Verso una scuola sistemica ed evolutiva

Il nuovo apprendimento sistemico, basato sull’unione mente-natura, è biologico, circolare, unisce la razionalità e l’intuito, le sensazioni alla logica.

Autore

Enzo Tiezzi

Data

25 Gennaio 2024

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7' di lettura

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25 Gennaio 2024

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La conservazione senza evoluzione è morte. L’evoluzione senza conservazione è follia
Gregory Bateson

Agosto 2007 – L’assunto batesoniano sottolinea una caratteristica fondamentale dell’evoluzione biologica e delle proprietà della biosfera. La fecondazione reciproca (cross fertilization) tra aspetti evolutivi e aspetti conservativi è una conditio sine qua non per la vita e per il suo mantenimento.

Il Primo Principio della Termodinamica riguarda la conservazione, il Secondo Principio della Termodinamica riguarda l’evoluzione.

Il tempo, le oscillazioni, le instabilità e il caos trovano nel Secondo Principio della Termodinamica una dignità scientifica.

L’energia e la materia sono proprietà conservative della biosfera (Primo Principio della Termodinamica).

L’organizzazione e le informazioni incorporate nella storia dell’energia e della materia sono proprietà evolutive: tali proprietà riguardano la Termodinamica dei sistemi lontani dall’equilibrio.

All’equilibrio l’energia e la materia sono cieche, lontano dall’equilibrio cominciano a «vedere» (Ilya Prigogine).

«L’intero è più della somma delle parti» (Blaise Pascal).

Dio gioca a dadi

L’assunto pascaliano, contrapposto alla visione cartesiana secondo la quale la conoscenza scientifica è tanto migliore quanto più l’intero viene diviso in piccole parti, sottolinea l’altra caratteristica fondamentale della biosfera e dei sistemi viventi e traccia il primo spartiacque tra sistemi materiali non viventi e sistemi viventi. L’approccio cartesiano è validissimo per i primi, non sufficiente per i secondi.

Questo significa fondere microscopico e macroscopico, superare la visione dicotomica tra riduzionismo e antiriduzionismo, studiare i fenomeni biologici in termini di relazioni e di auto-organizzazione, così da vedere globalmente coerenti i comportamenti individuali delle parti.

Ecco che allora la nuova fisica evolutiva lascia i sicuri ormeggi del determinismo e/o del soggettivismo, per includere nei paradigmi di base l’incertezza e l’irreversibilità; accetta, cioè, finalmente la stocasticità del tempo come proprietà intrinseca della materia in un Universo in cui, invertendo la frase di Einstein, Dio gioca a dadi per dare una possibilità alla scelta.

Se

la scienza è una ricerca per una comprensione più intima della natura, non è una diligente organizzazione con lo scopo di validare le teorie esistenti e indottrinare gli studenti su ideologie «corrette». È un’avventura dello spirito libero e curioso che si nutre non tanto delle risposte quanto delle domande senza risposta. È gli enigmi, i misteri e i paradossi, che catturano l’immaginazione, conducendola nella più raffinata delle danze,

se la scienza è questa danza meravigliosa, la sfida, oggi, è quella di puntare a una

termodinamica della complessità organizzata, ricordandoci che non c’è ancora una scienza dell’eterogeneità organizzata o complessità tale da poter essere applicata ai sistemi viventi.
(Ho 1998).

Bellezza, tempo, biodiversità

Sono passati milioni di anni da quando la nostra «bisnonna alga azzurra», come la chiamava Laura Conti, compì la rivoluzione fotosintetica dando luogo alla vita sulla Terra. Se guardiamo a questa grande storia evolutiva, da cui siamo venuti, si scoprono tre protagonisti, ignorati dalle scienze fisiche dominanti: la bellezza, il tempo e la biodiversità.

Una visione scientifica della natura puramente quantitativa, che nega la fondamentale categoria ecologica della qualità e l’importanza dell’estetica, mostra oggi tutti i suoi limiti di fronte alla complessità delle dinamiche temporali del sistema biologico (la biosfera) e dell’ecosistema globale, dinamiche temporali basate su molteplici relazioni in co-evoluzione che si basano sulle forme, sulle informazioni, sui colori, sui suoni, sugli odori, sui sapori.

La storia della natura è una storia sistemica ed evolutiva, è una storia in cui quantità e qualità sono continuamente co-presenti, è una storia in cui l’estetica gioca un ruolo determinante.

Lo scopo della scienza dovrebbe essere quello di vivere in armonia con la natura, ma, alcune volte, lo scienziato (o più spesso l’apprendista stregone che usa i risultati della scienza a fini di profitto, dominio e potere) ha prodotto scoperte le cui applicazioni potrebbero procurare gravissimi danni all’uomo e all’ambiente.

Un esempio eclatante degli apprendisti stregoni di questa fine millennio è rappresentato dal tentativo di clonare esseri umani, mentre la clonazione o la replicazione di specie viventi (vegetali o animali) è del tutto in controtendenza con l’evoluzione biologica e con la stessa origine della vita, ambedue basate sulla biodiversità e sulla diversificazione di forme, individui e specie biologiche.

Il rischio che l’ingegneria genetica porta con sé (mutazioni future, impatto sull’ambiente, distruzione di altre specie) è ancora tutto da studiare e da conoscere.

L’ecologia, come luogo di osservazione privilegiato e necessario per la sopravvivenza dell’uomo e del pianeta, può assumere su di sé, accettando fino in fondo la sfida ambientale, il ruolo di fare politica e di fare filosofia. Può assumere su di sé la dimensione epocale di una grande svolta culturale nei rapporti tra la specie umana e la natura, per superare il razionalismo, il meccanicismo, l’illuminismo, per costruire una scienza della complessità, dell’incertezza e dei vincoli, basata su un’epistemologia del divenire e su una fisica finalmente evolutiva.

Una scienza ecologica, tra evoluzione e conservazione, che mi fa trovare d’accordo con le seguenti bellissime parole di Renzo Piano:

Lavorando cresci e impari abbastanza rapidamente che le parole modernità, progresso, crescita sono trappole infernali e che nel loro nome continuano a fregarci.

L’equilibrio biologico

Vent’anni fa su «Cooperazione educativa» (Tiezzi 1987) scrivevo:

Tutte le azioni umane sottostanno a una ferrea legge, nota come «II principio della termodinamica» o legge dell’entropia, che afferma che tutta l’energia passa inesorabilmente da forme di energia utilizzabili a forme di energia non più utilizzabili e che tutte le attività umane (anche e particolarmente quelle che creano ordine e organizzazione) producono disordine, crisi, inquinamento e, in ultima analisi, decadenza nell’ambiente circostante. Dall’uso appropriato di questa legge dipende la qualità della nostra vita o la distruzione della Terra. La rivoluzione industriale ha accelerato quest’ultimo processo. L’uomo ha il potere e la capacità di accelerare ulteriormente il processo di degradazione (per fini di profitto, di consumismo, di egemonia) portando alla morte del pianeta in decine/centinaia di anni o di rallentare il processo stesso a ritmi naturali offrendo all’umanità e alla natura ancora milioni di anni di vita.

La logica conseguenza di quanto detto è la ricerca del concetto di equilibrio biologico e dei modi complicati, difficili, delicati per mantenerlo. Gli studi geologici, meteorologici, ecologici, oceanografici e biologici in genere, hanno ormai messo in evidenza con chiarezza che la vita di ogni singolo organismo è parte di un processo su grande scala che coinvolge il metabolismo di tutto il pianeta. L’attività biologica è una proprietà planetaria, una continua interazione di atmosfere, oceani, piante, animali, microrganismi, molecole, elettroni, energie e materia, tutti parte di un unico globale.

Le capacità tecnologiche dell’uomo hanno oggi creato un sistema artificiale la cui potenzialità, per quanto riguarda le modifiche che può arrecare alla natura, è enorme. In genere queste modifiche si traducono in distruzione di alcune specie biologiche o del patrimonio genetico, quindi in distruzione della complessità biologica, in riduzione della diversificazione e dell’adattamento ai mutamenti, in esplosioni di popolazioni determinate, per lo più semplici o semplificate, in vulnerabilità.

Da tutto quanto sopra deriva che una seria analisi socioeconomica non può prescindere dalla conoscenza scientifica dei grandi equilibri biologici e dal peso che in essi hanno i concetti di rinnovabilità e di limitatezza delle risorse e le leggi della termodinamica.

Entropia, evoluzione: non possiamo sottrarci alle loro leggi; il processo antropico e il processo evolutivo hanno una sola direzione e questa non può essere cambiata. Il tempo non può essere capovolto. Ma sulla velocità di questi processi (cioè sulla loro derivata rispetto al tempo) possiamo esercitare la nostra influenza. Il nostro modo di vivere, di consumare, di comportarsi decide la velocità del processo entropico, la velocità con cui viene dissipata l’energia utile e, in ultima analisi, il periodo di sopravvivenza della specie umana. Essere convinti della seconda legge della termodinamica non significa necessariamente dare una mano ad accelerare l’incremento di entropia, così come essere convinti evoluzionisti non significa necessariamente dare una mano ad accelerare l’evoluzione.

L’eutanasia entropica

Oggi il ruolo dell’entropia è ancora più chiaro e più grave. Ci sono due modi per arrivare al massimo disordine, alla massima entropia: l’autarchia (cioè l’isolamento) e la globalizzazione (cioè l’eccesso di scambio). Ambedue i sistemi portano all’«eutanasia entropica» (Pulselli, Bastianoni, Marchettini e Tiezzi 2007). Vent’anni fa scrivevo anche:

L’apprendimento tradizionale, basato sulla separazione della mente dalla natura, è antropocentrico, lineare, fortemente razionale, non ecologico. Il nuovo apprendimento sistemico, basato sull’unione mente-natura, è biologica, circolare, unisce la razionalità e l’intuito, le sensazioni alla logica.

Si tratta di un apprendimento per problemi. Dai problemi si parte per creare una nuova scuola in cui l’uomo non sia più al centro dell’universo, ma parte di quelle strutture che, come scrive Gregory Bateson, connettono la sequoia con l’anemone di mare, questo con lo schizofrenico e tutti e tre con noi.

I problemi non sono problemi ideologizzati, ma molto più semplicemente e drammaticamente, i problemi della sopravvivenza della specie.

Aprire la scuola a questo nuovo approccio conoscitivo, l’apprendimento sistemico appunto, significa accettare la grande sfida che la grave crisi ecologica pone oggi sul tappeto. Ci troviamo di fronte a una vera e propria crisi di civiltà. Valori etici ed estetici si sono persi per strada. I giovani, giustamente, non rispondono più a un insegnamento obsoleto e senza prospettive. Ma i grandi cambiamenti di civiltà non possono basarsi su piccoli compromessi o aggiungendo la materia «ecologia», magari facoltativa, alle vecchie materie: la scuola di cui abbiamo bisogno, per salvare il pianeta e la specie homo sapiens, è una scuola che insegni tutte le materie con un’ottica abbandonata 100 anni fa, quella della mente unita alla natura, quella della complessità biologica, quella dell’ecologia come fondamento dei nostri comportamenti e delle nostre scelte culturali, educative e politiche.

Sottoscrivo queste righe, ancora oggi, per andare verso una scuola sistemica ed evolutiva.

Riferimenti bibliografici

  • Ho M.W. (1998), The Rainbow and the worm, Singapore, World Scientific Publ. Co.
  • Pulselli F.M., Bastianoni S., Marchettini N. e Tiezzi E. (2007), Plus and Minus of Sustainability, WIT press.
  • Tiezzi E. (1987), Verso una scuola «sistemica», in «Cooperazione Educativa», novembre, pp. 11-14.

Fonte/Testo originale: Enzo Tiezzi ‘Verso una scuola sistemica ed evolutiva’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 2, agosto 2007, Il Mulino.

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