Radio Riders. Moderne forme di ‘schiavitù’ metropolitana

Giovani, prevalentemente migranti, ma anche studenti e disoccupati. Piu uomini che donne, ma queste ultime in crescita. Ciclofattorini, detti comunemente riders. Supersfruttati che consegnano qualsiasi merce, per lo più cibo, a domicilio.

Autore

Paola Piscitelli

Data

27 Gennaio 2025

AUTORE

TEMPO DI LETTURA

6' di lettura

DATA

27 Gennaio 2025

ARGOMENTO

CONDIVIDI

Se la neoplebe è il nuovo aggregato sociale, opposto alle élite e asservito al dominio tecno-economico del tardo capitalismo, con modalità inedite e spesso invisibili, come è possibile riprenderlo da vicino per comprendere chi vi ricade? E come rappresentare le nuove figure urbane prive di rappresentanza nella città globalizzata della dislocazione di spazi e diritti, dove anche i corpi si fanno divisi, volatili, sfuggenti?

Rappresentare la neoplebe

Queste le mie domande alla base di Radio Riders, cortometraggio scritto e diretto nel 2020 insieme a Fabio A. Corbellini, che cerca di raccontare il mondo delle consegne a domicilio per piattaforme digitali come Uber Eats, Deliveroo, Glovo, e Just Eat, un fenomeno emergente ai tempi del film ma già dirompente per la città.

Radio Riders sceglie di farlo dalla prospettiva dal basso degli stessi rider, nuovi schiavi metropolitani. Coerentemente con l’eterogeneità della neo-plebe cui appartengono, i rider sono una categoria variegata. Per lo più maschi – con la percentuale di donne in crescita – d’età compresa tra i 18 e i 35 anni, sono studenti universitari, lavoratori precari o disoccupati alla ricerca di un’occupazione flessibile dal guadagno rapido. Coloro che finiscono per farlo stabilmente, però, sono per la maggioranza giovani migranti, per i quali le piattaforme di consegna dalle barriere d’ingresso basse rappresentano un modo per entrare nel mercato del lavoro, sopravvivere nelle città di approdo e inviare denaro a casa senza che siano richiesti titoli di studio, qualifiche ed esperienze professionali pregresse né una particolare documentazione.

Come dice uno dei rider nel corto: «Questo servizio è una porta d’entrata per cominciare a lavorare qua in Italia. La lingua italiana non è un obbligo per chi fa questo mestiere».
La sua voce, insieme a quelle degli altri, arriva come trasmessa da un’invisibile emittente radiofonica e guida in un dissonante viaggio notturno di testimonianze disturbanti, sullo sfondo di superfici scintillanti, messaggi pubblicitari e torri di vetro della ‘città che sale’. La Milano post-EXPO, dove la trasparenza nasconde le ombre opache dello sfruttamento. Quello in cui ricade lo sciame variegato e uniforme – una massa di nuovi servi – degli addetti alle consegne di cibo a domicilio. Iniziano immaginandosi lavoratori autonomi e si ritrovano sottomessi ed esclusi dai più basilari diritti lavorativi e di cittadinanza.

La dittatura dell’algoritmo

I rider sono parte della gig economy, termine gergale proveniente dal mondo del jazz per indicare l’ingaggio d’una sera. Gig è ‘stiracchiamento’ di engagement e, dunque, un ‘ingaggio stiracchiato’, per cui si lavorerebbe quando si vuole. Per questo motivo, i rider vengono associati a lavoratori autonomi. Ma la realtà è diversa.

«Non è un lavoretto, come dicono loro che è un lavoretto e puoi farlo quando vuoi […] perché sei obbligato a lavorare nel weekend e [se non lo fai] non riesci più a trovare turni», commenta rabbiosa una voce. Non ci sono quasi mai contratti scritti, mentre per cominciare occorre sottoporsi a un test valutativo.

All’origine dei meccanismi di funzionamento di piattaforme, siti e app, l’algoritmo stabilisce orari, turni e incarichi sulla base di operazioni logico-matematiche efficienti, sostituendo il capo reparto e il capo del personale. 

L’introduzione dell’economia dell’algoritmo ha prodotto l’abbattimento dei costi per i servizi e una razionalizzazione del mercato precedentemente inconcepibile, con la cancellazione di quasi tutti gli altri fattori che determinano il rapporto di lavoro.

Così, nella gig economy, è l’algoritmo il datore di lavoro. Determina i ‘rapporti di produzione’ che sanciscono le soglie di consegne e le ore necessarie per restare nel loop dell’accesso ai turni di lavoro. 

Il sistema più diffuso per la valutazione del lavoro svolto è legato al numero di impegni o incarichi portati a termine e dal giudizio dei clienti, confermando la centralità del sistema del cottimo orario nell’organizzazione produttiva della piattaforma. Se i rider non rispettano le soglie di performance imposte (per esempio, un numero minimo di consegne o un punteggio positivo dai clienti), vengono penalizzati con incarichi meno redditizi o, in casi estremi, espulsi dalla piattaforma, una specie di licenziamento occulto.

Nonostante la promessa di guadagni elevati, i rider si ritrovano a lavorare in condizioni precarie, con retribuzioni che raramente superano i nove euro l’ora. Sono formalmente autonomi, ma di fatto non godono di nessun diritto, rientrando nella categoria dei working poor, i lavoratori poveri. In Italia, il 11,8% dei lavoratori si trova in questa situazione, contro una media europea del 9,2%.

I nuovi dannati della città

Da una parte ci sono loro, dall’altra il 21% degli italiani che utilizza mensilmente i servizi di food delivery, specialmente i giovani e specialmente nel weekend, quando la percentuale sale a metà della popolazione italiana. Si ordina dagli uffici per chi vi resta a oltranza e nelle case quando si è soli ma anche quando ci si riunisce con gli amici. Pochi click e la cena è servita alla porta da uno sconosciuto che un attimo dopo rientra a fare parte di una massa operosa e invisibile. Nel lockdown della pandemia del 2020, questi novelli Mercurio su due ruote, con gli zaini cuboidali per le consegne al posto delle ali, che solcavano le città per continuare a rifornirle, sono emersi come una figura essenziale per l’economia urbana. Essenziale quanto sfruttata ogni giorno, e sacrificata a ogni nuova emergenza. 

Nel nubifragio di Bologna dello scorso 19 ottobre 2024, con famiglie sfollate e l’appello del sindaco a non uscire di casa, le aziende di food delivery non hanno interrotto le consegne e i rider hanno continuato ad avanzare come potevano tra le strade allagate, per consegnare pizze e panini in piena emergenza. Ma al di fuori delle emergenze, i rider tornano nelle maglie dei meccanismi di funzionamento delle economie urbane neoliberiste.

Radio Riders è stato sin dall’inizio un tentativo di portare alla luce l’invisibilità di questi lavoratori, dando voce a chi, ogni giorno, si muove nella città e la nutre senza essere visto.

Nei mesi precedenti le riprese, abbiamo condotto ricerche e indagini sul campo, parlando con rider, sindacalisti ed esperti di diritti del lavoro. Abbiamo utilizzato metodologie etnografiche per entrare in contatto con i lavoratori e capire meglio le loro condizioni. Una dozzina di rider ha accettato di partecipare al progetto, coprendo uno spettro socio-demografico ampio: giovani migranti senza documenti, studenti universitari e lavoratori precari.

Trascorrere del tempo nei luoghi in cui si ritrovavano e sostavano tra una consegna e l’altra, curiosamente alle varie antiche porte della città di Milano (Porta Garibaldi, Porta Nuova, Porta Venezia…e poi nei pressi del Cimitero Monumentale) aspettare, conoscerli e farci conoscere, spiegando estesamente perché ci tenessimo a fare un film su di loro ancor prima di cominciare a girare, è servito non solo per costruire un terreno di rispetto e fiducia reciproca, ma soprattutto per mettere a fuoco con loro il senso del film.

Poi, un giorno, gli stessi ragazzi con cui avevamo stabilito un clima di familiarità e degli appuntamenti rituali, ci hanno accolto con freddezza e distacco, qualcuno arrabbiandosi: «Voi e le vostre macchine fotografiche! Poi noi finiamo nei servizi televisivi e i nostri parenti ci vedono». La mia reazione istintiva è stata di abbassare la camera come fosse un’arma. «Siamo interessati alle vostre storie, non a estorcervi informazioni» — ho spiegato, e questo ha riaperto e rafforzato lo spazio di rispetto reciproco. Così, a telecamera abbassata, siamo andati avanti.

Qualche giorno dopo ho scoperto che i nostri stessi interlocutori erano stati intercettati da un importante programma di reportage, che aveva trasmesso la prima inchiesta dettagliata sul fenomeno del food delivery in Italia, tutta sviluppata dalla parte delle aziende. Ancora una volta mancavano le voci dei rider.
Si è rivelato così ciò che doveva essere il film. Un audio documentario per immagini: corpi in movimento e voci senza volto, che emergono dalla notte metropolitana e ci sfidano a fare luce.

By Accident

Il titolo originale del film era By Accident, un riferimento alle cadute disastrose dei nostri dannati della metropoli. Ogni ciclofattorino che abbiamo incontrato aveva avuto almeno un incidente. In uno dei casi, un rider racconta:

«Son caduto, sì una volta, mi sono fatto male alla testa. Ho chiesto all’ufficio, ero in consegna, ho scritto: ‘Guarda che sono caduto e mi sono fatto malissimo alla testa’. La domanda che mi hanno fatto è stata: ‘E il cibo com’è? Come sta il cibo?’».

Nonostante l’evidenza dei rischi legati al lavoro, non esistono statistiche precise riguardo gli incidenti sul lavoro. Nel cercare dati sui rider infortunati o, peggio, morti sul lavoro, non usciva nulla. Non nelle statistiche dei morti sul lavoro. Poi, una scoperta: i numeri c’erano, ma nelle statistiche sugli incidenti in strada. Questo dato è inserito nei nostri titoli di coda.

Fare i rider, più spesso che essere autonomi, significa essere precari, frammenti, spezzati nei corpi e nei diritti, come dicono i corpi filmati senza le facce di Radio Riders. Corpi che pedalano, raccolgono zaini, controllano percorsi sui cellulari. Corpi che parlano. Un unico coro senza volto che emerge dal buio della città e chiede ascolto. Da quando il film è uscito, le cose sono andate un po’ avanti.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto i ciclo-fattorini come lavoratori etero-organizzati, inserendoli in un quadro normativo che offre alcune garanzie, come quelle da lavoro subordinato. In molti Paesi, si è discusso di leggi per garantire un salario minimo e diritti sociali. A ottobre 2024 la proposta messa 3 anni prima sul tavolo della Commissione europea di rafforzare i diritti di 30 milioni di gig worker europei –  la cosiddetta ‘direttiva rider’, tesa a rendere più trasparente l’uso degli algoritmi, arginare il lavoro autonomo fittizio e garantire il monitoraggio qualificato dei sistemi automatizzati e il diritto di contestazione dei lavoratori – ha avuto il via libera definitivo degli Stati membri. Diventerà legge e dovrà essere applicata, in un futuro si spera prossimo. 

Nel frattempo, lo scorso 30 dicembre, Muhammad Ashfaq, 43 anni, originario del Pakistan, è morto in un incidente in via Cadore 47 a Milano, mentre lavorava. Deliverance Milano (rete di supporto auto-organizzata a formare un sindacato ‘informale’ per i rider) e diverse associazioni civiche e sindacali hanno lasciato vicino al luogo dell’incidente box bianchi e una ghost bike sotto la scritta ‘Non si può morire per un panino’.

Leggi anche
Economia
Coordinate
7′ di lettura

Lavoro e società: le conseguenze dei divari regionali di produttività

di Luca Garavaglia, Sergio Maset
Economia
Coordinate
5′ di lettura

La misura delle cose – parte 2

di Giuseppe Santagostino
Economia
Coordinate
5′ di lettura

La misura delle cose – parte 1

di Giuseppe Santagostino
Tecnologia
Viva Voce

La rivoluzione dell’mRNA: vaccini e nuove frontiere della medicina

di Stefano Bertacchi
3′ di lettura
Scienza
Viva Voce

AlphaFold: origami proteici da Nobel

di Stefano Bertacchi
3′ di lettura
Clima
Viva Voce

Fragile profondo oceano: la corsa ai metalli

di Maria Alessandra Panzera
5′ di lettura
Società
Viva Voce

Schiena contro schiena: gli strapiombi sociali delle città colombiane

di Gloria Ballestrasse
5′ di lettura
Scienza
Viva Voce

OGM è quando arbitro fischia: il gioco delle TEA

di Stefano Bertacchi
5′ di lettura
Economia
Viva Voce

La competizione geopolitica per la leadership dell’AI

di Ettore Iorio
5′ di lettura

Credits

Ux Design: Susanna Legrenzi
Grafica: Maurizio Maselli / Artworkweb
Web development: Synesthesia