Agosto 2014 – La ricerca scientifica sulla felicità ha una sua tradizione che possiamo far risalire, in economia, a Jeremy Bentham e alla sua definizione di utilità, considerata come principio di massima felicità e definita come il prevalere del piacere sulla sofferenza 1.
Bentham era un filosofo e la filosofia, fin dai tempi di Aristotele e Platone, si occupa del vivere bene e di ciò che dà valore all’esistenza. Vivere bene, valore: il vero e proprio puzzle rispetto al concetto di felicità non riguarda tanto la sua dimensione teorica, cui hanno contribuito e contribuiscono svariate discipline, dalla già richiamata filosofia all’antropologia culturale, fino ad arrivare alla sociologia e alla politica, quanto, piuttosto, la misurazione empirica della felicità.
Si può misurare la felicità o si tratta di una dimensione soggettiva inespugnabile dai metodi quantitativi? Proseguendo con una domanda ancora più pregnante: data una certa misura della felicità, qual è l’utilizzo politico possibile di queste analisi empiriche?
Il celebre economista Francis Y. Edgeworth, nel lontano 1881, immaginò la possibilità di costruire un edonimetro in grado di misurare l’utilità di un individuo in ogni istante della sua vita, in modo tale da costruire l’integrale matematico della funzione di utilità e avere una misurazione precisa (e cardinale) della stessa.
Oggi possiamo dire che Edgeworth fu, in qualche modo, un visionario, ma allora, e con buone ragioni, la teoria economica, alle prese col dilemma dei confronti interpersonali di una quantità soggettiva e con i limiti tecnologici dell’epoca rispetto alla possibilità di costruire una macchina simile, optò per la teoria ordinalista di Vilfredo Pareto. Sulla base di questo approccio, il benessere degli individui è sostanzialmente inferito dalle loro scelte di consumo e misurato, dunque, attraverso indicatori monetari, quale la spesa e il reddito (non a caso si parla di approccio delle preferenze rivelate).
Il prepotente ritorno del tema «felicità» all’interno del dibattito scientifico si deve soprattutto al lavoro seminale di Richard Easterlin negli anni settanta e, in particolare, a un suo articolo pubblicato sul «Journal of Economic Behavior and Organization»2 che discuteva della relazione tra reddito e felicità. Utilizzando una prospettiva macroeconomica e servendosi di dati aggregati per paese, l’economista americano mostrò l’esistenza di una soglia critica, in termini di denaro, oltrepassata la quale un dollaro in più guadagnato non si traduce in un’unità extra di felicità, che invece si mantiene stagnante.
Tale relazione, divenuta famosa come paradosso di Easterlin, è stata oggetto di numerose critiche e tentativi di replica dell’analisi nel corso del tempo: l’ultimo articolo pubblicato, nel 2013, da Edward Diener, sembra in realtà sconfessare in modo piuttosto robusto le conclusioni del primo studio, ma oggi è un fatto universalmente accettato che il rapporto tra denaro e benessere non sia lineare. Questa evidenza ha dato di fatto il via a un intero filone di ricerche, che possiamo far rientrare all’interno della categoria happiness research.
Una questione di utilità
Per quanto riguarda la misurazione diretta dell’utilità, Daniel Kahneman ha realizzato diversi studi sperimentali su quella che viene definita utilità esperienziale 3. Nella sua prospettiva, si tratta dell’effetto istantaneo prodotto da un evento qualsiasi sul benessere di una persona, e differisce sensibilmente dall’utilità decisionale, che è la valutazione ex ante dello stato edonico dell’evento stesso.
L’esempio riportato da Kahneman è illuminante: immaginate un uomo affetto da una grave forma di amnesia, che dimentichi tutto, cioè, quello che le accade pochi attimi dopo l’esperienza stessa dell’evento. Immaginate che quest’uomo, al mattino prima di fare colazione, si trovi di fronte a due tostapane, uno dei quali è perfettamente funzionante, mentre l’altro è guasto e dà la scossa non appena si inserisce la fetta di pane al suo interno. Al momento di scegliere tra i due, l’uomo affetto da amnesia non sa quale è funzionante: se, malauguratamente, prova quello difettoso, la sua utilità esperienziale si tradurrà in un acuto senso di dolore. Il fatto è, però, che, all’indomani, di nuovo pronto a fare colazione, l’amnesia gli avrà fatto dimenticare l’esperienza del giorno precedente.
L’utilità decisionale di questo smemorato, dunque, non potrà essere basata su quella esperienziale del giorno prima e potrebbe essere distinta dalla stessa.
La domanda che Kahneman si pone, e cui cerca di dare risposta negativa supportando l’analisi con i dati, è la seguente: se utilità decisionale ed esperienziale possono essere diverse per una persona affetta da amnesia, è poi così sicuro che il problema non si manifesti in modo altrettanto serio anche per una persona che non abbia alcun tipo di problema mnemonico?
L’economia della felicità si basa molto, empiricamente, sul tentativo di dare risposta a questa domanda. Cerca di distinguere, all’interno di un concetto tanto ricco e complesso, gli effetti che producono stati emotivi transitori o condizioni di contesto su decisioni che possono avere un impatto di lungo periodo nella nostra vita.
Prova a tenere conto di questo errore di calcolo del nostro cervello. Il problema è, appunto, che le persone considerano spesso l’utilità di un certo accadimento sulla base di una valutazione retrospettiva di qualche cosa di simile accaduto in passato: cercano, cioè, di ricordare come si sono sentiti in passato rispetto a una scelta simile. L’evidenza sperimentale, unanimemente accettata, è che questa valutazione retrospettiva sia, giocoforza, distorta a causa dei limiti cognitivi e che porti conseguentemente a errori sistematici di giudizio.
Gli indicatori di soddisfazione
Le ricerche scientifiche di Kahneman sono importantissime per le scienze sociali, poiché mostrano le falle dell’approccio delle preferenze rivelate, prima citato, invitando a una riconsiderazione radicale dell’intero concetto di utilità e del suo rapporto con quello di happiness.
Una volta, tuttavia, riconosciuta la validità scientifica di questi risultati, si apre un altro filone di ricerca estremamente ricco, che è quello concernente la misurazione del valore edonico di un’esperienza. Sostanzialmente, esistono due modalità prevalenti nella letteratura empirica degli indicatori di felicità. La prima possibilità è quella di servirsi degli indicatori di soddisfazione nella vita (approccio della life satisfaction), che misurano la percezione di benessere attraverso questionari in cui alle persone viene posta una semplice domanda: «Considerando ogni aspetto della tua vita, quanto sei felice in una scala da 1 a 10?» 4.
Basandosi su EconLit, si contano centinaia di articoli scientifici pubblicati sulla base di questi indicatori soggettivi di percezione del benessere. Tale approccio è stato utilizzato per rispondere a domande di ricerca attinenti sia all’ambito microeconomico sia a quello macroeconomico. Per esempio, Di Tella e altri studiosi 5 usano le inchieste dell’Eurobarometro per studiare il trade-off tra disoccupazione e inflazione. Alesina, Glaeser e Sacerdote 6, invece, stimano l’effetto della regolamentazione del mercato del lavoro sulla felicità.
Un altro ambito d’applicazione per questo tipo di dati riguarda la politica: Curini 7, per esempio, mostra come le preferenze politiche, nonché il posizionamento ideologico del governo, possano avere un impatto sulla felicità dei cittadini.
L’utilizzo degli indicatori soggettivi di benessere ha importanti implicazioni di policy, poiché esistono correlazioni robuste tra queste misure di felicità e gli indicatori di salute. Cohen e altri suoi colleghi 8, infatti, hanno dimostrato che le persone più felici sono anche quelle che si riprendono più velocemente da un malanno e si ammalano con minore probabilità. C’è addirittura un’evidenza sperimentale interessante, in tal senso, pubblicata da Kiecolt-Glaser nel 2002: in base a questo studio di laboratorio, le persone che dichiarano un livello di soddisfazione più alto guariscono più velocemente da una ferita rispetto alle altre.
Il benessere soggettivo
Nonostante, dunque, esista una letteratura fiorente relativa alla misurazione della felicità attraverso gli indicatori di benessere soggettivo, esiste tutta una serie di problematiche che è bene elencare. Innanzitutto, ci sono alcuni eventi sicuramente importanti nella vita di una persona, come per esempio il matrimonio, che sembrano avere un impatto irrilevante su questi indicatori di well-being 9. Qui, forse, va fatto un brevissimo inciso riguardo alla definizione di felicità.
Come detto, si tratta di un concetto complesso: da un punto di vista empirico, si parla prevalentemente di stati edonici, ma esiste una scuola di pensiero più teorica, anche in economia, che considera la felicità quasi aristotelicamente (non a caso, potremmo parlare di scuola eudaimonica). Aristotele, appunto, parla della felicità come di una virtù civile, utilizzando proprio il termine eudaimonia: si tratta di un concetto dinamico, profondo e strutturale, in cui giocano un ruolo chiave le relazioni e il coltivare tali relazioni nel tempo.
La tradizione inglese di Amartya Sen e Martha Nussbaum, filosofi che si inseriscono all’interno della corrente neo-aristotelica, fa utilizzo di un’espressione, per questo concetto di più ampio respiro, che non è happiness, ma human flourishing. In Italia questa idea civile di felicità è sviluppata dagli studi di Stefano Zamagni e Luigino Bruni, che sottolineano l’importanza delle relazioni e dell’economia solidale nella costruzione di una felicità più compiuta.
Un’ipotesi, tuttavia, per cui da un punto di vista empirico i singoli blocchi dell’utilità istantanea sembrano avere un effetto di breve periodo che si stabilizza nel tempo, è quella che fa riferimento al concetto psicologico di adattamento edonico, in base al quale le persone tendono appunto ad adattarsi a un certo livello di felicità strutturale nel corso del tempo.
Un classico della letteratura è lo studio di Brickman, realizzato alla fine degli anni settanta 10, effettuato su un gruppo di vincitori milionari di una lotteria statunitense: a distanza di tempo dalla vincita, il livello di benessere soggettivo dei fortunati non è significativamente più alto di quello mostrato dal gruppo di controllo. È come se ci si abituasse a un nuovo standard, che diventa dunque un diverso punto di riferimento rispetto al quale valutare la propria felicità.
In generale, comunque, gli indicatori di benessere soggettivo sono problematici anche quando si considerano i risultati delle ricerche in laboratorio. C’è una serie di evidenze empiriche, per esempio, sul come anche piccoli episodi apparentemente insignificanti possano produrre effetti importanti sulle autovalutazioni di chi risponde al questionario dei ricercatori. Un bell’esempio, in tal senso, è quello dello studio di Schwarz 11, il quale organizzò un esperimento intrigante.
In sostanza, i soggetti che dovevano rispondere alle domande di benessere soggettivo venivano mandati, con una scusa, a fare delle fotocopie e, sulla macchina fotocopiatrice, trova vano una monetina da pochi centesimi di dollaro. Ebbene, il risultato statisticamente robusto è che, per i soggetti che trovavano la monetina, si misura un livello di soddisfazione generalmente più alto di quello degli altri soggetti.
I vantaggi dei Big Data
Un altro problema dibattuto all’interno della comunità accademica è relativo a quanto conti l’ordine delle domande nel determinare l’affidabilità delle risposte sulla felicità 12. Un articolo molto interessante di Deaton 13 ha tentato di studiare l’effetto della crisi economica sul benessere soggettivo di un campione di mille cittadini statunitensi, intervistati quotidianamente sulla loro soddisfazione attraverso l’agenzia Gallup.
Per metà di questi soggetti, però, la domanda relativa alla felicità arrivava dopo quelle sulla politica, e questo a ridosso delle elezioni che hanno visto la riconferma di Barack Obama alla Casa Bianca. In sostanza, l’articolo mostra che la soddisfazione di chi rispondeva alla domanda sulla felicità dopo quelle relative alla politica è significativamente più bassa, il che pone una serie di dubbi sull’utilità e sull’affidabilità di questi indicatori.
Negli ultimi anni, tuttavia, si sta facendo largo l’uso di una nuova metodologia, fondamentalmente grazie all’avanzamento tecnologico, che con sente di raccogliere dati decisamente alternativi e originali, per esempio attraverso l’impiego di smartphone e alle informazioni disponibili sui social network. Per questo tipo di informazioni, si è parlato recentemente di Big Data: una mole fino a oggi mai utilizzata di osservazioni che non ha la struttura classica dei dati statistici e che, di conseguenza, richiede lo sviluppo di tecniche di analisi differenti.
Questi dati hanno un enorme vantaggio: quello di riuscire a catturare lo stato edonico dei soggetti studiati in real time, al momento, cioè, in cui vivono una certa esperienza. Anche in questo caso, due sono i metodi più diffusi: uno è quello dell’Experience Sampling Method (ESM, metodo del campionamento in presa diretta) e l’altro è quello del Daily Reconstruction Method (DRM, metodo della ricostruzione giornaliera). Il primo, per l’appunto, si basa sulla raccolta di informazioni istantanee sul benessere delle persone nel loro contesto. Un punto di riferimento, per la letteratura, è la app sviluppata da un ricercatore di Harvard, Matthew Killingsworth, il quale ha pubblicato nel 2010 insieme a Gilbert i risultati della sua ricerca scientifica sulla prestigiosa rivista scientifica «Science» 14.
Track your happiness è il nome dell’app che ha consentito a questo studioso di raccogliere più di quattro milioni di osservazioni nel mondo e di dimostrare scientificamente che le persone che si distraggono con maggiore facilità sono più infelici. Questo strumento ha una funzionalità molto semplice: attraverso il telefonino, l’utente riceve quattro notifiche al giorno in cui deve rispondere a una domanda di benessere soggettivo («Quanto sei felice?») in una scala «Poco-Molto». Sulla stessa lunghezza d’onda, due studiosi della London School of Economics, Mac Kerron e Mourato 15, hanno creato Mappiness, con l’idea di studiare l’effetto delle variabili climatiche sul benessere soggettivo dei rispondenti. Anche l’Italia, comunque, non è stata a guardare: in questo caso, due ricercatori italiani, Biancini e Luciano Canova 16, hanno creato AppyMeteo, con l’obiettivo di testare sperimentalmente l’effetto del contesto sulla felicità dei rispondenti.
Un’alternativa a questa metodologia è quella sviluppata dal premio Nobel Daniel Kahneman, che viene chiamata Daily Reconstruction Method; in base a questa, le persone oggetto dello studio compilano un vero e proprio diario della felicità, annotando tutti gli eventi della giornata trascorsa con una loro valutazione edonica degli stessi. Un progetto di ricerca di fine anni ottanta di Watson e altri studiosi, denominato PANAS (Positive And Negative Affective Schedule) e diventato un punto di riferimento per la let teratura in materia, si basava sulla misurazione edonica di differenti stati emotivi, positivi e negativi.
Nell’approccio di Kahneman, i rispondenti autovalutano il proprio mood del giorno precedente, descrivendo l’evento che li ha visti protagonisti, quando è cominciato e finito, che cosa stavano facendo, dove e con chi, e riportando il livello di net affect (affetto netto) per ogni esperienza. Il net affect risulta come media (in una scala 0-6, che va da «non mi è piaciuto affatto» a «mi è piaciuto moltissimo») degli aggettivi con con notazione positiva e di quelli con connotazione negativa, per ridurre la distorsione dell’analisi retrospettiva che, come abbiamo visto, concerne la nostra capacità di ricordare correttamente il valore edonico di un’esperienza passata.
Kahneman ha scritto un articolo in cui propone di integrare il metodo DRM a livello macroeconomico per costruire una contabilità nazionale basata sul benessere soggettivo e non sul reddito. Anche questa metodologia, tuttavia, presenta parecchie criticità: per esempio, è molto complesso fare rilevazioni su grandi campioni, il che ovviamente va a discapito della rappresentatività. Per quanto invece riguarda le app descritte precedentemente, una forte criticità concerne la difficoltà di tenere conto dell’alto tasso di non risposta agli impulsi degli utenti, che potrebbe benissimo essere determinato proprio da uno stato negativo del benessere.
Un’ultima possibilità emersa in letteratura, infine, riguarda l’utilizzo crescente delle informazioni raccolte tramite i social network, il che ci proietta dentro quel nuovo filone di ricerca che riguarda i Big Data. Facebook, con il suo Facebook Data Science, ha cominciato a produrre lavori scientifici di network analysis sfruttando proprio i post degli utenti, che vengono classificati in base al loro contenuto emotivo. Con un bacino di utenza di 1,3 miliardi di persone (per abitanti, sarebbe il terzo paese del mondo), le possibilità di ricerca sono enormi, anche attraverso un setting sperimentale che consente di ridurre le distorsioni statistiche.
Twitter, invece, è già diventato oggetto di molteplici progetti di ricerca concernenti la misurazione della felicità. In particolare, Dodds e altri autori 17 hanno costruito un Hedonimeter, per l’appunto richiamandosi al dibattito già citato e relativo al sogno-visione di Edgeworth. Utilizzando gli Stati Uniti come oggetto d’analisi, viene monitorato il livello di felicità istantanea degli utenti sulla base dei loro cinguettii. L’indicatore di felicità costruito in America si serve di uno strumento messo a disposizione da Amazon e chiamato Mechanical Turk. In sostanza, degli utenti sul web sono pagati per esprimere una loro valutazione edonica di 10 mila parole della lingua inglese. Il punteggio medio per ciascuna di esse serve a costruire un vero e proprio dizionario emotivo, sulla cui base viene calcolata la felicità degli utenti.
Anche l’Italia, però, è molto innovativa in tal senso e, in particolare, una coppia di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, Luigi Curini e Stefano Iacus, hanno creato uno spin-off denominato Voices from the Blogs, attraverso il quale viene calcolato il mood degli italiani sempre servendosi di Twitter, con un indicatore che, però, attraverso un sofisticato algoritmo, parte dagli emoticon (le faccine) contenuti nei cinguettii per estendere l’analisi all’intera popolazione, con un errore massimo del 3%.
Il vantaggio nell’uso dei social network, rispetto alla misurazione della felicità istantanea, sta senz’altro nel fatto che, non trattandosi di questionari, rappresenta un primo tentativo di elaborare una libera espressione di sé, scevra dunque da qualsiasi possibile distorsione. Rimane il problema della rappresentatività del campione, al quale si aggiunge la criticità di non poter discernere chiaramente sentimenti quali ironia e sarcasmo che, spesso, si camuffano all’interno di frasi con un significato opposto a quello puramente legato al significato letterale delle parole utilizzate.
La rilevanza del numero di osservazioni raccolte (sono quasi 40 milioni di cinguettii in tutta Italia) è tale da guardare comunque con estremo favore a queste metodologie. Il futuro della ricerca scientifica rispetto alla misurazione empirica della felicità sembra dunque schiudere le porte alla realizzazione del sogno di un vero edonimetro. La domanda è: che cosa possiamo fare di queste informazioni o quale futuro ci aspetta, da un punto di vista di politiche pubbliche, con una raffinazione sempre più granulare dei dati concernenti il benessere dei cittadini?
Fonte/Testo originale: Luciano Canova, ‘The pursuit of happiness: la ricerca della felicità (e della sua misurazione)’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 2, agosto 2014, Il Mulino.
Note
- J. Bentham, An Introduction to the Principles of Morals and Leg islation (1789), Oxford, Clarendon Press, 1907, p. 1 (Chapter I).
- R.A. Easterlin, Will raising the incomes of all increase the happiness of all?, in «Journal of Economic Behavior and Organization», vol. 27, n. 1, 1974, pp. 35-47; Id., The happiness-income paradox revisited (con L. Angeluscu McVey, M. Switek, O. Sawangfa, J. Smith Zweig), in «PNAS», ottobre 2010.
- D. Kahneman, P.P. Wakker e R. Sarin, Back to Bentham? Exploration of experienced utility, in «Quar terly Journal of Economics», vol. 112, n. 2, 1997, pp. 375-405.
- R. Veenhoven, Is happiness a trait: Tests of the theory that a better society does not make people any hap pier, in «Social Indicators Research», n. 32, 1994, pp. 101-160; S. Lyubomirsky e H.S. Lepper, A measure of subjective happiness: Preliminary reliability and construct validation, in «Social Indicator Research», vol. 46, n. 2, 1999, pp. 137-155.
- R. Di Tella, R. McCulloch e A. Oswald, Preferences over inflation and unemployment: Evidence from survey of happiness, in «American Economic Review», vol. 91, n. 1, 2001, pp. 335-341.
- A. Alesina, E. Glaeser e B. Sacerdote, Work and Leisure in the US and Europe: Why so Different?, mimeo, Harvard University, 2010.
- L. Curini, W. Jou e V. Memoli, How moderates and extremists find happiness: Ideological orientation, Citizen-Government proximity, and life satisfaction, in «International Political Science Review», 2013; DOI: 10.1177/0192512113489922
- S. Cohen et al., Emotional style and susceptibility to the common cold, in «Psychosomatic Medicine», vol. 65, n. 4, 2003, pp. 652-657.
- R. Inglehart e J.R. Barbier, Aspiration adjust to situations – but why are the Dutch so much happier than the Germans? Subjective well-being in longitudinal and comparative perspective, in F.M. Andrews (a cura di), Research on the Quality of Life, Ann Arbor, Institute of Social Research-University of Michigan, 1986, pp. 1-56.
- P. Brickman, D. Coates e R. Janoff-Bulman, Lottery winners and accident victims: Is happiness relative?, in «Journal of Personality and Social Psychology», a. 36, n. 8, 1978, pp. 917-927.
- N. Schwarz, Stimmung als Information: Untersuchungen zum Einfluss von Stimmungen auf die Bewertung des eigenen Lebens, Heidelberg, Springer Verlag, 1987
- N. Schwarz e F. Strack, Reports of subjective well-being: judgmental processes and their methodological implications, in D. Kahneman et al. (a cura di), Wellbeing: The Foundations of Hedonic Psychology, New York, Russell Sage, 1987, pp. 199-202.
- A. Deaton, The Financial Crisis and the Well-being of Americans, NBER working paper, n. 17128, 2011.
- M.A. Killingsworth e D.T. Gilbert, A wandering mind is an unhappy mind, in «Science», vol. 330, 2010, p. 93; DOI: 10.1126/science. 1192439.
- http://www.mappiness.org.uk.
- https://play.google.com/store/apps/details?id=com.happymeteo&hl=it.
- P.S. Dodds, K.D. Harris, I.M. Kloumann, C.A. Bliss e C.M. Danforth, Temporal patterns of hap piness and information in a global social network: Hedonometrics and Twitter, in «PLoS ONE», vol. 6, n. 12, 2011; DOI: 10.1371/journal.pone.0026752.