Siamo fatti così: il Lato B, forma e funzione dell’umano

Autore

Andrea Bellati

Data

7 Marzo 2025

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TEMPO DI LETTURA

6' di lettura

DATA

7 Marzo 2025

ARGOMENTO

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Cosa ci identifica come esseri umani? Cioè, quali sono le caratteristiche anatomiche che rendono unica la nostra specie? Ecco, forse tutti non sanno che le cose che ci qualificano come Homo sapiens, cioè le cose che abbiamo solo noi, sono fondamentalmente tre: il super cervello, il mento e quel bisillabo che viene dal latino culus, che a sua volta deriva dal greco kòilos, ovvero vuoto, concavo. Dalla stessa parola discende anche colon cioè il tratto finale dell’intestino che proprio là volge al termine. Siamo gli unici animali dotati di un fondoschiena tondo, carnoso e prominente. Le grandi scimmie, nostre parenti, hanno chiappette striminzite. Gorilla, scimpanzé, bonobo e oranghi hanno le gambe praticamente attaccate alla schiena. I nostri glutei massicci sono formati da tre muscoli: il grande, il medio e il piccolo gluteo, in ordine logico di dimensioni. La parola ‘natiche’ è usata erroneamente come sinonimo di glutei ma si tratta di due cose diverse: le natiche comprendono i glutei e la rotondità adiposa, cioè grassa, posta sopra ai tre muscoli, insomma, la parte morbida.

Perché abbiamo le natiche quindi, a cosa servono? Il nostro sedere fa un sacco di cose. Partiamo da qualche considerazione meccanica ed evolutiva. Noi umani abbiamo i glutei sviluppatissimi perché camminiamo eretti da circa sei milioni di anni. Infatti, la postura eretta e la locomozione bipede, cioè su due zampe, necessita di muscoli grandi e forti per mantenere la stabilità del bacino e del tronco. Il grande gluteo è il muscolo più grosso e più forte del corpo umano. Anzi, i glutei lavorano per bilanciare il peso del corpo su una gamba mentre l’altra si sta muovendo in avanti per compiere un passo. Quindi, questi muscoli impediscono che il bacino ceda lateralmente quando camminiamo o stiamo in piedi fermi mentre aspettiamo l’autobus o siamo in coda nell’ufficio postale. Ecco perché le scimmie nostre parenti non hanno le natiche: non pagano le bollette e si spostano prevalentemente su tutte e quattro le zampe, solo occasionalmente si alzano e camminano in piedi. Noi invece siamo maratoneti eccezionali, anzi, la corsa e la postura eretta hanno modellato il nostro corpo. Un tempo nemmeno noi avevamo le natiche, infatti conducevamo una vita perlopiù arboricola.

Cosa spinse una popolazione di animali della foresta più simili agli scimpanzé che a noi umani moderni ad abbandonare le chiome degli alberi, sicure e ricche di frutta in ogni stagione, per muovere passi incerti allo scoperto, con il rischio costante di finire tra le zanne di un felino? La risposta è: il cambiamento climatico. Una lunga era con un clima più secco ridusse l’estensione delle foreste pluviali africane. Le scimmie che vivevano nelle aree centrali quasi non si accorsero dell’avvenimento, infatti sono rimaste lì: sono gli scimpanzé e i gorilla, le specie a noi più vicine. Lo stesso non accadde per le altre scimmie. Il clima secco trasformò le aree periferiche delle foreste in savana e spinse giù dagli alberi quelle scimmie di periferia perché il cibo non era più a portata di mano ma bisognava cercarlo e per questo camminare parecchio. Gli australopitechi nostri antenati, la mitica Lucy era una di loro, erano piccoli e gracili, con la faccia ancora da scimmia ma con i piedi buoni per camminare su due zampe. Abbiamo cominciato così e non abbiamo più smesso di marciare su gambe sempre più robuste, con le braccia più corte è vero ma con le mani libere di fare, afferrare e usare cose. La nostra postura diventò sempre più eretta e meno scimmiesca, infatti, all’australopiteco seguì l’Homo erectus che comparve 2 milioni di anni fa ed era un camminatore talmente abile da spingersi fino ai quattro angoli del mondo. Ci sono fossili di erectus in Africa, dove è nato, e poi in Europa e in Asia, dalla Cina fino all’Isola di Giava, in Indonesia. Aveva una faccia larga e poco umana, ma dal collo in giù ci assomigliava parecchio. Gli erectus erano campioni nella maratona, vivevano di caccia e della raccolta di vegetali spontanei, piante, frutti, semi, radici e tuberi. Erano cacciatori-raccoglitori. Cacciavano con armi semplici, come lance di legno e pietre. Il loro era un corpo nuovo, diverso da quello delle scimmie rimaste nella foresta, un corpo trasformato per adattarsi a un ambiente secco e caldissimo, con il sole sempre a picco. Erano certamente neri, perché la pelle scura è una naturale protezione solare. Non avevano una pelliccia, come noi, ma avevano i capelli. La posizione eretta espone al sole una superficie piccola, di certo inferiore a quella di un animale che si sposta su quattro zampe. Noi ci scottiamo soprattutto testa e spalle, un quadrupede pure tutta la schiena. Abbiamo i capelli perché sono un copricapo naturale per riparare la testa ed evitare pericolose insolazioni. E poi l’evoluzione diede agli erectus il naso, cioè un naso sporgente, una novità importantissima. Il naso pulisce l’aria che inspiriamo e recupera buona parte dell’umidità di quella che espiriamo. Importante recuperare acqua perché ne perdiamo tanta con il sudore. Ecco il sudore, altro adattamento fondamentale e tipicamente umano. Grazie al sudore abbondante gli erectus e noi rinfreschiamo il corpo, il sudore evapora e si porta via buona parte del calore in eccesso. L’afa ci ammazza perché il sudore non evapora e grondiamo boccheggiando, ma nell’aria secca della savana il sudore se ne va, cosa che gran parte dei quadrupedi non sa fare. Loro ansimano perché non hanno le ghiandole sudoripare come noi, ma disperdono il calore dalla lingua e dalla mucosa orale. Ma se ansimano devono fermarsi, dissipano il calore è vero ma non possono correre mentre lo fanno o collassano. Un cane non suda e quando ansima per il caldo si deve fermare, magari all’ombra, si ripiglia e poi riparte. Ma noi no, l’erectus no. Noi sudiamo, andiamo avanti e sudiamo.

Il nostro è ancora un corpo forgiato dalla savana. Siamo tra i pochi mammiferi che possono correre a lungo sotto il sole; non veloci come una gazzella, una zebra o uno gnu, quelli scattano, sono velocisti. Noi siamo maratoneti. L’evoluzione ci ha dato questo corpo verticale, con le natiche sporgenti, il nasone, i capelli arruffati e capace di sudare. Ma perché la natura ci ha fatto ottimi maratoneti? Torniamo a nonno erectus. Immaginiamo un gruppo di nostri antenati nella savana africana. È mezzogiorno, fa un caldo terribile. Tutti gli altri animali fanno una pausa, i leoni sonnecchiano, i grandi erbivori cercano un po’ di ombra, sanno che possono stare abbastanza tranquilli, nessuno li caccerà, ai carnivori verrebbe un coccolone. Invece noi no, gli erectus puntano una preda, una zebra, uno gnu e cominciano a seguirla. Quella scappa poi si ferma per ansimare e riprendersi. Ma i nostri continuano, la raggiungono, è una maratona, una staffetta, la preda non ha tregua, non ha tempo di riprendere fiato, va avanti sempre più fiacca, rincorsa e sempre più accaldata. Gli erectus continuano, marciano, seguono le tracce, non danno tregua finché la temperatura corporea dell’animale sale a livelli letali, la zebra, lo gnu, stramazza e allora si può finire a sassate, a bastonate con facilità. Per mettere in pratica questo tipo di caccia per sfinimento, non basta un corpo da maratoneta, servono anche collaborazione, scambio di informazioni, comunicazione, buona memoria, orientamento, capacità mentali sofisticate per interpretare le tracce e gli indizi, formulare ipotesi e strategie. In poche parole: serve cervello. Durante la marcia, i glutei svolgono un ruolo fondamentale per stabilizzare il corpo. Si contraggono per controllare l’inclinazione del busto e per generare la forza necessaria nella fase di spinta delle gambe, con lo scopo di migliorare l’efficienza del movimento, del passo o della corsa. E questo riguarda i muscoli. Ma perché i nostri glutei sono ricoperti da uno strato di grasso bello spesso? Una ragione molto semplice e sorprendente è che le natiche sono un paraurti naturale che protegge il bacino e la schiena quando cadiamo. Per un animale bipede come noi, che abbiamo solo due piedi e quindi due punti di appoggio, cadere è più facile che per un quadrupede. Anzi, abbiamo due punti di appoggio quando siamo fermi in coda alle casse del supermercato, ma quando camminiamo o corriamo solo un piede tocca il suolo mentre l’altro si sposta in avanti sopra al primo. Per noi bipedi cadere è facilissimo ma ecco che il nostro sederone morbido attenua il capitombolo accidentale, protegge la schiena e il bacino a costo di qualche livido. E, dato che la natura è parsimoniosa e usa le cose a dovere con grande razionalità, ecco che quel grasso paraurti diventa anche un prezioso tessuto di riserva per immagazzinare energia. Il corpo carica adipe sopra ai glutei, una cosa particolarmente utile durante le carestie.

E qui arriviamo all’aspetto simbolico del nostro preziosissimo Lato B. Nell’antichità classica Venere dea per i romani, o Afrodite per i greci, era anche detta “callipigia” (cioè ‘dalle belle natiche’, dal greco kalós, belle e pygé, natiche). Ma belle per quale motivo? Natiche prosperose e prominenti nelle femmine umane erano molto probabilmente un segnale di buona salute e riserve sufficienti per portare a termine una gravidanza e il successivo allattamento. Quindi l’evoluzione ha lavorato perché il sedere abbondante diventasse più desiderabile in qualità di carattere sessuale secondario. I caratteri sessuali secondari sono tutte quelle caratteristiche che sottolineano le differenze tra i sessi. Sono caratteri sessuali secondari il seno, la barba, la profondità della voce, la pelosità, il bacino largo, il pomo d’Adamo prominente e le natiche sinuose, sia nelle femmine sia nei maschi; pur con le evidenti differenze. Secondo l’etologo Desmond Morris (autore di capolavori, come La scimmia nuda e L’ uomo e i suoi gesti) le natiche sono un richiamo sessuale irresistibile e primordiale che, lo sappiamo, persiste ancora oggi. Le natiche prosperose, celebrate dalle statuine paleolitiche, erano un simbolo di benessere e ricchezza. La steatopigia, cioè quella condizione del corpo femminile caratterizzata da cosce e glutei abbondanti, era ed è ancora considerata desiderabile da molte culture. E mica hanno torto. Secondo il linguista Ottavio Lurati, tutto ciò che gira intorno alla riproduzione, quindi non solo i genitali, ha un significato simbolico, perché produce la vita che allontana la morte, e quindi è simbolo di cose positive, belle e buone. E se una cosa simboleggia caratteristiche positive e desiderabili, allora può diventare facilmente una cosa fortunata, un portafortuna. Che culo! Che fortuna! L’associazione tra il sedere e la fortuna è antichissima. Ma perché? Certamente c’è l’antichissimo aspetto dell’abbondanza, il sederone paleolitico era una ricchezza, una dote e una fortuna. Poi c’è la questione del fondoschiena come paraurti per le cadute, il sedere rappresenta una parte del corpo spesso associata alla terra e al cascar giù per terra, appunto, ma anche alla capacità di “rialzarsi”. Essere fortunati significa spesso ‘sfuggire’ a una brutta situazione, come evitare di farsi male cadendo. L’espressione ‘cadere in piedi’ (ossia salvarsi o vivere una situazione vantaggiosa) potrebbe nascere dall’idea che il sedere porti fortuna, dato che ammortizza la caduta. Invece l’espressione ‘botta di culo’, che indica un imprevisto colpo fortunato, pare si riferisca a una spinta da dietro che permette di balzare in groppa a un cavallo, e infatti si dice ‘essere a cavallo’ per indicare una vittoria, un vantaggio. L’allegro bisillabo è protagonista di molti altri modi di dire che indicano impegno e fatica, amicizia con la camicia, minacce, inquietudine e anche una particolare fretta.

Un attimo, all’inizio ho scritto che le cose che ci caratterizzano come umani sono tre: il super cervello, le natiche e il mento. Sì, c’è anche il mento ma sarà protagonista di una prossima polpetta. Intanto: buona fortuna!

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