Come alcuni sanno, il termine scuola (dal greco scholè) rimanda alle prime forme di organizzazione dedicate all’apprendimento, in quanto un atto legato alla volontà ed all’opportunità di auto-dirigere la propria crescita.
Nelle scuole dell’Antica Grecia i maestri e i discenti convivevano per lunghi periodi di tempo. Il processo di insegnamento-apprendimento avveniva nella quotidianità ed operava una rottura rispetto al modello di trasmissione culturale operante nelle comunità più arcaiche, proprio per il fatto di essere incentrato sulla coscienza e sulla volontà di interrogarsi sul mondo e sulla relazione con esso.
A questo proposito è interessante richiamare l’idea proposta da Patočka (2010)1 nel momento in cui sostiene che, nell’Europa occidentale, siano nate simultaneamente politica, storia e filosofia. Questa triade costituisce un nuovo modello di abitare, costitutivamente problematizzante, legato all’uomo storico.
L’idea che la filosofia fosse un’attività pratica è oramai riconosciuta ed accreditata dalla comunità scientifica internazionale, sopratutto nel momento in cui ci si riferisce alla filosofia del periodo ellenico e romano. Di fatto, anche il Medioevo mostra la praticabilità della vita monastico-cristiana, in quanto filosofia-di-vita.
Per comprendere l’argomento trattato in questo articolo e l’importanza dell’attivazione di percorsi relazionati con le pratiche filosofiche, nelle scuole di ogni grado, si considera utile un’introduzione che contempli le riflessioni di Hadot e Foucault, due pensatori del secolo scorso che riesaminano il discorso sulla filosofia antica, arrivando a conclusioni affini, anche se utilizzando termini differenti.
Hadot (2005)2 rivisita la narrazione normalmente proposta sulla filosofia antica e ci mostra che questa non è ancorata solo ad un esercizio teoretico e di speculazione teorica ma anche, e sopratutto, a delle pratiche specifiche che definisce esercizi spirituali e della ragione.
A seconda della scuola di pensiero, questi divergevano nella pratica ma condividevano la finalità eminentemente pratica: la cura di sé, attraverso una combinazione di atteggiamenti e pratiche che si nutrivano di un discorso filosofico e, ricorsivamente, costituivano il soggetto-filosofo.
Il Sapere, appare nella sua funzione costitutiva del soggetto anche nelle riflessioni di Foucault3, il quale sottolinea che questa caratteristica trasformativa non si basa sulla comprensione teorica né su un’epifania di senso ma sulla sperimentazione di una serie di pratiche che permettono di trasformare la verità acquisita in un principio permanente dell’azione, funzionando da sostrato del progresso spirituale. Qui, gli esercizi spirituali propri della filosofia antica vengono definiti come «operazioni sul proprio corpo e sulla propria anima che permettono di trasformare sé stessi4».
In questo senso, i due pensatori ci indicano che il rapporto con la verità costituisce strutturalmente e ontologicamente il soggetto. La verità, appare come la forza che produce il sé e non come un suo prodotto, in quanto risultato del processo filosofico. Da qui, intendiamo che la filosofia è un’attività di pensiero che agisce sul soggetto e sulla costruzione di soggettività.
Possiamo dedurre che l’apprendimento attiene l’ambito della coscienza e della consapevolezza, essendo un atto trasformativo in sé. La scuola nata all’interno del paradigma socio-politico degli Stati Nazione appare distante da questa visione, appoggiandosi a metodi che mirano all’omogeneizzazione del sapere e delle persone.
Inoltre, ha promosso un modello educativo sempre più trasmissivo, basato sulla divisione curricolare e sull’autorità della figura del maestro-docente, posto al servizio della creazione di ‘lavoratori e lavoratrici’ in un contesto che somiglia sempre più a quello aziendale.
Come possiamo evincere dalle riflessioni della S.F.I. (Società Filosofica Italiana), l’insegnamento della filosofia nella scuola secondaria sta cambiando. Da una didattica storicista si sta passando ad un modello che promuove il confronto con i testi della tradizione. La centralità del testo (e non della trasmissione di un sapere compiuto) porta gli studenti ad allenare determinate abilità filosofiche, promuovendo un habitus di ricerca e di ragionamento che si acquisisce attraverso il dialogo con gli autori della tradizione.
In questo senso, possiamo ricordare le parole di Fulvio Manara5 quando afferma che gli studenti divengono dei soggetti filosofanti, all’interno di spazi in cui cui possono sperimentare esperienze di riflessione, in cui la reciprocità e la relazione dialogica contribuiscono a formare un nuovo modo di essere (ethos).
L’Italia non è priva di esperienze e personalità che mostrano un modello educativo differente da quello trasmissivo e, troppo spesso, legato all’autoritarismo ed alla spersonalizzazione.
Tra queste, possiamo annoverare la pedagogia proposta da Danilo Dolci (1924-1997), attiva anche in ambienti non istituzionali. Il poeta crede che la comunicazione sia il perno dell’educazione e, per contrastare gli effetti nefasti del modello unidirezionale, massivo e legato alla promozione della cultura consumistica imperante nella sua epoca, propone un paradigma centrato sul dialogo e sulla cooperazione, oltre che sul rispetto e sulla promozione di creatività e riflessività. In questo caso, il perno fu l’essenza della relazione Io/Altro e, quindi, della reciprocità, riconosciuta come base costitutiva di ogni identità e, di rimando, dell’abitare umano, oltre che del processo educativo stesso.
L’esperienza della scuola di Barbiana promossa da Don Milani (1923-1967) è un altro gioiello della pedagogia italiana, oramai quasi dimenticata. La pedagogia della cura, qui proposta, nasce ed agisce in un contesto culturale in cui l’industrializzazione mediatica dello spirito e la cultura della produzione e del consumo stavano oramai dilagando.
La proposta attiene ad una pratica pedagogica incentrata sulla sperimentazione quotidiana di un modo di vita che supporta pratiche di trasformazione del sé, la quale si fonda sulla cura responsabile di sé e di ciò con cui entriamo in contatto.
La conoscenza si unisce a pratiche spirituali e di pensiero, utilizzate come strumenti per comprendere le caratteristiche del presente e per dare vita a una cittadinanza democratica, attenta all’alterità, all’autonomia ed alla creatività, esercitata nello spirito e nel pensiero per potersi liberare dall’intossicazione progressiva che si stava registrando a livello sociale.
Ai giorni nostri, sono attive esperienze variegate, che mantengono le caratteristiche fondamentali di quella Scuola che punta ad accompagnare gli studenti in un percorso, pratico e conoscitivo, capace di dare gli strumenti per costituirsi come soggetti coscienti, pensanti, politicizzati, autonomi e legati fortemente all’Alterità ed alla collettività.
Le Scuole del mare e del bosco seguono questa linea, come il Movimento di Educazione Cooperativa (legato all’associazione di Pedagogia Popolare Italiana), le scuole Waldorf, le scuole libertarie e democratiche, le Case dei Bambini che seguono la pedagogia Montessori e molte tra le scuole parentali che stanno spopolando negli ultimi anni.
Queste esperienze, vengono riconosciute dalla legislazione nella loro dignità e, sempre più spesso, vengono scelte come alternativa al sistema educativo istituzionalizzato. Questa possibilità è data dal fatto che lo Stato italiano ha messo a punto un sistema di Esami integrativi e di idoneità (Decreto Ministeriale n. 5 dell’ 8 febbraio 2021).
Una pratica pedagogica che, da oramai cinquant’anni, è entrata nella aule di vari continenti è la Philosophy for Children (P4C), una proposta educativa che si propone di sviluppare il pensiero complesso (high order thinking) ovvero logico, critico, affettivo (care) e creativo. La proposta tradizionale (messa a punto da Lipman e Sharp attorno al 1970, negli Stati Uniti) fa perno sull’utilizzo di testi narrativi (accompagnati da linee-guida metodologiche per l’insegnante) che trattano questioni della tradizione filosofica, in modo progressivo.
L’approccio con il testo, che diviene un pretesto per avviare un dialogo, avviene all’interno di uno spazio denominato comunità di ricerca filosofica (o comunità di dialogo) e venne pensato come proposta per la scuola primaria e secondaria, senza tralasciare alcuni spunti per l’infanzia.
La forza di questo approccio è la partecipazione attiva degli studenti, l’allenamento delle abilità del pensiero complesso e la costante relazione Io-Altro che permette di costruire autonomia, identità e attitudini democratiche, in momenti dedicati allo sforzo collettivo di scoprire il significato del mondo e della società.
L’obiettivo generale della P4C è quello di apprendere a pensare meglio per riuscire a stare al mondo nel miglior modo possibile. D’altronde, la pratica svolta nelle comunità di ricerca filosofiche a stampo P4C permette di porre l’attenzione sulle attitudini etiche e sui valori, sia in quanto contenuti nei testi e nei dialoghi sia in quanto esperiti in prima persona durante la partecipazione al circolo di dialogo.
La P4C è stata accolta di buon grado dalle maestre e dai professori di più di cinquanta Paesi del mondo proprio per l’effettività del suo uso. In Italia, la P4C prese piede nel 2002 grazie alla sinergia di tre professori pionieri: Cosentino A., Santi M. e Striano M., i quali hanno tradotto i materiali del curriculum Lipman nella collana Impariamo a Pensare6 ed hanno dato il via ai percorsi di formazione atti ad accompagnare la transizione dal ruolo di docente a quello di facilitatore del dialogo filosofico.
La storia della P4C in Italia ci mostra alcune difficoltà legate alla sua accettazione all’interno delle strutture scolastiche. Tuttavia, ci sono degli esempi virtuosi, come gli Istituti Comprensivi di Chiari e Coccaglio, situati in territorio bresciano che, da quasi quindici anni stanno utilizzando questa pratica pedagogica come strumento propedeutico e trasversale alla formazione in tutti i campi.
Inoltre, è nata la Comunità di Ricerca Filosofica (CdRF), un’associazione che si dedicata alla formazione, ricerca ed alla diffusione della P4C, sopratutto sul territorio bresciano e bergamasco. Questa, nacque a seguito degli sforzi e dell’impegno dell’ormai defunto Prof. Manara, docente all’Università di Bergamo, il quale ha saputo coniugare la tradizione con gli aspetti più innovativi che stavano nascendo sopratutto in Spagna, Brasile e Colombia. Il Centro di ricerca sull’Indagine Filosofica (CRIF), con sede a Roma, è l’associazione più conosciuta e rinomata sul territorio italiano, promuove percorsi di formazione tra cui la scuola estiva residenziale ad Acuto e il corso di formazione P4C presso l’Università di Milano. L’Università di Pavia è vincola alla P4C da anni, offrendo molteplici possibilità di formazione all’interno dei corsi di filosofia. Mentre, all’Università di Napoli, è stato istituito un corso di perfezionamento, in cui si è formata anche Maria Miraglia, pioniera nella scrittura di narrativa P4C in Italia (Il risentimento della mula) e collaboratrice nel progetto europeo PEACE.
Il panorama italiano appare contraddistinto da alcune lacune rispetto ad altri Paesi come Inghilterra o Spagna proprio per la carenza di materiale proprio e la mancanza di ‘fiducia’ da parte degli istituiti scolastici verso le potenzialità di questa pratica, questa è dovuta, probabilmente, anche alla difficoltà di incentivare proposte formative che coinvolgano interi Istituti, senza limitarsi a dei progetti svolti dai cosiddetti ‘esperti esterni’ delimitati nel tempo o a una sola classe.
Una delle proposte più interessanti sviluppatesi nell’ultimo decennio è la Filosofia Ludica, accompagnata dal Curriculum Noria. Questo movimento, parte della P4C, è nato nel 2016 in Catalogna come un modo di ‘abitare il mondo’.
Nel suo Manifesto, appare chiaramente che il focus si posa sulla parte più giocosa della proposta di Lipman-Sharp e che fa attenzione al «gusto insito nell’atto di pensare» per fare eco alla voglia di stare nel mondo ed alla spontaneità e meraviglia che contraddistinguono l’infanzia7.
I testi vengono pensati in chiave multiculturale e riservano una particolare attenzione alla predisposizione etica degli esseri umani e rafforzano l’apprendimento basato sull’allenamento delle abilità di pensiero, le quali vengono affrontate in modo più sistematico ed approfondito rispetto al curricolo Lipman.
Inoltre, viene dato maggiore spazio agli atteggiamenti etici ed ai valori, grazie alla proposta di nuove questioni, legate alla soggettività, all’etica ed estetica ambientale ed alla pace, cioè alle sfide che ci mostra il nostro secolo. Da ultimo, rivalorizza sia il corpo che le sensazioni, dando maggiore spazio a questi strumenti conoscitivi di sé e del mondo. In questo senso si parla della triade ricerca, azione, creatività, allenata per sostenere l’azione creativa.
Il curriculum Noria si compone di tre macro-aree: i racconti per pensare, la biblioteca Noria (utile per la formazione sullo sviluppo dell’azione etica e sul pensiero creativo), il curriculum per la scuola dell’infanzia e la primaria e una serie complementare, Crearmundos, che pone il focus sulla creatività sociale.
Come si può evincere dal nome (Noria tradotto in italiano significa ‘ruota panoramica’) questo progetto editoriale e pedagogico si basa sul circolo del dialogo, spazio privilegiato di apprendimento e sulla volontà di accompagnare i bambini e le bambine a pensare ed agire tenendo in conto differenti prospettive, spesso inusuali.
La pedagogia che lo sostiene può essere riassunta come segue: il compito dell’educazione è quello di aiutare ogni bambino/a a divenire ciò che è, essendo capace di pensare e prendere decisioni in modo autonomo e, al contempo, di essere un cittadino cosciente della sua appartenenza alla collettività prossima (famiglia, contesto quotidiano, società) e lontana (l’umanità nel suo complesso).
La filosofia Ludica si unisce al movimento della Ciudadania Creativa (Cittadinanza Creativa) come strumento per far fronte alle grandi sfide della contemporaneità (come l’odio per il diverso, i conflitti e le guerre, la questione ambientale, la perdita dei diritti umani, le minacce dei totalitarismi, ecc.). In questo modo, si propone di dare voce all’infanzia, capacitandola per prendere parte ai processi decisionali ed alle pratiche legate all’immaginazione di futuri possibili.
Proprio per questo possiamo affermare che risponde positivamente alle richieste del Ministero dell’Istruzione italiano che, nel 2018, scrisse nelle Indicazioni nazionali e nuovi scenari, sull’importanza di educare alla competenza in materia di cittadinanza, oltre che a quella di consapevolezza ed espressione culturale, tra altre.
Emerge, quindi, che la P4C non è una pedagogia che implementa il ‘fare teoria di’ ma promuove la sperimentazione, cioè l’attività eminentemente pratica, in una ambiente di cura. Qui, si sperimenta la logica, parlando e pensando bene, si contemplano il mondo e il cosmo e si apprende ad agire in modo retto e giusto, stando nella relazione e non solo studiando la teoria dell’azione morale. Tutto ciò richiama fortemente gli studi di Hadot. Ciò che accade nella comunità di ricerca filosofica è proprio la concretizzazione della relazione con l’Altro attraverso il dialogo e l’ascolto. In questo contesto, «Aletheia diventa Ethos8» come, a suo tempo, scrisse Foucault parlando della filosofia antica.
Note
- J. Patočka, Saggi eretici sulla filosofia della storia, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, Filosofia, ed. 2010
- P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, Filosofia, ed. 2005.
- M. Foucault, Tecnologie del sé, Torino, Bollati Boringhieri, 1992.
- Ibidem. P. 13.
- F. Manara, Comunità di ricerca e iniziazione al filosofare. Appunti per una nuova didattica della filosofia, Vignate, Lampi di Stampa, 2004.
- La collana Impariamo a pensare edita dalla Liguori, diretta da Antonio Cosentino, Marina Santi e Maura Striano, presenta contributi teorici di autorevoli studiosi sulla complessa questione dell’educazione del pensiero, e materiali didattici costruiti con l’esplicito obiettivo di ‘insegnare a pensare’.
- È importante sottolineare che in questa corrente si parla di ‘infanzie’, al plurale, proprio per dare voce all’alterità che le abita.
- M. Foucault, Tecnologie del sé, cit., p. 32.