Confini della scienza e limiti del linguaggio

La scienza non solo descrive il mondo, ma lo trasforma, ponendo sfide etiche e linguistiche. Il linguaggio scientifico, sempre più specialistico, crea barriere e nuove forme di ignoranza.

Autore

Riccardo Emilio Chesta

Data

24 Marzo 2025

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DATA

24 Marzo 2025

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La massima di Ludwig Wittgenstein per cui i limiti del linguaggio sono i limiti del mondo1 presenta con giusta efficacia il tema dei rapporti tra linguaggio e scienza. Senza ridurre la scienza a una mera attività linguistica, ne definisce il carattere umano di relazione con il mondo. Questo aspetto va dunque oltre il semplice realismo ingenuo. Che il mondo esista indipendentemente da chi lo pensa non esclude che il mondo di cui si dà spiegazione possa essere conosciuto solo attraverso un insieme di pratiche umane materiali e linguistiche come il linguaggio. Che la scienza sia performativa, anche a partire dai propri atti linguistici, ovvero uno strumento conoscitivo e attivo, di conoscenza e di trasformazione del mondo, è cosa evidente con la stessa ridefinizione dei confini tra ciò che è naturale e artificiale. Eppure, proprio questa capacità e potenza, ben oltre la mera pretesa di spiegazione del mondo, si è iniziata a percepire forse solo con l’avvento della genetica e con le sue potenzialità sovra-umane. Forme di conoscenza che hanno aperto a ipotesi di manipolazione e intervento sul destino umano da richiedere ulteriori riflessioni sul ruolo dell’etica che già Hans Jonas riteneva fondamentali nel suo ‘principio di responsabilità’ elaborato all’inizio dell’era nucleare, più o meno coevo alla celebre massima adorniana circa l’impossibilità di poetare dopo Auschwitz.

Un discorso sui limiti del linguaggio si rivela quindi ancor più necessario viste le potenzialità faustiane della scienza e i rischi che una scarsa attenzione a ciò che si definisce possa implicare direttamente o indirettamente una scarsa misura degli interventi sul mondo.

La chiave del problema del linguaggio della scienza sta nel suo stesso paradosso: la sua importanza cresce all’accrescere delle potenzialità di intervento materiale della scienza stessa. Resa sempre più ormai tecnoscienza, fusione di conoscenze e intenti applicati alla manipolazione del mondo, disegnata secondo i parametri e le declinazioni di un’idea governamentale un’impresa tangibile, essa dispiega un armamentario tecnico e materiale molto sofisticato e per certi versi sempre più incomprensibile, al di fuori delle cerchie sempre più ristrette degli specialisti. La stessa evoluzione della scienza, per natura legata a un processo di specializzazione crescente sia nelle sue tecnologie che nella sua divisione del lavoro, non può che portare a indagare oggetti di studio via via più complessi e articolati, nonché invisibili al senso comune e la cui definizione sfugge al linguaggio ordinario. Nelle facoltà scientifiche e tecnologiche più avanzate, questa problematizzazione ha avuto diverse declinazioni. Se la classicità di queste riflessioni si può riscontrare nella tesi weberiana del processo di razionalizzazione del mondo come progressivo svuotamento di senso – l’uomo della giungla che conoscerebbe meglio il proprio ambiente esterno rispetto al moderno uomo della civiltà tecnologica – in anni più recenti gli studi sociali di scienza e tecnologia hanno declinato queste problematiche prendendo a oggetto le crescenti sacche di ‘ignoranza’ determinate dall’evoluzione della tecnoscienza stessa. Sia, come nel caso tedesco, in termini di Nichtwissen2 le ricerche sul ‘non sapere’ degli scienziati, sia, come nel caso anglosassone, gli ignorance studies3.

Nomi diversi per dare un linguaggio al non sapere generato dalla scienza stessa e la cui salienza è legata alla sempre più necessaria cultura della precauzione con cui si affrontano i suoi rischi attesi e inattesi, intenzionali e non intenzionali. Rischi che mostrano l’irriducibilità della questione a mera opera di interpretazione semantica, come descrive qualche esagerazione postmoderna. 

Come ogni attività umana, la scienza ha bisogno di metafore e forme retoriche specifiche per poter ridurre l’incertezza delle cose che osserva, darne un nome e comunicare le proprie osservazioni. Ma oltre a questo, il linguaggio specialistico con cui organizza i propri saperi ha effetti anche sui processi di costruzione di confini che includono ed escludono attori specifici. Questo processo appare ancor rilevante all’interno di comunità che, essendo sempre più specializzate e complesse, sempre più appaiono ‘esoteriche’, staccate e isolate dagli esterni, dai non esperti o addetti ai lavori. 

E tuttavia questo processo di isolamento funzionale non rende gli scienziati esenti da condizionamenti storici e sociali esterni. Da essi traggono non solo risorse materiali e intellettuali, ma anche influenze culturali per lo studio dei problemi, definizioni e linguaggi di cui si servono per dare un senso e una significatività alle loro scoperte.

È noto come la nozione di ‘selezione naturale’ non fosse certo stata coniata da Charles Darwin ma da lui adottata dopo aver conosciuto l’opera del filosofo Herbert Spencer ed esser rimasto influenzato da concetti di natura utilitarista come quello di ‘sopravvivenza del più adatto’.

I complessi contesti culturali dentro i quali la scienza opera creano scambi e forme di compenetrazione tra significati non riducibili, come direbbe un certo senso comune, a processi unilineari che dalla scienza passano alla società. Il concetto di feedback può infatti applicarsi anche alle connessioni tra mondo della cultura e mondo delle scienze naturali4

Nel testo Tempi storici, tempi biologici il chimico ed ecologista Enzo Tiezzi5 affronta il tema della necessità di costruire una ‘coscienza di specie’ per far fronte alla crisi ecologica rielaborando così uno dei concetti cardine dell’impianto sociologico marxiano. Nell’illustrare i grandi punti di contatto tra le culture scientifica e umanistica evoca la necessità di una riforma culturale che superi le divisioni, il riduzionismo e la simmetrica ignoranza che possono generare. Se la poesia ‘Il Passero Solitario’ di Leopardi mostra una perfetta conoscenza delle abitudini biologiche del Monticula Solitarius da parte del poeta di Recanati, difficilmente quella stessa conoscenza è patrimonio delle punte più acculturate delle classi dirigenti italiane che conoscono probabilmente la poesia. Il caso è usato come esempio di una profonda e rigorosa conoscenza scientifica che si fa fonte di ispirazione di un nuovo linguaggio e ne capovolge metonimicamente la funzione, mostrando ciò che è osservabile con canoni diversi dalla scienza empirica, finendo per arricchirne il significato.

Lo storico della scienza Peter Galison ha definito con trading zones6 la negoziazione necessaria tra pratiche scientifiche contemporanee che come culture che abitano campi specifici con regolazioni e scopi determinati si incontrano su problemi reali e ne ridefiniscono l’entità. Il risultato è spesso l’ibridazione necessaria dei linguaggi sia come condizione di partenza per poter ridurre i costi cognitivi d’ingresso delle diverse componenti disciplinari che compongono grandi organizzazioni scientifiche complesse, sia come risultati della ricerca che vengono definiti in nuove forme.

Se i processi di risignificazione tra linguaggi afferenti a campi disciplinari sono sempre più una condizione costitutiva degli attuali programmi di ricerca tecnoscientifica, al contempo questa negoziazione semantica si estende poi sempre più a campi esterni. 

Le applicazioni della tecnoscienza, avendo direttamente uno scopo di trasformazione della vita e dell’economia, vanno direttamente a toccare questioni di legittimità sociale e politica. La crescente partecipazione di pubblici, che sia nella forma di cittadini, lavoratori, consumatori – o più generale di viventi e abitanti della Terra – rende scontato un costante lavoro di traduzione. 

Non è solo una questione di divulgazione scientifica, per quanto alta e nobile possa essere fatta. Si tratta della modalità con cui si riassumono conoscenze complesse in oggetti che vivono di vita – policy recommendations, policy reports e così via – che hanno implicazioni sul tipo di deliberazione, regolamentazione o azione politica che viene intrapresa.

Ed è proprio in quel passaggio che possono intervenire effetti di distorsione del linguaggio. Anche il linguaggio scientifico deve quindi fare i conti con chi invade i suoi limiti. Alcune analisi del discorso focalizzate sull’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) hanno mostrato quanto anche il linguaggio della scienza possa sentirsi in alcune condizioni sotto assedio. Nel crescente clima di polarizzazione innescato dai think tank conservatori negazionisti sono sorte delle forme parallele di ‘comunità epistemiche’ pretestuosamente ad hoc come il NIPCC – Nongovernmental International Panel on Climate Change – che adotta linguaggi aggressivi per screditare gli scienziati dell’IPCC (a tratti definiti come ‘un gruppo di fanatici’, o ‘un’organizzazione di stampo sovietico’). L’estremizzazione di tale linguaggio ha come effetto quello di aver progressivamente indotto i membri dell’IPCC a usare linguaggi più cauti nei propri report per evitare l’esposizione a strumentalizzazioni pubbliche dei propri lavori7.

I conflitti della contemporaneità ci mostrano la sempre maggior rilevanza della scienza e la sua sempre nuova capacità di sfidare i limiti del mondo. Al contempo, sempre più rilevante appare la capacità di elaborare i limiti del suo linguaggio e del suo governo.

Note

  1. L.  Wittgenstein, [1921] Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino 2009.
  2.  S. Böschen e P.  Wehling, La scienza tra responsabilità delle conseguenze e ignoranza (Wissenschaft zwischen Folgenverantwortung und Nichtwissen. Aktuelle Perspektiven der Wissenschaftsforschung), VS Verlag für Sozialwissenschaften, Wiesbaden, 2004.
  3. Parte degli studi sociali sull’ignoranza, attualmente in espansione, può dirsi già presente nel fondatore della sociologia della scienza, Robert King Merton. Si veda, R. K. Merton. Three fragments from a sociologist’s notebooks: establishing the phenomenon, specified ignorance and strategic research materials, in “Annual Review of Sociology”, vol. 13, 1987, pp. 1-28.
  4. Sempre nello stesso contesto dell’esempio citato, è celebre la diatriba sul rapporto tra Darwin e Marx. I rapporti tra i due studiosi e tra le loro opere sono stati fortemente influenzati sia dai rispettivi campi di azione sia dalla crescente opposizione alle loro opere. Rimane però celebre, a testimonianza di queste influenze, l’orazione funebre di Engels in onore di Marx dove equipara la rilevanza di Darwin nello scoprire le ‘leggi della natura’ a quella di Marx nello scoprire le ‘leggi della società’. Sociologia e biologia in tal caso sono equiparate come campi che pur nella diversità di oggetto ‘scoprono leggi’ e sono perciò unite dallo stesso linguaggio scientifico.
  5. E. Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, Donzelli Editore, Roma, 2001.
  6. P. Galison, Image and logic: a material culture of microphysics. The University of Chicago Press, Chicago, 1997.
  7. S. Medimorec e G. Pennycook, The language of denial: text analysis reveals differences in language use between climate change proponents and skeptics, in “Climatic Change”, vol. 133, n. 4, 2015, pp. 597–605
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