I Paesi del mondo hanno una diversa capacità di sviluppo economico per via delle loro differenti istituzioni, delle regole che influenzano il funzionamento dell’economia e degli incentivi che motivano i singoli individui.
Insignito del Premio Nobel nel 2024 insieme a Simon Johnson e James A. Robinson, Daron Acemoğlu è una figura centrale nell’economia contemporanea, noto per la sua analisi incisiva delle cause alla radice della crescita economica, delle disuguaglianze e dello sviluppo politico. La sua opera si distingue per l’enfasi sul ruolo delle istituzioni, della tecnologia e dei meccanismi politici nel determinare i risultati economici.
Nato a Istanbul nel 1967, il percorso di Acemoğlu verso l’eccellenza nelle discipline economiche è segnato da un solido background accademico. Ha conseguito una laurea in Economia e Matematica presso l’Università di York nel 1989, seguita da un Master in Ekonometria presso la London School of Economics (LSE) nel 1991. Ha poi completato il suo dottorato di ricerca in Economia, sempre presso la LSE, nel 1992. Attualmente, Acemoğlu è professore di Economia presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), dove continua a insegnare e a contribuire attivamente alla ricerca economica. Oltre al Nobel, Acemoğlu ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per il suo lavoro, tra cui la Medaglia John Bates Clark (2005), il Premio Erwin Plein Nemmers in Economia (2012) e il Premio BBVA Foundation Frontiers of Knowledge (2016). È membro della National Academy of Sciences e dell’American Academy of Arts and Sciences.
Acemoğlu, tra i dieci economisti più citati al mondo, è stato un pioniere nello sviluppo dell’economia istituzionale, un campo che pone l’accento sull’importanza delle istituzioni nel plasmare i risultati economici di una nazione.
I suoi studi hanno contribuito in modo significativo alla letteratura sulla crescita economica, evidenziando il ruolo cruciale dell’innovazione tecnologica, dell’accumulazione di capitale umano e della qualità delle istituzioni nel guidare una crescita sostenuta nel tempo. Ha anche esaminato l’impatto della disuguaglianza sulla crescita, dimostrando come i suoi elevati livelli possano ostacolare la crescita economica, limitando l’accesso all’istruzione, riducendo l’accumulazione di capitale umano e soffocando l’innovazione.
Acemoğlu ha inoltre fornito importanti intuizioni nel campo dell’economia politica, studiando come i sistemi politici, la democrazia e l’autoritarismo ad esempio, influenzino le politiche e i risultati economici, non trascurando l’impatto dei gruppi di interesse e delle attività di lobbying sulle decisioni politiche e rivelando come questi fattori possano distorcere le politiche economiche a vantaggio di pochi.
I suoi studi, più recentemente, hanno indagato a fondo gli effetti dell’automazione e dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro, un tema di crescente rilevanza nell’era digitale, dimostrando che, sebbene l’automazione possa aumentare la produttività e l’efficienza, può anche portare alla perdita di posti di lavoro, all’erosione dei salari e all’aumento della disuguaglianza. I suoi studi sostengono che le politiche attive del mercato del lavoro, gli investimenti nell’istruzione e nella riqualificazione professionale e i meccanismi di condivisione dei benefici derivanti dall’automazione sono essenziali per mitigare gli effetti negativi dell’automazione sul lavoro e garantire una distribuzione più equa dei suoi benefici.
Acemoğlu pone in discussione la presunta neutralità del progresso tecnologico, sottolineando come le decisioni riguardanti lo sviluppo e l’implementazione delle nuove tecnologie spesso riflettano gli interessi di ristrette élite, mettendo così in evidenza come la tecnologia possa essere utilizzata per esercitare il controllo sociale e politico. Il caso della Cina, con la sorveglianza e la censura delle opinioni politiche e di aziende come Facebook, con la manipolazione dei dati degli utenti a fini commerciali, ne sono esempi eclatanti.
Acemoğlu ha dedicato una parte considerevole della sua attività di ricerca all’analisi delle cause e delle conseguenze della disuguaglianza economica. Ha studiato come le istituzioni, le politiche e le trasformazioni tecnologiche contribuiscono a generare sia disuguaglianze di reddito sia ricchezza. Affrontare la disuguaglianza richiede un approccio globale che deve comprendere politiche volte a promuovere l’accesso all’istruzione di qualità per tutti, a rafforzare il potere contrattuale dei lavoratori, a riformare i sistemi fiscali per renderli più progressivi e a garantire una rete di sicurezza sociale adeguata per proteggere i più vulnerabili.
Lo studioso adotta una visione dinamica dello sviluppo economico, riconoscendo che le istituzioni, la tecnologia e la politica sono in costante evoluzione e che il successo di una società dipende dalla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti.
In questo senso, le istituzioni politiche ed economiche di una società sono determinanti per il suo successo economico a lungo termine. Istituzioni inclusive, che garantiscono i diritti di proprietà, fanno rispettare lo stato di diritto e promuovono la partecipazione politica, sono essenziali per incentivare l’investimento, l’innovazione e la crescita economica.
L’innovazione tecnologica è un motore fondamentale della crescita economica, ma il suo impatto sulla società dipende da come viene sviluppata, implementata e regolamentata. Le politiche che promuovono un’innovazione tecnologica ‘diretta’, che aumenta la produttività dei lavoratori e crea nuove opportunità di lavoro, sono preferibili a quelle che si concentrano esclusivamente sull’automazione e sulla sostituzione del lavoro umano.
La politica gioca un ruolo cruciale nel plasmare le istituzioni e le politiche economiche di una società. I sistemi politici inclusivi, che garantiscono la partecipazione dei cittadini e la responsabilità dei leader, sono essenziali per promuovere politiche economiche che beneficiano la maggioranza della popolazione.
Nel suo libro più famoso, Perché le nazioni falliscono (scritto con James A. Robinson), Acemoğlu presenta una solida teoria per spiegare le grandi divergenze nella prosperità economica tra i Paesi del mondo.
La domanda di ricerca alla base di questo lavoro è chiara: per quale ragione nel mondo convivono prosperità e indigenza? La risposta non è geografica: il caso del Botswana, che cresce a ritmi vertiginosi mentre paesi africani vicini, come Zimbabwe, Congo e Sierra Leone subiscono miserie e violenze, smentisce questa interpretazione. La risposta non è culturale. Come si spiegano le enormi differenze tra il Nord e il Sud della Corea? E che dire di Nogales, Arizona, che ha un reddito pro capite tre volte più alto di Nogales, Sonora, città gemella messicana? La tesi centrale del libro è che le istituzioni economiche e politiche di una società sono il fattore determinante del suo successo o del suo fallimento.
Acemoğlu e Robinson distinguono tra le ‘Istituzioni Estrattive’ – progettate cioè per estrarre risorse e ricchezza dalla maggioranza della popolazione a beneficio di una ristretta élite e caratterizzate da una mancanza di diritti di proprietà sicuri, da un sistema legale iniquo e da una limitata partecipazione politica – e le ‘Istituzioni Inclusive’ – progettate per promuovere la partecipazione economica e politica di un’ampia fascia della popolazione e caratterizzate da diritti di proprietà sicuri, da un sistema legale equo, da un accesso relativamente aperto alle opportunità economiche e da un governo responsabile nei confronti dei cittadini. Le istituzioni estrattive soffocano l’innovazione, scoraggiano l’investimento e portano alla stagnazione economica. Le istituzioni inclusive, al contrario, incentivano l’innovazione, promuovono l’investimento e portano alla crescita economica sostenuta.
Acemoğlu e Robinson sostengono che le differenze nelle istituzioni sono il risultato di processi storici e politici. Le ‘congiunture critiche’, momenti di svolta nella storia, possono portare a cambiamenti istituzionali che hanno conseguenze di vasta portata per lo sviluppo economico futuro di un Paese.
Nel loro libro La Strettoia, Acemoğlu e Robinson ampliano la loro analisi istituzionale, concentrandosi sull’importanza di trovare un equilibrio ottimale tra lo Stato e la società: sia uno Stato troppo debole sia uno Stato troppo forte possono ostacolare la libertà e la prosperità.
Lo Stato Debole (Leviatano di Carta) è incapace di far rispettare le leggi, proteggere i diritti di proprietà e fornire servizi pubblici essenziali, porta all’anarchia, alla violenza e alla stagnazione economica. In tali contesti, i cittadini sono lasciati soli, come evidenzia il caso della Repubblica Democratica del Congo.
Al suo opposto uno Stato troppo forte (Dispotismo), che esercita un controllo eccessivo sulla società e sull’economia, può sopprimere la libertà, soffocare l’innovazione e portare alla corruzione e all’inefficienza.
Il successo di una società dipende dunque dalla sua capacità di creare uno ‘Stato incatenato’, ossia uno Stato sufficientemente forte per far rispettare le leggi e proteggere i diritti, ma anche sufficientemente limitato da istituzioni politiche inclusive e da una società civile vivace da prevenire l’abuso di potere.
In un più recente lavoro, Potere e Progresso (scritto con Simon Johnson), Acemoğlu e Johnson affrontano un tema di crescente importanza nell’era digitale: la direzione del progresso tecnologico e il suo impatto sulla società.
Gli autori mettono in guardia da una visione acritica e deterministica della tecnologia, sottolineando che il progresso tecnologico non è un processo automatico e inevitabile, ma è piuttosto il risultato di scelte politiche ed economiche che riflettono gli interessi e i valori delle élite al potere.
Nel corso della storia dell’umanità, il cambiamento tecnologico – che si tratti dei miglioramenti agricoli nel Medioevo, della Rivoluzione industriale o dell’odierna intelligenza artificiale – è stato visto come il principale motore della prosperità, qualcosa da cui avremmo tratto solo vantaggi. La realtà, però, si è sempre rivelata più complessa. Nel XIX secolo, l’introduzione della sgranatrice aumentò enormemente la produttività della coltivazione di cotone e trasformò gli Stati Uniti nel suo primo esportatore mondiale, ma allo stesso modo intensificò la ferocia dello schiavismo e della segregazione razziale.
Acemoğlu e Johnson sostengono che, negli ultimi decenni, il progresso tecnologico è stato eccessivamente orientato verso l’automazione e la raccolta di dati, a scapito di altre forme di innovazione maggiormente utili ai lavoratori e la società nel suo complesso, evidenziano come questa ‘direzione distorta’ abbia contribuito all’aumento della disuguaglianza, alla polarizzazione politica e all’erosione della democrazia.
Gli autori propongono una serie di politiche per riorientare il progresso tecnologico verso una direzione più inclusiva e socialmente desiderabile, tra le quali: investimenti in istruzione e formazione, preparando i lavoratori alle nuove competenze richieste dall’economia digitale; sostegno all’innovazione ‘diretta’: incoraggiare lo sviluppo di tecnologie che aumentano la produttività dei lavoratori e creano nuove opportunità di lavoro; regolamentazione dei mercati digitali: limitare il potere monopolistico delle grandi aziende tecnologiche e proteggere la privacy dei dati degli utenti; rafforzamento dei sindacati: aumentare il potere contrattuale dei lavoratori e garantire una distribuzione più equa dei benefici del progresso tecnologico; nuova narrazione sulla tecnologia: promuovere una visione della tecnologia come strumento per il progresso sociale e il benessere umano, piuttosto che come strumento neutro.
È fuor di dubbio, dunque, che il lavoro di Acemoğlu ha avuto un impatto profondo sulla scienza economica e sulla politica. La sua ricerca ha contribuito a plasmare la nostra comprensione delle cause alla radice della crescita economica, della disuguaglianza e dello sviluppo politico e ha stimolato un ampio dibattito sull’importanza delle istituzioni, della tecnologia e della politica per il successo economico e sociale. Le sue intuizioni hanno contribuito a informare le politiche economiche in molti Paesi, con l’obiettivo di creare istituzioni più inclusive, promuovere l’innovazione tecnologica ‘diretta’ e ridurre le disuguaglianze.