Bio-on, azienda italiana fondata da Marco Astorri e specializzata nella produzione di bioplastiche biodegradabili, in particolare il PHA (polidrossialcanoato) ottenuto da scarti agricoli, è stata il sogno italiano della sostenibilità. Fondata nel 2007, si proponeva di offrire un’alternativa ecologica alla plastica tradizionale. Il progetto aveva attirato l’interesse di investitori e media, ma nel 2019 l’azienda è stata coinvolta in uno scandalo finanziario aperto dall’hedge fund Quintessential. Accusata di false comunicazioni e manipolazione del mercato, Bio-on è finita in liquidazione giudiziaria con otto condanne e una assoluzione.
L’unicorno (Baldini + Castoldi, 2024, € 20,00) è il racconto affascinante della parabola di Bio-On. Il libro, scritto dai giornalisti Marco Madonia e Gianluca Rotondi, è il resoconto della vicenda giudiziaria e imprenditoriale unito al ritratto della nuova mitologia digitale italiana, quella che confonde visione con illusione, idealismo con storytelling.

La struttura narrativa intreccia testimonianze, documenti processuali, dialoghi ricostruiti e un narratore interno, Cesare, che rappresenta l’amico testimone e complice. Questa scelta conferisce alla vicenda un tono umano, personale, che porta il lettore dentro il cuore delle ambizioni di Astorri. «Io ho preso un’invenzione vecchia di 80 anni e ho creato la plastica che non inquina, che si scioglie nell’acqua. Mi dovrebbero ringraziare», dice il protagonista, in un monologo che è insieme atto di accusa e autodifesa.
Bio-On nasce sulla scia della rivoluzione verde, sull’onda di un’urgenza ambientale reale e dell’abbandono delle quote zucchero da parte dell’Unione Europea che rende possibile di collaborare con gli zuccherifici emiliani per gli scopi d’impresa. Il colpo di genio di Astorri è trovare, insieme al socio Guy Cicognani, un’applicazione industriale per i PHA, bioplastiche prodotte da batteri. L’idea è brillante, la narrazione ancora di più: «Il nome e il logo della società li ho inventati prima di sapere esattamente cosa fare. Si chiama Bio-On e sotto c’è la scritta: ‘Turn off pollution’». La plastica biodegradabile che doveva ‘cambiare il mondo’ non è mai stata messa sotto accusa, ma i quantitativi di produzione e l’andamento dell’impresa sì.
Ma è proprio qui che il libro solleva la domanda centrale: dove finisce la visione e dove inizia l’inganno? In un ecosistema economico che premia la narrazione sopra la sostanza, Astorri si presenta come un nuovo profeta green, capace di attrarre investitori e ottenere un successo fulmineo in Borsa. L’epica dell’unicorno – termine che nel lessico startup indica una società che supera il miliardo di valutazione – si alimenta di conferenze, riconoscimenti, voli verso Cupertino, investimenti milionari. Ma sotto questa facciata luccicante si nasconde una struttura fragile, ancora lontana da una vera industrializzazione.
Il libro diventa così anche una riflessione sulla finanza delle illusioni, quella che insegue più la promessa che la realtà. Astorri stesso lo dice: «Non è profondamente ingiusto giudicare una storia dal finale? Siamo stati azzoppati da un gruppo di criminali… Eravamo il cavallo favorito e per non farci vincere ci hanno sparato alle gambe proprio quando stavamo per tagliare il traguardo».
Ma il lettore è portato a interrogarsi anche sul sistema che ha reso possibile l’inganno: consulenti compiacenti, organi di vigilanza distratti, banche e società di revisione che hanno chiuso un occhio, o entrambi. In questo contesto, Bio-On non è tanto un’eccezione quanto un sintomo.
L’unicorno è anche un romanzo-saggio sull’evoluzione della cultura delle startup in Italia e più in generale nel mondo digitale. Bio-On è figlia di un tempo in cui l’ ‘economia della promessa’ ha sostituito quella del prodotto. I fondatori non cercano solo capitali: cercano di vendere un’idea potente, emozionante, ‘pitchabile’. In questa nuova economia, il marketing non è uno strumento, ma è il prodotto stesso.
«Io devo trovare i soldi e fare i contratti. Ho bisogno che mi aiuti a creare il racconto giusto», dice Astorri a Cesare. E proprio quella narrazione — green, disruptive, messianica — è ciò che convince investitori e media. L’azienda viene presentata come l’antitesi di Big Oil, come la risposta italiana alla crisi climatica. Ma quando il ‘racconto’ si rivela poco ancorato alla realtà industriale, l’impero crolla su sé stesso.
Questa storia è anche un segnale per l’intero ecosistema del digitale: siamo usciti dall’era delle startup ‘romantiche’, nate in garage, per entrare in quella del branding esasperato, dove la sostenibilità diventa uno slogan e l’innovazione un’arma di persuasione finanziaria. Il libro mostra in filigrana quanto sia sottile la linea tra innovazione e frode, tra intuizione e speculazione.
L’unicorno è un libro utile per comprendere i limiti e le ambiguità del nostro tempo. Con una scrittura vivace e tagliente, Madonia e Rotondi ci regalano non solo la storia di una startup ‘caduta dal cielo’, ma anche una riflessione lucida sul capitalismo narrativo, sull’ambientalismo di facciata e sull’ingenuità (o complicità) di chi ha pensato che bastasse crederci per cambiare il mondo.
Alla fine, il vero insegnamento è forse questo: «La traccia di un sogno non è meno reale di una traccia materiale. Anche i sogni producono conseguenze». E, a volte, queste conseguenze possono costare caro.
L’Unicorno è anche il titolo del podcast dedicato alla vicenda (8 puntate), prodotto da Will Media e Boats Sound. Da ascoltare.