acs.2012.24050).
  18. IPCC, Climate Change 2013 The Physical Science Basis: Working Group I Contribution to the Fifth  Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, cit.; EEA, Air Quality in Europe 2013  Report, Copenhagen, European Environment Agency, 2013 (doi: 10.2800/92843).
  19. J. Mysiak, L. Carrera e A. Massarutto, Servizio Idrico e l’approvvigionamento di acqua nel contesto  dei cambiamenti climatici, in Qualità dell’Ambiente Urbano. IX Rapporto, Focus su Acque e Ambiente Urbano,  Roma, ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, 2013, pp. 113-120.
  20. Dal 2008 al 2012 il consumo pro capite di acqua potabile è diminuito da 253 a 241 litri al giorno per abitante (ISTAT, Anno 2012. Censimento delle acque per uso civile, Roma, Techreport,  2014).
  21. Con questa espressione si descrivono forme di coordinamento tra diversi attori di governo del  territorio a vari livelli della gerarchia amministrativa.
  22. Cfr. https://climate-adapt.eea.europe.eu.
  23. C.M. Raymond, P. Berry, M. Breil, M.R. Nita, N. Kabisch, M. de Bel, V. Enzi et al., An Impact  Evaluation Framework to Support Planning and Evaluation of Nature-Based Solutions Projects: An EKLIPSE Expert  Working Group Report, Wallingford, Centre for Ecology & Hydrology, 2017.
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