Nel lontano 1994 l’astronomo americano Carl Sagan affermò che «poiché, sul lungo termine, ogni società planetaria sarà messa in pericolo dagli impatti provenienti dallo spazio, ogni civiltà esistente sarà obbligata a diventare spaziale – non per chissà quale zelo romantico o esplorativo, ma per la ragione più pratica immaginabile: restare in vita»1
Il pensiero del famoso scienziato non era motivato solo dalla paura dettata dagli asteroidi, una minaccia veramente rara a livello probabilistico, ma anche dai pericoli creati dall’avanzamento tecnologico-industriale del XX secolo. Cosa di cui era assolutamente consapevole, avendo lanciato l’allarme sui pericoli delle armi atomiche e il sinistro ‘inverno nucleare’ durante gli anni ’80.
Passati decenni da quell’invocazione speranzosa, la questione dello Spazio come ultima frontiera per la salvezza della civiltà umana è tornata in auge con l’ascesa dell’imprenditore Elon Musk. Allo stesso tempo una schiera di teorici, legati spesso al polo tecnologico della Silicon Valley, hanno iniziato a promettere il futuro nelle stelle come uno step inevitabile per assicurare, non solo la sopravvivenza dell’umanità, ma anche la sua prosperità nei millenni a venire.
A prima vista il ragionamento sembra perfettamente razionale. Nel 2024 la popolazione mondiale ha superato gli 8,2 miliardi di individui, costruendo una civiltà tecnologica globale estremamente complessa, ma anche tremendamente fragile. Il rischio di una nuova guerra mondiale, l’avanzare della crisi climatica-ambientale, l’avvento di una super-pandemia o l’emergere di nuove tecnologie dai risvolti potenzialmente oscuri, potrebbero compromettere seriamente il grado di sviluppo acquisito. Una guerra termonucleare, per quanto le probabilità siano basse, annienterebbe gran parte della specie secondo gli ultimi studi simulati.
Il complesso intreccio delle crisi sistemiche e la pressione dettata dallo sviluppo di un Sistema industriale che teoricamente non conosce limiti, ha iniziato a preoccupare seriamente le élite globalizzate. Tanto che diversi suoi membri hanno iniziato a costruire bunker in Nuova Zelanda o in qualche isola nel Pacifico. Un piano b di fronte alla caduta della civiltà moderna.
Ma per gente come Musk tutto ciò non è sufficiente. L’unica vera salvezza è la conquista dello spazio profondo, partendo da Marte, grazie alla futura costruzione di un città da 1 milione di abitanti entro il 2050. Solo in questo modo verrà effettivamente garantita la prosecuzione della specie, anche nel caso di un disastro totale sul pianeta Terra.
Ma esaminando attentamente questa retorica salvifica, il quadro diventa più nebuloso e meno speranzoso. L’attuale corsa spaziale si basa su tutta una serie di tecnologie che non sono in grado di garantire dei lunghi viaggi nello spazio interstellare agli esseri umani. Mancano i mezzi e mancano i finanziamenti, dato che al momento nessuno sta investendo migliaia di miliardi di dollari per costruire delle colonie autosufficienti sulla Luna o su Marte, con decine di migliaia di coloni. Lo spazio e gli altri pianeti sono luoghi estremamente inospitali, anti-umani, dove le incredibili difficoltà tecniche hanno fino ad ora impedito uno sbarco umano di poche persone su Marte. I progressi degli ultimi anni non permettono minimamente di abbandonare in massa la Terra e i progetti in corso sono molto lenti, con budget limitati. Le dichiarazioni di Musk, come quelle di Jeff Bezos e altri, sono molto più vicine al marketing spaziale, che ad un reale salto tecnologico come quello sognato da Sagan e altri scienziati.
Senza miracoli ingegneristici e un rapido cambiamento di approccio da parte della nostra specie (cosa molto improbabile vedendo le evoluzioni globali in atto) sarà impossibile lasciare la madre Terra. Certi correnti di pensiero, come il lungotermismo, rimangono solo delle pericolose elucubrazioni, mentre nel frattempo le policrisi incombono a piena potenza. Più che i bunker per garantire un misero futuro ai ricchi in caso di apocalisse, servirebbe la presa d’atto delle conseguenze dello sviluppo moderno e la necessità di accelerare drasticamente i piani di adattamento. Come affermò proprio Sagan anni fa: «Viviamo in una società profondamente dipendente dalla scienza e dalla tecnologia, in cui nessuno sa nulla in merito a tali questioni. Si tratta di una formula sicura per il disastro. […] La nostra tecnologia è diventata così potente che stiamo diventando un pericolo per noi stessi».