Romanticismo e matematica. Raramente vediamo queste parole nella stessa frase (tralasciando le molte lettere in comune, capriccio da semiologi); e, per fugare ogni dubbio, per romantico intendiamo qui lo Sturm und Drang di fine XVIII secolo. Non certo la galanteria di San Valentino del terzo millennio. Fatta la premessa, però, in questo caso i termini non cozzano, anzi.
La fugace esistenza del più grande matematico dell’800 è romantica nel suo più profondo midollo. Nato a sud di Parigi, nel comune di Bourg-la-Reine (tutt’ora sede dell’omonimo cenotafio; dei suoi resti mortali, nessuna traccia) nel 1811, in pieno psicodramma napoleonico, il giovane Évariste regala precoci segnali di pura genialità. Tanto che, ancora adolescente, si trastullava a sciogliere enigmi matematici vecchi di secoli e secoli, come la scoperta di un metodo generale che stabilisca se un’equazione sia risolvibile da determinate operazioni (quali somma, sottrazione ecc…).
Un piccolo manifesto di resilienza, la caduca vita di Galois, che, per ben due volte consecutive, a 17 anni, non viene ammesso all’École polytechnique. La leggenda narra che si fosse rifiutato di spiegare alcuni passaggi da lui ritenuti banali; la verità, molto più probabilmente, è che il ragazzo faticava a farsi comprendere. Ne è indizio il fantomatico cancellino lanciato al volto del miserrimo esaminatore e, come seconda prova, il commiato del docente di letteratura che, all’alba della sua laurea (nel 1829), lo definì dotato di ‘scarsissima intelligenza’.
Non si perde però d’animo, il prode Évariste, ché nel profondo già sapeva di meritare l’Olimpo dell’aritmetica, e comincia a inviare i suoi lavori all’intelligencija francese dell’epoca. Ahinoi, per vari episodi sfortunati, le cosiddette memorie di Galois, per un malizioso gioco del destino, vengono dimenticate dalla storia.
Intanto, giunto alla soglia dei vent’anni quando, come canta Guccini, «si è stupidi davvero», si lascia inebriare dall’aria di rivolta giovanile che pervade le strade parigine, ancora dedalo medievale prima della ristrutturazione imperiale per mano del Barone Haussmann. Qui, a guisa di un guitto ‘miserabile’, come narrato da Victor Hugo nell’omonimo romanzo, si dibatte tra studi matti e disperatissimi, risse, sbornie e conati rivoluzionari che vedono nelle 3 giornate di Parigi (27-30 luglio 1830) la propria acme.
Viene addirittura incarcerato, essendo stato sorpreso a brindare, coltello in mano, alla ‘salute’ del Re dei Francesi Luigi Filippo. Liberato grazie alle testimonianze di alcuni amici fidati, scopre l’amore – non corrisposto, ça va sans dire. Ingaggia dunque un duello con un abile tiratore che, Évariste ne è certo, lo avrebbe senza scrupolo ucciso al primo colpo.
E proprio per questo motivo, a causa di questa esiziale convinzione, il giovane matematico passò la notte prima del duello in bianco, chino sul desco, a vergare quelle che poi sarebbero divenute celebri come le Teorie di Galois.
Infine, solcato dalla brezza mattutina di un giorno primaverile, si accasciò, colpito, come aveva preconizzato, da un mortale proiettile d’amore del suo esperto avversario. «Ninetta mia a crepare di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio…» – così, 130 anni dopo, avrebbe cantato un poeta ligure chiamato Fabrizio De André, forse ispirato da codesta triste storia. Évariste infatti, al capezzale, ammonì così il fratello, e con lui l’umanità intera: «Non piangere, ti prego; ho bisogno di tutto il mio coraggio per morire a vent’anni».
E così fece. Spirando fiero. Il cadavere fu poi gettato in una fossa comune parigina, ma il suo acume e la sua fama vivranno immarcescibili nel tempo, fintantoché ci sarà qualcuno che amerà questo lesto lampo di genio nella scura notte degli eventi mortali.