Le nuove frontiere dell’idrogeno

Giacimenti naturali di idrogeno stanno emergendo in tutto il mondo, innescando una nuova corsa all’oro, ma qual è il loro vero potenziale? Il mondo industriale e la comunità scientifica indagano la portata economica di questa risorsa.

Constantly burning fire at the place of a natural gas emission on Mount Chimaera (Yanartas) in Turkey. Hercules Milas / Alamy Foto Stock

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Alessandro Lanza, Valeria Zanini

Data

18 Febbraio 2025

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18 Febbraio 2025

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Yanartas è una zona montuosa all’interno della vallata dell’antica Olympos, nell’odierna regione di Adalia, nel sud-ovest della Turchia.

Yanartas, in turco ‘pietra in fiamme’, è sempre stata considerata un luogo sacro nel corso della storia: si dice sia proprio qui che è nata la fiamma olimpica, quando la zona era ancora greca. Molti secoli più tardi, nel 1811, l’ufficiale della marina inglese Francis Beaufort identificò in Yanartas il Monte Chimera narrato nell’Iliade.

Ciò che ha portato ad attribuire al luogo quest’aura leggendaria sono le centinaia di esili fuochi che bruciano costantemente da piccole aperture nelle rocce sul fianco della montagna. Secondo recenti studi queste fiamme bruciano da più di 2.500 anni e sono dovute al gas naturale che, da un giacimento sottostante, fuoriesce in superficie tramite crepe nel terreno causate nei secoli da terremoti.

Alcune ricerche hanno dimostrato che oltre al metano, questo gas è composto per circa il 10% da idrogeno.

Quello di Yanartas è solo uno dei moltissimi giacimenti di idrogeno nel mondo, in gran parte scoperti nell’ultimo decennio. Le ricerche di accumuli naturali di questo gas sono infatti cresciute negli ultimi anni, al punto da far parlare di una nuova corsa all’oro.

Limiti e opportunità per l’idrogeno

Se l’entusiasmo per l’idrogeno è recente, il suo utilizzo ha una storia ben più lunga. Ben prima dell’impiego del metano, infatti, in molte città italiane ed europee veniva distribuito il cosiddetto ‘gas di città’, ottenuto per distillazione del carbone: il 50% della miscela risultante era composta da idrogeno.

Dopo un lungo periodo in cui è sparito dal mix energetico, l’idrogeno è tornato a essere tra i protagonisti delle discussioni sul futuro del sistema energetico. La sua rinnovata popolarità è legata alla sua versatilità: questo gas, infatti, non è solo un combustibile ‘pulito’ (in quanto privo di carbonio, diversamente dai combustibili fossili, non emette CO2 quando brucia), ma è anche un vettore energetico. Queste due caratteristiche lo rendono un perfetto candidato sia per offrire un’alternativa ai combustibili fossili in molti settori e processi industriali ad alta intensità di emissioni (in particolare nei cosiddetti hard to abate sectors, quei settori che non possono essere totalmente elettrificati perché utilizzano i combustibili fossili sia come materie prime sia per produrre calore ad alte temperature), sia per sostenere lo sviluppo del mercato delle energie rinnovabili. Il solare e l’eolico sono infatti energie intermittenti, soggette a variazioni di disponibilità, e spesso necessitano di sistemi di accumulo in grado di immagazzinare l’elettricità nei picchi di produzione, per poi rilasciarla quando c’è maggiore necessità, fungendo da bilancia tra domanda e offerta e contribuendo a stabilizzare la rete.

Attualmente il mercato dell’idrogeno è ancora in una fase embrionale. Nel 2023 sono stati consumati quasi 100 milioni di tonnellate di idrogeno nel mondo; la maggior parte della domanda proviene dalle raffinerie, che lo utilizzano per alleggerire il petrolio greggio e per produrre olio vegetale idrotrattato (HVO) da utilizzare come diesel rinnovabile; dall’industria chimica, per la produzione di ammoniaca per i fertilizzanti; e dall’industria siderurgica per il trattamento dei metalli. La conversione dell’elettricità in idrogeno avviene attraverso elettrolisi (il processo tramite cui, grazie al passaggio di una corrente elettrica, l’acqua viene scissa nei suoi componenti di base, idrogeno e ossigeno) e il ritorno all’elettricità attraverso celle a combustibile (in cui l’idrogeno reagisce con l’ossigeno attraverso una cella elettrochimica, simile a una batteria, per produrre elettricità, acqua e piccole quantità di calore). Le celle a combustibile costituiscono ancora una nicchia (sono diffuse solo per alimentare i sistemi elettrici dei veicoli spaziali), anche se molte aziende stanno affinando queste tecnologie per estenderne il mercato. Lo stoccaggio energetico avviene infatti più spesso in ottica della futura riconversione termica, tramite combustione in turbine a gas: all’interno di miscele con il gas naturale, l’idrogeno può essere bruciato per la generazione di elettricità e il riscaldamento degli ambienti. Tuttavia, il suo utilizzo nelle infrastrutture di distribuzione del gas naturale e nelle apparecchiature di combustione esistenti pone una serie di sfide legate alla compatibilità dei materiali e alle caratteristiche di combustione.

L’International Energy Agency prevede che la domanda annuale di idrogeno crescerà fino a quasi 400 milioni di tonnellate al 2050, per rispondere a una richiesta crescente nel settore industriale (in particolare nell’industria chimica e in quella di ferro e acciaio), dei trasporti (sia su strada sia aereo e marittimo), della produzione di elettricità. Secondo IRENA, invece, nel 2050 la domanda raggiungerà le 614 milioni di tonnellate l’anno. Questo dato preso singolarmente può far pensare a un futuro caratterizzato da un estensivo utilizzo dell’idrogeno, ma viene subito ridimensionato se paragonato ai dati sull’utilizzo dei combustibili fossili: quasi 100 milioni i barili di petrolio, 22 milioni le tonnellate di carbone e 11 miliardi i metri cubi di gas consumati al giorno oggi nel mondo. Di fronte a queste cifre, risulta evidente come l’idrogeno non sarà la soluzione al problema delle emissioni climalteranti, ma un tassello di una più ampia politica tesa alla decarbonizzazione.

A oggi, gli attuali limiti allo sviluppo del mercato dell’idrogeno sono, principalmente, due: una domanda limitata e costi di produzione ancora alti, specialmente per ottenere idrogeno tramite processi produttivi a bassa intensità di carbonio. Infatti, nonostante l’idrogeno sia l’elemento più abbondante nell’universo, nell’atmosfera terrestre esiste solo in quantità molto ridotte (circa 0,5 parti per milione) e si trova quasi esclusivamente combinato con altri elementi (con l’ossigeno nell’acqua, H2O; e con il carbonio in tutti gli idrocarburi, CH4, C2H6, ecc.). Per ottenerlo isolato (ovvero nella forma molecolare H2) deve essere estratto dai composti in cui si trova attraverso processi che, a loro volta, richiedono consumo di energia. Per farlo, si possono usare diverse tecnologie, a cui corrispondono diverse intensità di emissioni e diversi costi.

Figura 1 – Denominazione dei diversi tipi di idrogeno a seconda del processo e della fonte energetica utilizzati (Fonte: Energy Strategy, Hydrogen Innovation Report 2021. Le sfide per la creazione di un mercato dell’idrogeno, 2021).

A seconda di come è prodotto, l’idrogeno viene classificato tramite uno schema di denominazione informale basato sui colori: idrogeno verde quando viene prodotto utilizzando energie rinnovabili (idroelettrica, solare, eolica); idrogeno giallo, ricavato dall’acqua per elettrolisi; idrogeno rosa, o viola, se l’elettricità viene da un impianto nucleare; turchese, ottenuto tramite pirolisi del metano, che scompone questo gas in idrogeno e carbonio solido. La maggior parte (il 96%) dell’idrogeno nel mondo oggi è idrogeno marrone, grigio o blu, ovvero, rispettivamente, prodotto tramite gassificazione del carbone (tramite una reazione ad alte temperature con l’acqua che produce monossido di carbonio e idrogeno), steam reforming del metano (una tecnica per produrre idrogeno a partire dal metano e dall’acqua a temperature intorno ai 1000°C), e gassificazione del carbone o steam reforming del metano accompagnato da tecnologie di CCS (cattura e stoccaggio delle emissioni di anidride carbonica). Le opzioni a più basse emissioni di carbonio, però, come l’idrogeno verde, sono troppo costose per diffondersi estensivamente nel mercato: ad oggi, produrre 1 kg di idrogeno verde costa in media circa 5 USD (tra 3,0-7,5 USD al kg), più del doppio dell’idrogeno grigio (il cui costo varia tra 0,9-3,2 USD al kg) e di quello blu (tra 1,5-2,9 USD al kg), che a loro volta sono però esposti alle variazioni di prezzo del gas naturale.

Figura 2 – Costo medio della produzione di idrogeno per tecnologia nel 2021, 2022 e nel 2030 secondo lo Scenario Emissioni Nette Zero al 2050 (Fonte: Agenzia Internazionale dell’Energia-IEA, Global Hydrogen Review, 2023).

Note: CCUS = cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio; PV = fotovoltaico; NZE= Scenario emissioni nette zero entro il 2050 in 2030. Il solare fotovoltaico, l’eolico e il nucleare si riferiscono alla fornitura di elettricità per alimentare il processo di elettrolisi. I valori NZE si riferiscono al 2030. L’area tratteggiata rappresenta l’impatto del prezzo della CO2, basato su 15-140 $/t CO2 per lo scenario NZE. Fonti: Analisi dell’AIE basata sui dati di McKinsey & Company e del Consiglio per l’idrogeno; IEA GHG (2014); NETL (2022); IEA GHG (2017); E4Tech (2015); Kawasaki Heavy Industries.

Consapevoli di questo limite, numerosi governi stanno incentivando lo sviluppo del mercato dell’idrogeno: nel settembre del 2022 il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha dichiarato che avrebbe speso 7 miliardi di USD per realizzare almeno sei hub in cui produrre idrogeno verde o blu, mentre nel maggio del 2022 l’Unione Europea ha annunciato l’obiettivo di 20 milioni di tonnellate all’anno di nuovo idrogeno verde entro il 2030 (metà di produzione interna, metà importato), obiettivo che è stato recentemente definito irrealistico dalla Corte dei Conti europea (ECA). È bene ricordare, inoltre, che lo sviluppo della produzione di idrogeno verde richiederebbe anche un grande aumento di disponibilità di energia rinnovabile.  

L’idrogeno bianco

È per questi limiti che negli ultimi anni si è aperta la cosiddetta corsa all’oro per la scoperta di giacimenti di idrogeno bianco (anche detto naturale, dorato, geologico o nativo), ossia quello già presente in natura nella sua forma molecolare (H2), generato da processi geologici e intrappolato in accumuli naturali nel sottosuolo. Poiché il processo di estrazione dell’idrogeno naturale non coinvolge il carbonio (anche se la perforazione e la distribuzione comporterebbero comunque emissioni di gas climalteranti), l’idrogeno bianco è il più ‘pulito’: studi recenti mostrano infatti che l’intensità di gas serra dell’idrogeno naturale è di 0,4 kg di CO2 equivalente per chilogrammo (kg CO2eq/kg); molto meno dei 22-26 kg CO2e/kg dell’idrogeno nero o dei 10-14 kg CO2e/kg dell’idrogeno blu. 

I differenti processi generativi, e le ancora scarse conoscenze in merito, lasciano aperta la discussione relativa all’idrogeno bianco come fonte rinnovabile. Sebbene l’idrogeno si produca dall’interazione continua dell’acqua sotterranea con rocce ricche di ferro e magnesio, molti esperti del settore sottolineano che i tassi di produzione sono troppo lenti rispetto a quelli di estrazione per poter considerare l’idrogeno naturale una risorsa a tutti gli effetti rinnovabile. Va detto che nell’unico giacimento attualmente sfruttato, in Mali, la pressione con cui l’idrogeno fuoriesce è rimasta costante negli anni.

Un altro vantaggio dell’idrogeno bianco è che i suoi costi di produzione sembrano essere molto bassi. Un’azienda anglo-spagnola, Helios Aragon, in seguito alla scoperta di un grande giacimento sotterraneo ai piedi dei Pirenei lo scorso anno, sostiene di poter produrre idrogeno naturale a meno di 1 USD per kg (0,82 USD). Più in generale, gli esperti del settore indicano costi di produzione per l’idrogeno naturale tra 0,5 e 1 USD al kg.

La domanda fondamentale che sollevano le scoperte di riserve di idrogeno naturale è se i giacimenti saranno abbastanza grandi e abbastanza profittevoli da giustificare il costo delle ricerche, delle trivellazioni e delle infrastrutture di estrazione e trasporto, necessarie per sfruttare economicamente l’idrogeno nel sottosuolo.

Generazione ed estrazione

Per provare a rispondere è necessario fare un passo indietro, e chiedersi: come si genera l’idrogeno naturale? Dove si accumula? Quanto è facile la sua estrazione?

Figura 3 – Come si forma l’idrogeno sottoterra (Fonte: E. Hand, Hidden Hydrogen: Does Earth hold vast stores of a renewable, carbon-free fuel?, in “Science”, vol. 379, n. 6633, pp. 633; Grafica: C. Bickel, Science; Dati: Geoffrey Ellis, USGS).

Sono diversi i fenomeni che portano alla generazione di idrogeno nella crosta terrestre. Il più comune è la serpentinizzazione (2): tramite infiltrazioni, l’acqua raggiunge le rocce ricche di ferro o magnesio come le olivine, di cui la crosta terrestre è ricca. A contatto con l’acqua, il metallo si ossida legandosi all’ossigeno presente nell’acqua e rilasciando così idrogeno, che si infiltra nelle rocce circostanti. Un’altra modalità di generazione è la radiolisi (1), attraverso la quale l’idrogeno contenuto nell’acqua viene separato dall’ossigeno grazie a tracce di elementi radioattivi presenti nelle rocce. Secondo alcune teorie, l’idrogeno può anche crearsi in profondità (3) nella crosta terrestre, dove i flussi provenienti dal nucleo e dal mantello risalgono lungo i confini delle placche tettoniche e lungo le faglie. Quest’ultima teoria è ancora dibattuta all’interno della comunità scientifica.

Una volta che l’idrogeno si è formato, però, tre diversi processi ne minacciano la permanenza nel giacimento. L’idrogeno è una fonte di nutrimento per una vasta biosfera di microbi (5), che spesso producono a loro volta metano: questo è uno dei motivi per cui si trova raramente insieme a gas idrocarburi come il metano o il propano. A livelli più profondi della crosta, l’idrogeno reagisce con le rocce e i gas per formare acqua, metano, petrolio e composti minerali (6).

La parte di idrogeno che sfugge a questi meccanismi potrebbe raggiungere delle rocce porose, dove formare un accumulo di gas, ma è un gas leggero, che fuoriesce attraverso la più piccola fessura: per fare in modo che l’accumulo persista, deve trovarsi all’interno di una roccia sufficientemente impermeabile in modo da fungere da sigillo per un serbatoio di H2. Recenti studi hanno dimostrato che, per similitudine di diametro della molecola, l’idrogeno viene probabilmente bloccato dalle stesse rocce che contengono l’elio, e di questo gas esistono accumuli preservati anche per cento milioni di anni. È ragionevole supporre che l’idrogeno possa essere intrappolato per un periodo di tempo simile.

Una volta individuato un giacimento, l’idrogeno può essere estratto in diversi modi: perforando le sacche di gas intrappolate nelle rocce porose sotto i depositi di sale o altri strati rocciosi impermeabili, in modo simile a quanto si fa con petrolio e gas naturale (7); attingendo direttamente alle rocce di partenza ricche di ferro, se sono abbastanza superficiali e fratturate da consentire la raccolta dell’idrogeno (8); stimolando la produzione di idrogeno pompando acqua nelle rocce ricche di ferro (9).

Distribuzione mondiale dei depositi naturali di idrogeno

Figura 4 – Mappa dei siti di osservazione dell’idrogeno (10% volume o più) (Fonte: V. Zgonnik, The occurrence and geoscience of natural hydrogen: A comprehensive review, in “Earth-Science Reviews”, vol. 203, 2020).

Non è ancora chiaro quanto idrogeno venga prodotto sulla Terra e quanto se ne accumuli in serbatoi dove sarebbe facile produrlo, anche perché non sono ancora state identificate tutte le reazioni che potrebbero generarlo. I pozzi dedicati alla sua esplorazione nel mondo sono ancora pochissimi, e le conoscenze tecniche sono insufficienti per stimare con precisione i volumi totali globali a disposizione.

Secondo i risultati di uno studio del Servizio geologico degli Stati Uniti, nei giacimenti sotterranei di tutto il mondo esistono ben 5.000 miliardi di tonnellate di idrogeno1. Sebbene la maggior parte dell’idrogeno sia probabilmente non accessibile, l’estrazione di una piccolissima percentuale potrebbe soddisfare tutta la domanda prevista – 500 milioni di tonnellate all’anno – per centinaia di anni.

Il problema nelle ricerche di questi giacimenti è che, allo stato attuale, non esiste un quadro chiaro ed esaustivo su quali siano gli indicatori per la presenza di idrogeno sotterraneo. Diverse pubblicazioni menzionano alcune formazioni geologiche specifiche, come rift, bacini di retroarco, bacini intracratonici, aree cratoniche, all’interno di formazioni di ferro a bande o zone mineralizzate e depositi di minerali, dorsali medio-oceaniche e ambienti orogenici. Altre ipotesi di indicatori geologici riguardano i cosiddetti fairy circles (cerchi delle fate), depressioni circolari al cui interno non si sviluppa vegetazione e sulla cui superficie sono stati rilevate negli Stati Uniti, in Brasile, Canada, Australia e Namibia fuoriuscite di gas metano e idrogeno, seppur in modo non costante. Spesso l’idrogeno naturale si trova in associazione con elio, anidride carbonica, azoto e metano; e sono documentate presenze di idrogeno anche in miniere di rame – come in Ontario, in Canada – e di oro, platino e cromite – in Sudafrica.

Depositi naturali di idrogeno sono già stati trovati in diverse parti del mondo. Finora, la maggior parte delle scoperte è stata fatta per caso, spesso da geologi a caccia di combustibili fossili, come nel caso del giacimento trovato in Lorena, in Francia, scoperto da un laboratorio dell’Università della Lorena insieme al Centro Nazionale della Ricerca Scientifica (CNRS) durante una valutazione delle concentrazioni di gas metano presente nel sottosuolo.

Il primo giacimento a essere scoperto è stato quello di Bourakébougou, in Mali, dove nel 1987 la perforazione di un pozzo alla ricerca di acqua ha portato a un’esplosione e alla scoperta di un bacino di idrogeno quasi puro. Per motivi di sicurezza il pozzo fu cementato fino al 2007, quando il presidente maliano di Petroma, una società di petrolio e gas, ha acquisito i diritti di ricerca nella zona, e cinque anni dopo, attaccando una turbina a gas da 30 kW, ha iniziato a bruciare idrogeno e a fornire elettricità ai residenti locali. La produzione del pozzo si aggira intorno alle cinque tonnellate all’anno (per avere una misura, nel 2022 erano circa 95 milioni l’anno le tonnellate di idrogeno prodotto nel mondo, di cui il 96% è idrogeno grigio). A partire dal 2018, la società, nel frattempo rinominata Hydroma, ha iniziato a trivellare nei dintorni, trovando altri cinque depositi. Il Mali è finora l’unico caso al mondo ad aver sfruttato i depositi sotterranei di idrogeno, ma potrebbe non rimanere solo a lungo.

Secondo la società di consulenza Rystad Energy, alla fine del 2023 quaranta società, principalmente start-up in Paesi come Australia, Canada, Colombia, Corea del Sud, Marocco, Mozambico, Sudafrica e Togo, erano alla ricerca di giacimenti di idrogeno, quattro volte il dato di soli tre anni fa. Giacimenti sono stati trovati in Australia meridionale, in Spagna e in tutta Europa, oltre che in Namibia, Brasile, Stati Uniti e molti altri Paesi. Nel 2024, è stato scoperto un giacimento naturale di elio e idrogeno a Rukwa, in Tanzania, mentre dal 2023 altri sono stati trovati nei territori francesi – in Lorena, nelle Alpi, in Nuova Caledonia e nei Pirenei (secondo i ricercatori del Centro nazionale di ricerca scientifica francese, il solo giacimento di idrogeno nel bacino carbonifero della Lorena conterrebbe 250 milioni di tonnellate di idrogeno naturale). E ancora, nel febbraio del 2024 un altro in Albania, in fondo a una miniera sotterranea di cromo.

Di fronte alla numerosità dei giacimenti trovati in un così breve lasso di tempo, potrebbe sorgere spontanea una domanda: l’industria del petrolio e del gas ha perforato la Terra con milioni di pozzi, come è possibile che non abbia mai rilevato quelli di idrogeno?

Le motivazioni sono principalmente due: non si pensava esistessero e non era di interesse trovarli. Da un lato, fino a non molti decenni fa, gli scienziati pensavano che i depositi naturali di idrogeno semplicemente non potessero esistere. Dall’altro, prima che la minaccia del cambiamento climatico acquisisse la rilevanza che ha oggi, non c’era alcun incentivo a cercare una nuova fonte di energia. A queste motivazioni, se ne uniscono due tecniche: in primis, i giacimenti di idrogeno si trovano spesso in strati più superficiali rispetto al petrolio e al gas, ed è quindi probabile che siano stati semplicemente attraversati dalla perforazione; in secondo luogo, uno dei metodi comunemente usati dall’industria petrolifera per analizzare i giacimenti di gas prevede l’uso dell’idrogeno come gas vettore, che può mascherare così l’idrogeno naturale già presente nei giacimenti.

Un nuovo elemento nell’accompagnamento della transizione energetica

Alla luce delle numerose scoperte, il mondo industriale e la comunità scientifica stanno indagando il potenziale economico dell’idrogeno naturale. Prima di affermare che l’idrogeno naturale sarà una nuova frontiera all’interno della transizione energetica, sarà necessario chiarire due punti. In primis, dove e in quali modalità si genera questo gas all’interno della terra. I geologi, infatti, conoscono già decine di processi naturali che generano idrogeno naturale, ma per valutare il potenziale economico di questa risorsa è necessario identificare quali di questi meccanismi sono in grado di generare grandi quantità di gas, e in quali condizioni questo rimane accumulato per un periodo di tempo sufficiente. In secondo luogo, andrà studiato in che modo e se è possibile estrarlo in modo sicuro, sostenibile ed economicamente conveniente.

La similitudine delle tecnologie e delle infrastrutture necessarie all’estrazione e trasporto di idrogeno con quelle utilizzate nel settore petrolifero e del gas potrebbe lasciar dedurre un vantaggio nello sviluppo di questo mercato. In realtà, esistono numerose sfide nel trasporto, nella distribuzione e nello stoccaggio dell’idrogeno (che accomunano l’idrogeno ‘di tutti i colori’). Abbiamo detto che l’idrogeno è un gas molto leggero; 1 kg di idrogeno contiene la stessa energia di circa 4 litri di benzina, ma, a pressione ambiente, occupa più spazio del fusto di una autobetoniera. Per liquefarlo, bisogna portarlo a una temperatura di -235°, il che richiede un alto dispendio di energia e lo rende economicamente meno (o non) redditizio, in quanto è possibile perdere fino a 1/3 dell’energia dell’idrogeno durante la sua liquefazione. Queste difficoltà sono tra i motivi per cui nei trasporti, le batterie hanno avuto la meglio sulle celle a combustibile, che trasformano idrogeno in elettricità, e nel riscaldamento residenziale le pompe di calore hanno preso piede al posto delle caldaie a idrogeno. Come conseguenza del suo ancora scarso utilizzo, nell’infrastruttura attuale mancano condotte di trasporto e sistemi di distribuzione e di stoccaggio adatti per l’idrogeno.

A questo, si aggiungono degli ostacoli di tipo regolatorio: in moltissimi Stati, i permessi di esplorazione per l’idrogeno naturale sono allocati in base alle leggi sul petrolio e sul gas, spesso soggette a regolamenti sul clima che pongono dei limiti alle nuove operazioni. Negli Stati in cui l’ambiente normativo è più flessibile, o è già stato emendato, per riconoscere le peculiarità di questo gas e separare la sua normativa da quella sugli idrocarburi, si è registrato un aumento dei progetti di esplorazione. In Australia Meridionale, da quando nel 2021 l’idrogeno è stato riconosciuto come una delle sostanze per cui vengono consentite, 6 diverse società hanno richiesto e ottenuto diciotto licenze di esplorazione per l’idrogeno bianco. Allo stesso modo, in Francia quattro società hanno richiesto permessi da quando, nel 2023, le norme minerarie sono state modificate per includere questo elemento. Negli Stati Uniti, si stanno finalizzando norme e regolamenti in merito, e l’idrogeno potrebbe anche essere ammissibile per generosi crediti di imposta. In generale, la modifica dei sistemi normativi esistenti in materia di oil and gas o la creazione di nuove leggi sull’esplorazione dell’idrogeno naturale influiranno sulla velocità con cui le riserve naturali potranno essere individuate e sfruttate.

In un contesto di transizione energetica, la disponibilità di un’ampia varietà di tecnologie e fonti energetiche è la chiave per la sicurezza dei mercati e per una decarbonizzazione efficace dei diversi settori. A questo si aggiunge un elemento di dipendenza strategica. Sebbene l’energia eolica e solare sia illimitata, la sua trasformazione in elettricità richiede l’utilizzo di tecnologie che necessitano di materie prime critiche, la cui estrazione e lavorazione è concentrata in pochi Paesi, rendendole risorse strategicamente rilevanti. Pertanto, lo sviluppo di un mercato dell’idrogeno e la scoperta di un nuovo modo per produrlo che sia più economico e che emetta meno gas climalteranti assicurerebbe non solo una produzione energetica sostenibile più stabile per compensare l’intermittenza delle fonti eolica e solare, ma anche un nuovo bilanciamento degli equilibri geopolitici. Anche perché l’idrogeno è spesso disponibile dove il petrolio e il gas non lo sono.

Note

  1. Secondo un modello del Servizio geologico degli Stati Uniti (USGS), presentato nell’ottobre 2022 a un incontro della Geological Society of America.
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