L’accesso all’energia è un servizio essenziale per soddisfare i bisogni primari degli individui e favorire lo sviluppo sociale ed economico delle società. Cucinare, muoversi, lavorare, comunicare: la maggior parte delle nostre attività quotidiane richiede un consumo di energia, in una delle sue molteplici forme (elettricità, carburanti, batterie). Per questo motivo, nello scorso decennio, il problema della povertà energetica – come declinazione specifica della povertà, seppur non totalmente sovrapponibile ad essa nelle sue radici e nelle sue implicazioni – si è imposto nel dibattito politico internazionale ed europeo. L’accesso all’energia è stato incluso nel 2017 tra i diritti fondamentali sanciti nel Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, e costituisce l’Obiettivo 7 dell’Agenda 2030 sugli obiettivi di Sviluppo Sostenibile («Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni»). Nonostante questo, siamo ancora lontani da un accesso universale all’energia, con conseguenze gravi sul benessere degli individui, nonché sullo sviluppo economico delle società e il raggiungimento degli ulteriori obiettivi di sviluppo sostenibile. L’impossibilità di usufruire di servizi energetici minimi influisce infatti su numerose variabili essenziali nella vita delle persone e delle società: la produttività scolastica e lavorativa, l’uso di tecnologie moderne, lo sviluppo industriale. Inoltre, la dipendenza da fonti energetiche tossiche e inquinanti contribuisce all’inquinamento dell’aria interna delle case, causando malattie respiratorie.
Il diverso significato di povertà energetica nel mondo
Ma povertà energetica vuol dire la stessa cosa ovunque nel mondo? In realtà, la povertà energetica è un fenomeno multidimensionale, che può assumere connotazioni diverse a seconda dell’area geografica di riferimento. Infatti, a seconda del livello di sviluppo economico della regione interessata, la povertà energetica può scaturire principalmente da due fattori: accessibilità ed economicità.
Il problema dell’accessibilità caratterizza principalmente i Paesi a basso e medio reddito, dove l’infrastruttura energetica è poco sviluppata e la disponibilità di tecnologie limitata. In queste regioni, Africa in primis e poi Asia, miliardi di individui non hanno accesso all’elettricità, e cucinano bruciando fonti inquinanti e a volte tossiche (soprattutto carbone, cherosene e biomassa).
L’economicità, invece, riguarda più comunemente le famiglie che vivono nelle economie avanzate e che, pur avendo accesso ad elettricità, sistemi di riscaldamento e raffreddamento e di cottura moderni, hanno «difficoltà ad acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici1», o possono farlo solo gravando in modo sostanziale sul proprio reddito disponibile, trovandosi nei casi più estremi a dover scegliere tra mangiare, scaldare/raffreddare, o illuminare le loro case. In questo caso, non è il sottosviluppo dell’infrastruttura a causare la povertà energetica, ma la difficoltà – o l’impossibilità – di far fronte alle spese necessarie per coprire i bisogni energetici minimi. Questa deriva a sua volta principalmente dall’interazione di quattro fattori2:
- le caratteristiche dei mercati energetici (prezzi dell’energia, concorrenza, tassazione, costi di sistema);
- le caratteristiche socioeconomiche dei nuclei familiari (situazione occupazionale, reddito, condizioni di salute, popolosità, età, livello di istruzione);
- le condizioni abitative (età e tipologia dell’edificio, stato di manutenzione ed efficienza energetica, dotazione tecnologica);
- le condizioni economiche e geografiche dell’area di residenza (stato dell’economia, sistema di welfare, condizioni metereologiche).
La povertà energetica che scaturisce dall’economicità viene più propriamente definita vulnerabilità energetica o fuel poverty, traducibile letteralmente con ‘povertà di carburante’. Non esiste però un accordo unanime sulla terminologia da adottare, e anche i documenti ufficiali e le ricerche accademiche usano spesso il termine povertà energetica per riferirsi a entrambi i fenomeni descritti sopra.
Una divisione geografica netta?
Le persone che non hanno accesso all’elettricità e a fonti pulite per cucinare vivono nella stragrande maggioranza in Paesi a basso e medio reddito, e in particolare nell’Africa Subsahariana. Questo tipo di povertà energetica dipende in larga parte da un limitato sviluppo infrastrutturale. Molte regioni non dispongono di reti elettriche, linee di trasmissione e reti di distribuzione adeguate sul territorio. I due motivi principali che rendono difficile la costruzione di reti elettriche nazionali che raggiungano tutta la popolazione sono l’ampiezza dei territori da coprire – basti pensare che insieme Repubblica Democratica del Congo e Sudan sono grandi quanto tutta l’Unione Europea – e la distribuzione della popolazione sul territorio – nell’Africa Subsahariana, il 58% della popolazione (quasi 700 milioni di persone) vive in zone rurali.
D’altra parte, la vulnerabilità energetica non caratterizza solo i paesi economicamente più sviluppati. Infatti, una volta acquisito l’accesso all’elettricità e a fonti pulite per cucinare, non è detto che queste siano disponibili ed economicamente accessibili. Anche nei Paesi in cui l’accesso all’elettricità è sensibilmente cresciuto, infatti, i dati ci dicono che il numero di coloro che riescono effettivamente ad usufruire dell’elettricità è molto inferiore, e le cause sono principalmente due: prezzi alti e fornitura incerta. Il Ghana, ad esempio, è uno dei paesi modello dell’Africa per l’Obiettivo 7 di Sviluppo Sostenibile (il cui indicatore principale è il numero di case elettrificate), avendo raggiunto quasi il 90% di popolazione con accesso all’energia. Le interruzioni di corrente, però, sono così frequenti e imprevedibili che in Ghana esiste un’espressione per definirle, ‘dumsor’, letteralmente ‘spento e acceso’. Similmente, in Nigeria, dove pure i prezzi dell’energia sono accessibili, a causa dei blackout le aziende devono affidarsi per la maggior parte del tempo a generatori, che hanno costi sensibilmente più alti. Il risultato è che il consumo pro capite di elettricità in Ghana si attesta a quasi 400 kWh annuali, e in Nigeria a meno di 150 kWh, contro i quasi 12.000 degli Stati Uniti, e una media di circa 6000 nell’Unione Europea.
Le politiche per combattere la vulnerabilità energetica
Per essere arginata, la vulnerabilità energetica richiede lo sviluppo di politiche che abbiano obiettivi complementari3: sostegno al reddito, riduzione dei prezzi finali dell’energia o del loro impatto sulla spesa delle famiglie, e miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici e degli apparecchi ed elettrodomestici. Lo strumento utilizzato dai governi per sostenere i redditi disponibili è normalmente il sussidio, un sostegno diretto per incrementare la possibilità di spesa di una fascia di famiglie, che poi possono usarlo in maniera indiscriminata. A fianco dei sussidi, per ridurre i prezzi finali dell’energia vengono normalmente adottate le cosiddette tariffe sociali. Queste consistono in uno sconto direttamente in bolletta, e sono il risultato di un accordo tra lo stato e il distributore di elettricità, che è costretto ad applicare una tariffa agevolata o nulla ad alcuni nuclei familiari o fasce di consumo (in questo modo, fino a una certa soglia di consumo l’elettricità costa meno o niente). La povertà energetica è anche contrastata diminuendo l’impatto che i prezzi dell’energia hanno sulla spesa delle famiglie. Per far questo, i governi possono elargire dei bonus mirati a coprire una parte della bolletta per le famiglie con minor reddito disponibile.
La variabile fondamentale per la scelta dei governi tra queste misure consiste nella disponibilità di dati. Infatti, per essere implementati, i sussidi, i bonus e le tariffe sociali riservate alle famiglie in povertà energetica richiedono informazioni dettagliate sul reddito delle famiglie e la loro spesa energetica. Dove queste sono assenti, i governi implementano generalmente tariffe sociali sulle prime fasce di consumo. Queste, scontando per tutti il costo di una certa quantità di elettricità, permettono di raggiungere indiscriminatamente tutte le famiglie, assicurando in questo modo una fornitura minima di elettricità alle persone in condizione di povertà energetica, senza la necessità di individuarle. Il risvolto della medaglia, però, è il costo rilevante che ricade sulla fiscalità generale, poiché essendo meno mirato, questo tipo di tariffa sociale richiede costi maggiori.
A fianco di queste misure, i governi possono intraprendere azioni per eradicare la povertà energetica nel lungo termine incentivando e sostenendo il miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni e degli apparecchi ed elettrodomestici, tramite regolamenti, agevolazioni fiscali, certificati di prestazione energetica ed energy tutor, che affianchino le famiglie nel processo di riqualificazione energetica.
La lotta alla povertà energetica come parte integrante di una transizione ecologica giusta
Queste misure a lungo termine sono essenziali perché, nei prossimi anni, la lotta contro la povertà energetica sarà sempre più legata alla transizione verso tecnologie energetiche più economiche, efficienti e pulite. Infatti, per combattere il cambiamento climatico, i governi in tutto il mondo stanno varando strategie per decarbonizzare i loro sistemi energetici. Uno degli strumenti principali per disincentivare l’uso di fonti fossili sono le tasse sul carbonio, che aumentano il prezzo dell’energia fossile e ne disincentivano l’uso, spingendo il consumo verso fonti a minori emissioni, spesso di origine rinnovabile.
Di fronte a politiche di transizione energetica sempre più ambiziose, il rischio è che le famiglie in condizione di povertà energetica, se non correttamente considerate nel disegno delle politiche, si troveranno bloccate in infrastrutture energetiche inquinanti, che nel tempo diventeranno sempre più costose a causa della tassazione del carbonio. Con l’avanzare delle politiche di transizione climatica, il problema di economicità dell’energia diventerà quindi sempre più legato al problema di accessibilità a tecnologie moderne che permettano di consumare energia pulita ed economica.
In conclusione, se da un lato la transizione comporterà il passaggio a fonti energetiche più pulite, dall’altro lo specifico disegno delle politiche determinerà chi riuscirà a beneficiarne. Di fronte a questo rischio, è d’auspicio che i governi anticipino, valutino e riparino i danni creati dalle stesse politiche di transizione climatica, distribuendo in modo equo i benefici e gli oneri, per una transizione ecologica che non lasci indietro nessuno.
Note
- Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), 2019, p. 97. https://www.mimit.gov.it/images/stories/documenti/PNIEC_finale_17012020.pdf.
- Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica (OIPE) (2019), Rapporto sullo stato della povertà energetica in Italia, p. 9.
- OIPE 2019.