Lego Serious Play
di Angela Fedele, Luciano Canova, Milena Gatti
Il recente coinvolgimento di Eni Corporate University in un progetto ambizioso di Eni Scuola ha avuto come obiettivo principale l’incoraggiamento della partecipazione di giovani donne alle facoltà STEM in Italia. Per raggiungere questo scopo, i docenti interni di Eni Corporate University Luciano Canova, Angela Fedele e Milena Gatti, hanno organizzato una serie di laboratori utilizzando la metodologia Lego Serious Play, rivolta a gruppi di 20 ragazze. Questi laboratori sono stati svolti in diverse regioni italiane, tra cui Sicilia, Campania, Lazio, Basilicata e Calabria.
LEGO® SERIOUS PLAY® è una metodologia di facilitazione e sviluppo organizzativo fondata sull’impiego dei mattoncini LEGO® che mira a sviluppare il pensiero, la comunicazione, la risoluzione di problemi. È uno strumento innovativo in grado di incanalare energie e conoscenze individuali nella creazione e sviluppo di idee originali ed efficaci. Un simile metodo si è rivelato uno strumento potentissimo per esplorare in maniera coinvolgente le percezioni e i punti di vista delle partecipanti. Ogni ragazza ha avuto l’opportunità di esprimere le proprie idee e visioni attraverso la costruzione di modelli, che poi sono stati utilizzati come metafore per discutere e riflettere sui temi trattati. Questa metodologia non solo ha favorito una partecipazione attiva, ma ha anche permesso a ogni partecipante di condividere le proprie proposte e spunti di riflessione con il gruppo.
Tra i temi emersi durante questi laboratori, l’emancipazione ha avuto un ruolo centrale. Le ragazze hanno espresso un forte desiderio di superare le barriere che spesso ostacolano il loro accesso e successo nelle facoltà STEM. L’aspetto culturale è stato identificato come un fattore determinante, con molte partecipanti che hanno evidenziato l’importanza di superare gli stereotipi di genere radicati nella loro cultura.
Un altro tema ricorrente è stato la fierezza e l’orgoglio. Le partecipanti hanno dimostrato una forte determinazione a essere riconosciute per le loro capacità e a contribuire significativamente nel campo STEM. Inoltre, è emersa con forza l’importanza dell’unione tra donne. Molte ragazze hanno sottolineato come il sostegno reciproco e la solidarietà possano essere strumenti fondamentali per superare le difficoltà e raggiungere i propri obiettivi.
In conclusione, i laboratori Lego Serious Play hanno fornito un ambiente stimolante e inclusivo, in cui le giovani donne hanno potuto esplorare e condividere le loro visioni sul futuro. Questo progetto rappresenta un passo importante verso l’inclusione e la valorizzazione delle donne nelle facoltà STEM in Italia, e speriamo che possa servire da modello per iniziative simili in altre regioni e paesi.
Il Matilda Effect
di Andrea Bellati
Alice Augusta Ball era una scienziata. Era perché morì nel 1916 a soli 24 anni. Era una giovane donna e una brillante scienziata. Non solo, era pure nera, cioè, afroamericana o meglio, più corretto: afrodiscendente. Ora, inquadriamola nel periodo storico, siamo agli inizi del XX secolo, ed enumeriamo tutti gli handicap, nel senso originale di ‘difficoltà’ di Alice Augusta: donna, ok, giovane, sì anche, intelligente, benissimo, ma soprattutto nera, cioè, afrodiscendente. Tombola.
Perdonami tu che leggi, probabilmente hai colto una punta di sarcasmo inopportuno, ma ti devo descrivere il contesto nel quale ho parlato di Alice Ball. Il contesto era un’aula piena di giovani donne brillanti, o meglio, diverse aule tra cinque regioni del Meridione, piene di studentesse superiori che ho invitato a giocare con l’Effetto Matilda, come chiusura leggera di una giornata intensa.
Alice Augusta Ball è solo la prima, in ordine alfabetico, di una serie di scienziate che hanno conosciuto l’Effetto Matilda, cioè la sistematica esclusione e negazione del contributo delle donne alla ricerca scientifica. Contributo scippato dai colleghi uomini che, in molte occasioni, hanno ottenuto riconoscimenti importanti, addirittura il Nobel, grazie al lavoro delle donne di scienza. Un lavoro mai riconosciuto o se va bene ricordato, tra le lacrime, dai coccodrilli ma solo dopo la morte della scienziata.
L’Effetto Matilda prende il nome dall’attivista statunitense Matilda Joslyn Gage che nella seconda metà dell’800 lottò per il suffragio femminile, per i diritti delle donne e dei nativi americani. Gage aveva scritto un saggio intitolato Woman as an Inventor (La donna come inventrice), in cui citava numerosi esempi del contributo determinante, ma non riconosciuto, che le donne avevano dato ad alcune importanti invenzioni e scoperte scientifiche. Il termine fu proposto nel 1993 dalla storica della scienza Margaret W. Rossiter dopo aver analizzato migliaia di pubblicazioni scientifiche e dimostrato che gli articoli firmati dalle donne avevano meno citazioni, e quindi diffusione, di quelli a firma maschile. Insomma per le donne la strada della scienza è più in salita: Effetto Matilda.
Perché parlare dell’Effetto a decine di studentesse? Perché partecipavano al progetto eni4stem volto promuovere le materie scientifiche tra le giovani donne in età scolare, dato che le STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) in Italia e soprattutto al Sud, attraggono poco l’interesse femminile.
E allora ho raccontato con leggerezza e tante belle immagini proiettate, una dozzina di storie di scienziate discriminate non solo perché donne, ma anche perché di religione ebraica, impegnate politicamente, di umili origini, femministe, oppure giovani e afroamericane, come Alice Augusta Ball che diede un contributo fondamentale alla sconfitta della lebbra. Ball morì prima di pubblicare i risultati dei suoi studi che furono sottratti da Arthur Dean, il preside della Facoltà di Chimica dell’Università delle Hawaii dove Alice lavorava. Per 90 anni la cura elaborata da Ball si chiamò Metodo Dean. Il lavoro della scienziata fu riconosciuto solo nel 2000. Oggi la stessa procedura contro la lebbra si chiama correttamente Metodo Ball.
Ester Zimmer e il marito Joshua Lederberg, pionieri della genetica batterica, studiavano insieme microbi e virus ma solo lo sposo vinse il Nobel per la medicina nel 1958. Nel 1951 Rosalind Franklin riuscì a fotografare un cristallo di DNA con i raggi X. Un collega sottrasse la foto meglio riuscita e la mostrò a due scienziati. Quando questi videro l’immagine trasalirono: era la prova che la struttura avvitata a doppio filamento che avevano soltanto ipotizzato era corretta. Quando nel 1953 Watson e Crick annunciarono al mondo la loro scoperta, lei sinceramente compiaciuta si complimentò con loro. Non seppe mai del suo ruolo fondamentale nella descrizione della struttura del DNA. E non vinse il Nobel insieme a loro (e al collega ladro) perché Franklin morì nel 1958 a soli 38 anni per un tumore probabilmente causato dalla continua esposizione ai raggi X senza una protezione adeguata. A Hedy Lamarr, attrice nei panni dell’oca bellissima sul set, genio delle telecomunicazioni nella Marina degli Stati Uniti, dobbiamo le basi tecniche del wi-fi. Tra le storie più apprezzate dalle ragazze c’è quella di Lise Meitner. Definita da Einstein la ‘nostra Madame Curie’, nostra perché era austriaca, Meitner ebbe un ruolo essenziale nella scoperta della fissione nucleare. Lavorò con alcuni tra i più importanti scienziati del suo tempo come Max Planck, Otto Hahn, Albert Einstein, Marie Curie, Fritz Strassmann ed Otto Robert Frisch. Hahn, in particolare, la aiutò a fuggire dalla Germania nazista perché Meitner era di origine ebraiche: il futuro premio Nobel donò alla collega un anello della propria madre affinché potesse corrompere le guardie. Ah, sì, Otto e Lise erano molto amici e lavorarono insieme per anni, ma il Nobel fu attribuito solo a lui nel 1944. Quando Oppenheimer invitò Meitner a partecipare al progetto Manhattan per sviluppare la bomba atomica, lei rispose con l’equivalente del nostro gesto dell’ombrello: non avrebbe mai contribuito alla costruzione di uno strumento di morte. E qui di solito parte l’applauso.
Sono storie del passato che ho raccolto in tutti gli ambiti della ricerca, dallo spazio al microcosmo, ma l’Effetto non è scomparso, si nutre di pregiudizi e si manifesta in diverse forme. Per esempio, le ricerche condotte dalle donne possono essere considerate poco interessanti o poco rigorose, il contributo di una scienziata valutato come marginale e, come abbiamo visto negli esempi storici, è più facile che sia un uomo a vincere un premio. L’Effetto Matilda si traduce in minori opportunità di carriera, stipendi più bassi, iniquità e perdita di talenti.
Perché parlare dell’Effetto in seno a un progetto che intende avvicinare le ragazze alle materie scientifiche? Un po’ per celebrare il contributo delle grandi scienziate del passato e invitare le studentesse a conoscere quello delle attuali. Un po’ per mostrare esempi di passione e determinazione più forti del pregiudizio, della discriminazione, addirittura della guerra. Ma pure per metterle in guardia: care giovani amiche, non fatevi fregare.