Cinquant’anni fa esplode il Rapporto Meadows – parte 1

Nel mondo politico, economico e accademico l’effetto è dirompente. I limiti dello sviluppo ha aperto la via al dibattito su ambiente e sviluppo.

Autore

Pasquale Alferj

Data

1 Novembre 2022

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5' di lettura

DATA

1 Novembre 2022

ARGOMENTO

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Dennis L. Medows, uno dei due autori ancora in vita dei quattro che firmarono I limiti dello sviluppo (l’altro è Jørgen Randers), conserva un vivo ricordo del giorno in cui in una sala del Wodrow Wilson Center for Scholars nello Smithsonian Wilson Center, alla presenza di circa 250 persone – tra giornalisti, scienziati, politici, universitari – veniva presentato l’ormai celebre Rapporto del Club di Roma 1. Era il 2 marzo 1972, cinquant’anni fa. In un linguaggio semplice e un tono pacato, Medows aveva esposto le conclusioni alle quali il suo gruppo di lavoro era pervenuto.

Obiettivo dello studio era quello di «definire chiaramente i limiti fisici e le costrizioni relativi alla moltiplicazione del genere umano e alla sua attività materiale sul nostro pianeta». Chiare le conclusioni: «l’umanità non può continuare a proliferare a ritmo accelerato, considerando lo sviluppo materiale come scopo principale, senza scontrarsi con i limiti naturali del processo, di fronte ai quali essa può scegliere di imboccare nuove strade che le consentono di padroneggiare il futuro, o di accettare le conseguenze inevitabilmente più crudeli di uno sviluppo incontrollato». 

Nel Rapporto viene sottolineata l’incompatibilità tra una dinamica esponenziale della crescita economica e demografica delle società industriali e la finitezza delle risorse terrestri. Il messaggio è fragoroso e l’impatto pubblico considerevole; coinvolge meno il mondo politico ma suscita vigorose reazioni da parte del mondo accademico. Soprattutto introduce il problema ecologico nel dibattito pubblico.

Le conclusioni degli autori polarizzano l’auditorio in maniera netta tra i favorevoli e i contrari, e le critiche mosse durante la prima presentazione sono quelle che domineranno il dibattito successivo, non solo in America, e riguardano essenzialmente la metodologia e le conclusioni. In questa ricerca, per la prima volta viene usata la modellizzazione informatica, a partire da un programma messo a punto da Jay Forrester, pioniere della riflessione sulle dinamiche dei sistemi e sulle interazioni tra le numerose variabili di un sistema complesso e il suo ambiente, compresa la loro evoluzione nel tempo. Un modello di ‘mondo’ abbastanza ‘generale’ perché prende in considerazione cinque variabili, che gli autori ritengono importanti per descrivere il comportamento del sistema che vogliono comprendere. Queste variabili – ognuna di loro caratterizzata da una crescita di tipo esponenziale e potenzialmente catastrofiche – sono: l’evoluzione demografica, la produzione alimentare, l’industrializzazione, l’inquinamento, l’utilizzazione delle risorse naturali. Il modello non si focalizza su ognuna di queste ma sul loro comportamento, sulle loro interrelazioni e sulle conseguenze che implicano nella costruzione di scenari.

La costruzione degli scenari

La modellizzazione non ha valore predittivo. Gli autori non si stancano mai di ripeterlo. Il modello dei Limiti è uno strumento d’investigazione: ‘genera’ scenari che invitano a pensare il limite. Non fa previsioni e gli scenari sono solo delle ‘prospezie’ (l’espressione è di Giorgio Ruffolo), delle ipotesi di ‘futuri possibili’. Nei primi capitoli del Rapporto gli autori chiariscono che esaminare delle grandezze (popolazione mondiale, capitale ecc.) per un intervallo di tempo che va dal 1900 al 2100, «non significa che in un certo anno futuro tali grandezze assumeranno proprio il valore indicato dai diagrammi». Queste «valgono solamente per indicare le tendenze di fondo del sistema». 

Per rendere più chiaro tale concetto gli autori fanno ricorso a un esempio: 

«consideriamo una palla che viene scagliata verso l’alto: possiamo affermare con sicurezza che essa continuerà a salire e a un certo punto si fermerà, per poi invertire la direzione e cominciare a scendere con velocità crescente, fino a toccare terra. Sappiamo che essa non potrà continuare a salire indefinitamente, né potrà entrare in orbita attorno alla Terra o compiere una serie di giri nell’aria prima di ricadere». 

Sottolineano, inoltre, che l’impostazione adottata «può riuscire particolarmente utile per riformulare su basi nuove il modo di concepire globalmente le difficoltà in cui ci dibattiamo; esso consente di farsi un’idea degli equilibri che devono essere mantenuti all’interno della società umana e tra la società umana e il suo habitat, nonché delle conseguenze che possono derivare dalla distruzione degli equilibri». 

Scenari di futuri possibili

Dodici sono i ‘futuri possibili’ prospettati da I limiti dello sviluppo. Alcuni più desiderabili altri meno. Quelli più desiderabili, implicano un mix di abbattimento dell’inquinamento, di economizzazione delle risorse naturali, di riduzione della popolazione, di aumento della resa delle terre grazie a una coltura non intensiva, della rinaturalizzazione di una parte del suolo consumato (impermeabilizzato), del ricorso a tecnologie sempre più efficaci, facendo però attenzione agli eventuali effetti collaterali. Gli scenari meno desiderabili sono quelli ai quali si perviene quando si lascia che la crescita continua superi i livelli di sostenibilità e interventi parziali e diluiti nel tempo finiscono per condurre, entro il XXI secolo, a un ‘declino incontrollabile’ (nel Rapporto non viene mai usato il termine ‘collasso’, e Meadows l’ha più volte precisato).

E, comunque, le ‘visioni’ degli autori dei Limiti non vanno oltre il 2100. Fare presto a iniziare a invertire la rotta è l’invito implicito degli autori del Rapporto e dei suoi committenti.I limiti dello sviluppo (ma la traduzione più corretta è I limiti della crescita) è un volume di poco più di cento pagine, ben strutturato e scritto in modo comprensibile; chiare le idee di partenza e anche le proposte, provvisto di un forte apparato visivo fatto di grafici concisi, eloquenti e colorati, con didascalie esplicative che aiutano la lettura e a fissare nella memoria i concetti più importanti.

Rapida è la sua diffusione: tradotto in tutto il mondo, è il primo documento che inaugura la riflessione sull’incompatibilità tra la dinamica esponenziale della crescita economica e demografica delle società industriali e la finitezza delle risorse terrestri. Lo sforzo di sintesi – ha alle spalle un documento più dettagliato di circa 600 pagine – e la cura grafica, distinguono l’agile pamphlet dalle altre pubblicazioni scientifiche ed economiche allora in circolazione. 

Note

  1. Organizzazione informale, no profit, di scienziati, manager, amministratori e attivisti dei diritti civili, molto trasversale – appartenenti sia al blocco atlantico sia a quello socialista o del cosiddetto Terzo mondo. Godeva, grazie alle personalità di tutto il mondo che ne facevano parte, di appoggi finanziari esterni provenienti da grandi gruppi industriali. La ricerca che ha dato origine al volume è stata finanziata dalla Fondazione.

    A fondare il Club di Roma sono stati Aurelio Peccei (imprenditore e attivissimo manager) e Alexander King (all’epoca direttore generale per gli affari scientifici dell’OECD).

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