Cura, prossimità e presenza

Cura, prossimità e presenza. Tre parole chiave contro il mondo videogame.

Autore

Ezio Manzini

Data

5 Settembre 2022

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5' di lettura

DATA

5 Settembre 2022

ARGOMENTO

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Una riflessione sui concetti di cura, prossimità e presenza, e la loro interazione.1

Vedremo come tutto ciò che ci interessa davvero (come la salute, l’educazione, la cultura, la democrazia) richieda cura. E richiede uno spazio fisico di prossimità in queste relazioni di cura possano aver luogo. D’altro lato, le condizioni in cui ciò possa avvenire sono messe in crisi dall’esistenza di potenti idee e proposte che attraggono sempre più persone per sempre più tempo in tutt’altra direzione. Quella di un mondo videogame, senza presenza e senza prossimità. E quindi senza cura. 

1. La cura è una forma di relazione indissolubilmente legata a condizioni di prossimità. Non c’è cura (tra gli umani e tra essi e l’ambiente) senza che ci sia vicinanza e condivisione dello stesso sistema di prossimità. In breve, la cura è una forma di relazione tattile e quindi in presenza: uno scambio tra corpi uno di fronte all’altro

Questo vale per ogni ambito in cui essa si applica: da quello assistenziale e sanitario (come ci ha insegnato la pandemia i servizi socio-sanitari devono essere sul territorio, in prossimità), a quello educativo (come dice il proverbio africano: «ci vuole un villaggio per educare un bambino»). Da quello della produzione di qualità (come ci hanno mostrato i migliori distretti produttivi italiani), a quello della rigenerazione ambientale (come si vede nel modo di operare delle comunità che sono state capaci di vivere integrandosi positivamente nel loro ecosistema).    

Questa relazione tra cura e prossimità è, ovviamente, sempre esistita. Ma per molto tempo non l’abbiamo saputa vedere. Nel passato premoderno perché appariva ovvia e quindi non degna di nota. Infatti, prima delle telecomunicazioni, le relazioni di cura, come per altro tutte le forme di interazione, avvenivano (quasi) solo quando i corpi erano a contatto. Poi, con le telecomunicazioni, hanno cominciato a poter avvenire anche a distanza, in quello che veniva vissuto come un altro spazio, che si affiancava allo spazio fisico: lo spazio della multimedialità, che oggi è diventato lo spazio digitale. Il risultato è che le nostre vite, da tempo ormai, hanno luogo in un mondo ibrido, fisico-digitale, con la parte digitale che, via via, è andata aumentando di importanza. 

In questo quadro il Covid, e il distanziamento fisico che ha richiesto, ha avuto un duplice effetto: ha spostato ancora di più il baricentro delle nostre vite verso la componente digitale del mondo ibrido in cui ci troviamo. Ma, al tempo stesso, ha mostrato l’importanza dello spazio fisico e della collocazione in esso dei corpi e delle cose. E questo è successo proprio perché, ponendo all’attenzione di tutti il tema della cura, ha reso tangibile che non si può prescindere dalla loro topologia. Cioè da come i corpi e le cose si collocano nello spazio fisico. 

Oggi, il mondo ibrido, fisico e digitale, in cui ci troviamo è il terreno di uno scontro epocale tra idee e proposte opposte: quelle in cui la vita è sempre più spesa nella sua componente digitale (e in cui, contestualmente, calano il tempo e l’interesse dedicati alla sua componente fisica). E quelle per cui la vita resta radicata nel mondo fisico, concependo quello digitale come una sua estensione (cioè come uno spazio in cui si opera per migliorare il funzionamento e la qualità del mondo fisico).

2. Il primo gruppo di idee e proposte si riferisce ad uno scenario che possiamo chiamare il mondo videogame. Un mondo in cui il baricentro delle attività umane si sposta sempre più nel mondo digitale e, volendo, tutto si può fare restando a casa. 

Questo scenario ha dalla sua la potenza economica delle grandi imprese che lo sostengono (prime tra tutte le grandi piattaforme digitali e quelle che oggi propongono diverse forme di metaverso). Ma non c’è solo questo. C’è anche il fatto che questo mondo è oggettivamente attraente. E questo perché è stato ingegnerizzato per essere sempre più user friendly e coinvolgente. Se dunque alle persone viene prospettata la possibilità di fuggire da un mondo fisico difficile (perché imprevedibile, pericoloso e stancante) per rifugiarsi in uno in cui tutto appare semplice e attraente (perché preordinato, coinvolgente, emozionante ma anche leggero e sicuro, come un videogame, appunto) perché non dovrebbero entrarci e starci il più possibile? 

Il problema è che quest’immagine di un mondo divertente, attraente, sicuro e dematerializzato è falsa. Le promesse che fa non possono essere mantenute. Per esistere, esso ha bisogno di un mondo fisico che lo sostenga: un mondo di corpi chiusi e isolati nelle loro case, sostenuti da servizi di supporto. Un mondo in cui molti devono lavorare come schiavi per far sì che chi sta nel mondo videogame possa continuare a giocare (ricevendo a domicilio ciò che serve per la propria sopravvivenza biologica). Un mondo sempre più saccheggiato delle sue risorse (quelle necessarie per sostenere l’energivoro videogioco in cui così tanti passano così tanto tempo). E un mondo di cui nessuno ha cura (perché tutti sono distratti da quello che succede nel mondo digitale).

3. Il secondo gruppo di idee e proposte si riferisce invece ad uno scenario che possiamo chiamare il mondo in prossimità. Un mondo che emerge da diverse innovazioni sociali, culturali e istituzionali che, nei due decenni passati, hanno portato in primo piano il tema della cura e della prossimità relazionale e fisica. E, così facendo, hanno teso ad orientare l’innovazione tecnica verso sistemi capaci di stimolare e supportare l’attenzione, la collaborazione e la vicinanza tra le persone e tra di esse e il loro ambiente.  In breve, sistemi che rendono le persone capaci di cura. 

Certamente, poiché la cura e la prossimità di cui parliamo avvengono nel mondo ibrido di cui si è detto, anche la cura e la prossimità lo saranno. In questo sta la difficoltà a comprenderle e a metterle in pratica: la cura e la prossimità in un mondo ibrido non sono le stesse che avevamo conosciuto nel passato premoderno.  E questo non solo perché le tecnologie offrono più strumenti, ma perché, come ormai sappiamo, esse sono strumenti che cambiano chi li usa. Anche chi li usa nel nodo virtuoso che questo scenario propone.  Per superare questa difficoltà è fondamentale l’osservazione dell’innovazione sociale trasformativa di cui si è detto. E questo perché, facendolo, possiamo vedere non solo i risultati raggiunti, ma anche come ciò sia avvenuto e perché i suoi promotori abbiano agito. Cioè cosa per loro abbia significato l’aver cura e l’essere in prossimità.  

Questa osservazione può dunque mettere in evidenza la natura del collegamento tra cura e prossimità in un mondo ibrido. Ma non solo. Può portare anche a mettere a fuoco un terzo importante concetto: quello di ‘presenza’, inteso come la condizione di essere effettivamente dove si è in un dato momento. Cioè: la capacità di resistere alle distrazioni del mondo digitale e di essere presenti e disponibili in persona, con mente e corpo. In un quel momento e in quel luogo.

Note

  1. Questo articolo ha come retroterra quanto proposto nel libro: Ezio Manzini, Abitare la prossimità, Egea 2021
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