L’economia della cultura, caporalato e migrazioni: il caso Grafica Veneta

Partendo da una vicenda di sfruttamento, l’articolo riflette sul ruolo dei lavoratori stranieri nell’economia italiana e sulla necessità di ritrovare un discorso di classe.

Autore

Silvia Ruggeri

Data

14 Aprile 2025

AUTORE

TEMPO DI LETTURA

5' di lettura

DATA

14 Aprile 2025

ARGOMENTO

CONDIVIDI

La vicenda: il caporalato in Pianura Padana

Trebaseleghe, provincia di Padova, maggio 2021. Grafica Veneta è un’azienda affermata sul mercato e in espansione, che stampa i libri dal file digitale fino alla consegna del prodotto finito per alcune delle case editrici più importanti d’Italia: tra le altre, Mondadori, Marsilio e Adelphi. L’azienda ha quasi 400 dipendenti, una succursale negli Stati Uniti d’America e la capacità produttiva di stampare un libro in 24 ore: è un modello di Made in Italy di successo, un esempio virtuoso di media impresa, radicata nel tessuto produttivo e nella cultura dell’imprenditoria veneta ma capace di essere competitiva sul mercato globale. Da dentro i suoi magazzini emerge, improvvisamente in una terra di provincia dove pare che nulla accada, un caso di caporalato complesso e articolato nel suo svolgersi che dimostra, al di là di ogni responsabilità individuale, i meccanismi su cui realmente si fonda il successo sul mercato di quella media impresa veneta come di tante altre aziende orgoglio nazionale. 

La storia è presto detta: in Grafica Veneta, il segmento finale della produzione, quello del packaging delle copertine, è esternalizzato e dato in appalto a una società con sede in Trentino Alto-Adige, configurata come cooperativa. È la cooperativa che gestisce il reclutamento e il pagamento dei lavoratori, che però vivono e lavorano a Trebaseleghe. Tanto la dirigenza della cooperativa quanto la maggior parte dei lavoratori sono di origine pakistana e il reclutamento avviene principalmente nel bacino dei compaesani di nuovo arrivo sul territorio nazionale. Dentro ai magazzini di Grafica Veneta, i lavoratori appaltati vivono una realtà di sfruttamento a tutti gli effetti: turni da dodici ore, sette giorni su sette, paghe inferiori ai seicento euro al mese, niente tutele, ferie, pause. Dentro e fuori l’azienda nessuno vede niente, fino a che un episodio di violenza fisica porta alla luce il caporalato anche nella produttiva e operosa Pianura Padana. La pervasività di questo strumento di profitto si espande non solo geograficamente, dal Sud dei campi di pomodori fino all’industria e alle fabbriche, ma anche settorialmente, impiantandosi in ogni filiera, anche in quella della produzione del libro. Persino la cultura, oggi, si fonda sullo sfruttamento.

Misurare la neoplebe: note sulla manodopera straniera

Il caso Grafica Veneta, oltre a dimostrare come le forme di sfruttamento rese possibili dal sistema degli appalti siano un fenomeno capillarmente diffuso, permette di dare uno sguardo a chi siano i lavoratori sfruttati oggi, approfondendo e in parte disvelando quella multiforme e mutevole massa che Paolo Perulli chiama neoplebe1. Il dato su cui si concentra questo articolo, scelto per la sua immediata riconoscibilità nella vicenda e per il suo ruolo crescente nell’economia italiana contemporanea, è quello della provenienza extra-nazionale, comune a tutti i lavoratori coinvolti nel caso Grafica Veneta. Sempre Perulli stima che i lavoratori stranieri rappresentino il 14% della neoplebe, configurandola così come la classe a maggiore presenza di persone con un background migratorio2

Articolare un ragionamento sul perché la manodopera straniera stia acquisendo una posizione di rilievo nei settori di manovalanza industriale e nella fornitura di servizi a basso costo necessita una specifica fondamentale, che scardina l’essenzialismo identitario che spesso si impiega nel riferirsi a questa categoria di lavoratori. Non è il fatto di essere stranieri di per sé che determina una posizione di lavoro precaria e poco tutelata. Certamente, il fatto di trovarsi in un paese diverso per lingua, leggi, habitus socioculturali rende più difficile orientarsi rispetto a cosa è legale, cosa norma, cosa violazione del diritto del lavoro. Ancora, la posizione di breadwinner che alcuni lavoratori stranieri assumono rispetto alle famiglie rimaste nel paese d’origine sancisce la necessità di un lavoro per mandare le rimesse a casa, aumentando la disponibilità ad accettare anche forme di lavoro 5P: pesante, precario, pericoloso, poco pagato, penalizzato socialmente3. Ciò che concorre però maggiormente a determinare la posizione dentro al mercato del lavoro delle persone con un background migratorio è il ruolo che esse sono chiamate a ricoprire nei processi economici. Cosa serve, per usare categorie sempre di Perulli, al capitalismo delle elité e della classe creativa? Lavoro a poco prezzo, che risponda alla minor spesa possibile a tutte le esigenze dello stesso. I lavoratori stranieri, per i motivi sopra elencati, hanno meno potere contrattuale degli autoctoni, e ciò li rende il pool ideale a cui rivolgersi proprio per queste forme di lavoro, che sono fondamentali alla produzione di ricchezza e alla riproduzione sociale. 

La differenza è sottile, ma fondamentale: innanzitutto focalizzarla permette di sottolineare le responsabilità del sistema politico-economico dominante nel determinare attivamente le forme di sfruttamento generalizzato del lavoro migrante di cui il caso Grafica Veneta si fa esempio. Nel costruire la condizione di vulnerabilità rispetto allo sfruttamento delle persone straniere in Italia, infatti, gioca un ruolo la precarietà strutturale imposta loro dal sistema giuridico vigente. Da una parte, la stretta sulle politiche migratorie in ingresso determina un aumento delle persone presenti sul territorio nazionale in maniera irregolare, che sono costrette a rivolgersi a segmenti irregolari del mercato del lavoro, caratterizzati da assenza di conformità contrattuale e tutele4. Inoltre, le leggi sull’immigrazione determinano la necessità di un contratto di lavoro per il rinnovo del permesso di soggiorno, il che rende i lavoratori stranieri, anche se regolarmente registrati sul territorio nazionale, forza lavoro più disposta ad accettare condizioni di lavoro precario o sottopagato a fronte di una stringente necessità di lavorare. L’attuale normativa in materia di immigrazione, sostanzialmente, indebolisce le possibilità di negoziazione della forza lavoro straniera della propria condizione e ne aumenta quindi la sfruttabilità; così, risponde all’esigenza del sistema di produzione capitalista di minimizzare i costi di produzione tagliando sul costo della forza lavoro, facendo leva sulla scarsa possibilità di resistenza politica dei soggetti sfruttati per massimizzare i profitti5

Ciò che si fa, non ciò che si è: la sfida del noi

Infine, focalizzare come la condizione dei lavoratori stranieri sia determinata da una razionalità precisa e dominante permette di spostare il piano di ragionamento a un discorso di classe, legato non tanto a chi si è, ma piuttosto a quale posizione si ricopre dentro al conflitto capitale-lavoro che si articola nei luoghi di produzione, e così a riflettere su forme di solidarietà e di contrattazione sindacale incisive e mirate al miglioramento reale delle condizioni di lavoro della neoplebe. I lavoratori assunti in appalto in Grafica Veneta sono, a Trebaseleghe, ai margini del sistema di fabbrica come del sistema paese, isolati dalla solidarietà tanto dai colleghi di lavoro, che dichiarano di non essere consapevoli delle forme di caporalato a cui erano sottoposti, quanto degli abitanti del circondario, che ne ignorano la presenza sul territorio. Anche i sindacati che intervengono faticano ad agire forme di contrattazione o di conflitto realmente significative e dimostrano in questo tutta la difficoltà di muoversi rispetto ad un mondo del lavoro iper-frammentato. C’è, nel determinare questo isolamento, certamente una forma di deferenza degli autoctoni verso l’azienda, che ha dalla sua il fatto di essere un potere economico in paese, e dall’altra un allenamento alla diffidenza strutturale verso il diverso, che non permette di riconoscere come simile la propria condizione proprio rispetto alla direzione aziendale o rispetto, allargando lo sguardo, alle forme di produzione e di riproduzione del valore a livello nazionale e globale.

Sta nel riconoscimento di questa comune condizione, tuttavia, la strada a cui guardare per l’uscita da quella condizione di sotto-salario e di super-sfruttamento che caratterizza la posizione lavorativa della neoplebe. Riconoscersi simili per posizione rispetto al sistema di produzione e di distribuzione della ricchezza permette due movimenti fondamentali per riacquisire, collettivamente, agentività rispetto alla propria condizione lavorativa. Da una parte, autorizza a superare l’isolamento etnico: la linea di divisione tra autoctono e straniero che diventa, sistematicamente, strumento ulteriore di estrazione di valore delle categorie ai margini. Permette, poi, di superare l’isolamento che deriva dalla frammentazione del mondo del lavoro a cui il sistema degli appalti concorre: anche all’interno dello stesso luogo di lavoro i lavoratori sono assunti con diversi tipi di contratto, con diverse figure di riferimento, con diversi salari, e questo parcellizza la percezione della propria condizione e vissuto lavorativo lasciando, in ultimo, soli, impotenti e impauriti6. Non è un lavoro semplice, certo, perché implica uno sforzo di ricomprensione e riconnessione, ma è funzionale a garantire una possibilità rivendicativa reale, senza la quale pensare a forme alternative di disegno industriale e sociale, che vadano progressivamente ad eliminare forme di sfruttamento e di lavoro degradante, è difficilmente pensabile, per quanto un’analisi della condizione del lavoro delle fasce coinvolte lo dimostri quantomeno necessario. 

Note

  1.  P. Perulli e L. Vettoretto, Neoplebe, classe creative, elitè. La nuova Italia, Laterza, Bari, 2022.
  2. Ibidem
  3. M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, 2020.
  4. S. Mezzadra e B. Nielsen, Confini e frontiere: la moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, Il Mulino, Bologna, 2014.
  5.  J. Mascat, Genealogie della razza e forme del capitale: Michel Foucault vs Cedric Robinson, in T. Palmi (a cura di), Decolonizzare l’antirazzismo: Per una critica della cattiva coscienza bianca, DeriveApprodi, Roma, pp. 53-70.
  6. T. Ferraresi, Il fuoco non si è spento. Cronache operaie dalla fabbrica ProSus contro il sistema degli appalti, tesi di laurea in Philosophy, International and Economic Studies, Università Ca’ Foscari, Venezia, 2024.
Leggi anche
Economia
Viva Voce
5′ di lettura

L’All you can wear e i vestiti degli uomini bianchi morti

di Anna Paola Lacatena
Economia
Freccette
5′ di lettura

Super! Un secolo di energia

di Luciano Canova
Economia, Senza categoria
Orme
6′ di lettura

Daron Acemoglu: le istituzioni come motore dell’economia

di Veronica Ronchi
Scienza
Viva Voce

La connessione tra uomo e cane

di Redazione
4′ di lettura
Scienza
Viva Voce

Viaggiare nel passato: le teorie scientifiche che sfiorano l’impossibile

di Redazione
4′ di lettura
Economia
Viva Voce

L’All you can wear e i vestiti degli uomini bianchi morti

di Anna Paola Lacatena
5′ di lettura
Scienza
Viva Voce

Chi è Chonkus il cianobatterio alleato contro il cambiamento climatico

di Redazione
4′ di lettura
Scienza
Viva Voce

Effetti delle droghe leggere: cosa cambia tra i vecchi spinelli e il nuovo THC

di Redazione
4′ di lettura
Scienza
Viva Voce

Braccia corte, grande ego

di Redazione
4′ di lettura

Credits

Ux Design: Susanna Legrenzi
Grafica: Maurizio Maselli / Artworkweb
Web development: Synesthesia