Quando si parla di educazione, istruzione e formazione, il dibattito italiano tende a inciampare su un gradino che non riesce a – o non vuole – vedere. Con una certa miopia, infatti, vede un terreno pianeggiante laddove sono presenti dei dislivelli o, in altre parole, appiattisce a un’unica categoria di termini interscambiabili quello che è invece un universo di concetti stratificati, interconnessi ma non coincidenti.
Educare non è (solo) istruire
Il primo errore è pensare che educazione sia sinonimo di istruzione. I due concetti, al contrario, andrebbero pensati come un insieme e il suo sottoinsieme.
Partiamo dal più grande: educare deriva dal latino e-ducere, letteralmente ‘portar fuori’. L’educazione, dunque, si prefigura come un percorso di espressione di ciò che il soggetto ha dentro di sé, accompagnandolo nella scoperta e lo sviluppo tanto delle proprie competenze quanto della propria persona. L’educazione può avere diversi volti, formali e informali: ci si educa andando a scuola ma anche facendo sport o suonando uno strumento, viaggiando ma anche ritagliandosi un momento per sé, partecipando ad attività associative ma anche intraprendendo un percorso di psicoterapia.
All’interno del grande calderone dell’educazione, l’istruzione è una parte fondamentale, ma non esaustiva. Dal latino in-struere, accumulare dentro, l’istruzione è ancora legata al retaggio nozionistico di apprendimento quasi passivo – la famosa immagine degli studenti come vasi da riempire, già condannata da Plutarco duemila anni fa. Se da un lato l’assorbimento di concetti dall’esterno è irrinunciabile, dall’altro risulta evidente come questo non possa esaurire l’intero percorso di crescita e formazione personale che risponde alla definizione di educazione. Le nozioni sono degli input da rielaborare e far propri, ma bisogna mettersi in relazione con essi perché questi siano educativi – ossia, perché riescano a tirar fuori qualcosa di nuovo e autentico.
Infine, anche il concetto di formazione merita una distinzione rispetto ai due precedenti: di più tarda affermazione, è venuto ad assumere connotazioni tecniche più specifiche sia nel dibattito che nelle fonti scritte. Oggi è un concetto in genere connesso ai ‘sistemi’ (gradi, tipi e livelli) di preparazione. Possiamo quindi dire che sia, come l’istruzione, un sottotipo del termine educazione, che dà forma a conoscenze e competenze e le struttura in maniera coerente all’interno del percorso educativo della persona.
L’educazione al centro della società
Un sistema educativo che possa definirsi tale, dunque, deve essere in grado di distinguere i diversi livelli e scalare anche i gradini successivi, non limitandosi a offrire conoscenze da aggiungere al repertorio ma ponendosi al centro della società, favorendo lo sviluppo dei singoli e della comunità di cui fanno parte.
La connessione tra educazione e comunità è centrale: se la prima è, come si diceva sopra, il percorso di espressione e sviluppo della propria persona, essa non può prescindere dalla seconda, rappresentante lo spazio che ospita il percorso di ciascun individuo. In questo senso, ogni percorso educativo s’incontra con gli altri e forma una rete più ampia di relazioni, promuovendo il confronto e la partecipazione attiva.
È importante tenere a mente questo doppio filo per salvaguardare l’educazione da una narrativa che la vuole sempre più competitiva, dipingendola come un gioco a somma zero in cui non si può vincere se non a spese altrui. La retorica del merito, in questo contesto, serve a suscitare l’idea che a vincere sia sempre chi arriva prima al traguardo, mascherando il privilegio che sta spesso alla base di un percorso più veloce, più liscio e più prestante, e che inevitabilmente consente di tagliare quella linea senza difficoltà. La meritocrazia, che guarda dunque all’arrivo ma mai al punto di partenza o al percorso, genera un senso di inadeguatezza in chi ha dovuto fare molta più strada per arrivare al traguardo, ha dovuto abbandonarlo in corsa, o capisce di aver scelto lo sport sbagliato ma si ritrova costretto a concludere la gara a causa di pressioni esterne.
Abbandonando in primo luogo il campo semantico della competizione, riabilitare il significato originario e intrinsecamente comunitario di educazione permetterebbe dunque di renderla un potente strumento per contrastare le disuguaglianze e il privilegio. In questo senso, per riportare l’educazione al centro è necessario coinvolgere tutte e tutti nella costruzione di nuovi schemi, frutto di un processo di co-creazione e innovazione continua. Quest’ultimo, poi, deve coinvolgere tanto chi insegna quanto chi impara, esplorando proprio quell’area in cui l’educazione eccede i confini dell’istruzione e si fa motore dello sviluppo di capacità emotive e relazionali e inclinazioni personali a tutte le età. Infatti, riportare l’educazione al centro del dibattito pubblico è condizione necessaria per promuovere concretamente il raggiungimento della sostenibilità nella sua accezione più ampia, formando persone proattive e responsabili che possano partecipare attivamente e contribuire in maniera consapevole e critica alla vita delle comunità e all’equilibrio del pianeta.
Condizione necessaria di questa rivoluzione sono spazi dove confrontarsi, trovare risorse utili per affrontare con consapevolezza le sfide e le dinamiche della scuola, dell’università e in generale di questa epoca. Questi spazi, digitali o fisici, devono essere pensati per generare dialogo, strumenti, proposte, sperimentazione, analisi e, soprattutto, consapevolezza generativa.