La mercificazione della vita

Rileggendo i 'Grundrisse' di Marx, mentre la televisione s’impone con le notizie degli sbarchi dei migranti.

Autore

Giulio Sapelli

Data

22 Maggio 2023

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4' di lettura

DATA

22 Maggio 2023

ARGOMENTO

PAROLE CHIAVE


Antropologia

Lavoro

Mobilità

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«Quando consideriamo un dato Paese dal punto di vista economico-politico, noi cominciamo con la sua popolazione, con la divisione di questa in classi, la città, la campagna, il mare, le diverse branche di produzione, esportazione e importazione, produzione e consumo annui, prezzi delle merci ecc.

Sembra corretto cominciare con il reale e il concreto, con l’effettivo presupposto; quindi, per esempio, nell’economia, con la popolazione, che è la base e il soggetto dell’intero atto sociale di produzione. Ma, ad un più attento esame ciò si rivela falso. La popolazione è un’astrazione, se tralascio ad esempio le classi di cui si compone. E le classi a loro volta sono una parola priva di senso, se non conosco gli elementi sui cui esse si fondano, per esempio, lavoro salariato, capitale ecc. E questi presuppongono scambio, divisione del lavoro, prezzi ecc.

Il capitale, per esempio, non significa nulla senza il lavoro salariato, senza il valore, il denaro, il prezzo ecc.… La società borghese è la più complessa e sviluppata organizzazione storica della produzione. Le categorie che esprimono i suoi rapporti e che fanno comprendere la sua struttura, permettono quindi di penetrare al tempo stesso nella struttura e nei rapporti di produzione di tutte le forme di società passate, sulle cui rovine e con i cui elementi essa si è costruita, e di cui si trascinano in essa ancora residui parzialmente non superati, mentre ciò che in quelle era appena accennato si è sviluppato in tutto il suo significato ecc. L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia. Invece, ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta. L’economia borghese fornisce così la chiave per l’economia antica ecc….»

Queste indimenticabili astrazioni concrete di Marx, in quella che è forse la sua opera più affascinante, non possono non venire alla mente quando vediamo scorrere sotto i nostri occhi le quotidiane immagini di sbarchi, annegamenti, salvataggi e riparo fortunoso e neo schiavistico di generazioni e generazioni di famiglie, che da ogni confine delle periferie dell’accumulazione centrale e centralizzata della produzione capitalistica mondiale tentano di penetrare in questa cittadella di vita e di lavoro.

La transizione avviene non secondo le regole dello scambio del lavoro come merce, ma del lavoro come persona dello schiavo, che vende non le sue ore lavorate, ma tutta intera la sua vita al mercante – appunto – non delle ore lavorate ma della vita stessa.

Siano esse appena sbocciate, quelle vite, o siano vite che hanno già generato altre vite e intendono compiere il passaggio dalla periferia al centro dell’accumulazione capitalistica, con il superamento delle regole generali della valorizzazione capitalistica, con lo sguardo rivolto al passato piuttosto che al futuro.

La mercificazione della vita avviene (nella dinamica storico-concreta della vendita del viaggio verso il lavoro capitalistico sperato) attraverso la proliferazione di professioni dello scambio della persona umana. Essa si vende sotto una costrizione storicamente, e variamente, determinata al trafficante di corpi, come lo schiavo si vendeva e si vende sul mercato non della prestazione oraria, ma della stessa vita.

Di qui la precarietà di un contratto che non può essere né legalizzato né formalizzato da rapporti tipici degli ordinamenti giuridici di fatto, come ci insegnarono Giuseppe Capograssi e il di lui allievo Antonio Pigliaru.

Rimane il bozzolo dello schiavismo che si riattualizza in ogni sbarco, in ogni sequela di morti e di annegamenti e di respingimenti: si riattualizza per offrire merce-lavoro nella società capitalistica, che continuamente cambia le sue forme di circolazione del lavoro e delle merci. Ma nella società dello spettacolo à la ‘De-bord‘ tutto ci appare come una consuetudine del capitale nella sua forma più pura e spietata, mentre forse altro non è che l’inizio del suo decadimento, con questa riattualizzazione di una società più che mai precapitalistica e, per questa riattualizzazione, foriera di disgregazione della forma attuale stessa che disvela – in maniera così drammaticamente premoderna – tutta la sua fragilità.

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