Pareri discordanti
Il 12 Ottobre 2007 il comitato Nobel decise di assegnare il suo famoso premio per la pace congiuntamente ad Al Gore e all’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite (all’epoca al suo quarto rapporto di valutazione), in merito ai «loro sforzi per costruire e diffondere una maggiore conoscenza sui cambiamenti climatici causati dall’uomo, e per aver gettato le basi per le misure necessarie per contrastare tali cambiamenti».
Quasi nello stesso periodo, con comprensibile molto minore clamore mediatico, nell’edizione di Settembre del Journal of Economic Literature, (Vol. XLV), vennero pubblicati simultaneamente due articoli entrambi destinati ad assumere una grande importanza in ogni futuro serio dibattito sulle valutazioni economiche riguardanti il cambiamento climatico.
Questi due articoli, scritti da William D. Nordhaus1 (a cui 11 anni dopo il comitato Nobel assegnerà il premio per l’economia) e Martin L. Weitzman2 (la cui mancata assegnazione invece dello stesso premio da parte del comitato scandinavo sorprese molti), partivano entrambi dallo stesso punto: una forte critica verso il cosiddetto Stern Review.
Il suddetto report governativo commissionato dalla Camera dei Lord del parlamento britannico all’economista Lord Nicholas Stern, o nel suo nome completo The Economics of Climate Change: The Stern Review3, era stata, pochi anni prima una pubblicazione molto importante nel campo dell’economia del cambiamento climatico, con un’analisi che chiamava a un’azione immediata e decisiva per stabilizzare i gas serra, sostenendo fortemente che i benefici di un’azione forte e tempestiva contro il cambiamento climatico superassero nettamente i costi.
Nonostante lo Stern Review fosse un documento di più di 700 pagine le critiche apportate sia da Nordhaus che da Weitzman si focalizzavano su un’unica semplice variabile del modello utilizzato per l’analisi costi-benefici: la scelta del cosiddetto ‘tasso di sconto sociale’.
Un cannocchiale per vedere il futuro
A prima vista, la discussione sul tasso di sconto potrebbe sembrare un tecnicismo che ha poco a che fare con domande pratiche come il come e quando agire per ridurre le emissioni di gas serra. Ciononostante, la sua corretta calibrazione è un argomento cruciale in qualsiasi dibattito serio sulle politiche per contrastare la crisi climatica.
Per affrontare questo tema, è innanzitutto necessario spiegare brevemente il concetto di sconto nella teoria economica. Quest’ultimo, infatti, non si applica solo alle politiche climatiche, ma è centrale in ogni decisione di investimento.
Quando si rinuncia al consumo attuale per ottenere un consumo maggiore in futuro, in economia ciò si definisce un investimento. Tuttavia, il valore dei beni e dei servizi futuri va confrontato con quello dei beni e servizi attuali, utilizzando il tasso di sconto, perché il capitale accumula valore nel tempo.
Per spiegare questo concetto con un esempio, supponiamo di valutare l’acquisto di un’obbligazione di Stato che pagherà 1.000 € in termini reali tra 50 anni; ci troveremo di fronte al dubbio su quanto sarebbe conveniente pagare oggi per acquistarla. Per trovare la risposta corretta, dovremmo confrontare questo potenziale investimento con i possibili guadagni di altri investimenti nello stesso periodo. Applicando un tasso di sconto ipotetico del 5% ai 1.000 €, otteniamo un valore attuale di 82,2 €. Questo rappresenta il valore corretto da pagare per l’obbligazione, poiché investendo 82,2 € in un altro investimento con un tasso d’interesse composto del 5%, otterremmo 1.000 € in 50 anni.
In questo senso il tasso di sconto è uno strumento che ci permette di ‘vedere’ i valori futuri trasformandoli in termini di valori presenti. Ed è proprio all’interno di questa illusione ottica che si trova il nocciolo del problema per la valutazione delle politiche climatiche.
Prima però di arrivare al cuore della questione bisogna introdurre, anche un altro importante concetto di sconto. Questo concetto nasce dal desiderio di pesare il benessere economico delle diverse generazioni nel tempo e viene generalmente indicato come ‘tasso di preferenza temporale sociale pure’ (pure rate of social time preferences) e ha come funzione principale rispondere alla domanda: quanto la generazione attuale valuta l’utilità delle generazioni future?
La differenza fondamentale rispetto al rendimento reale del capitale è che il tasso di preferenza temporale pura sociale sconta il benessere futuro, e non i beni e servizi futuri. Un tasso di preferenza temporale pura positivo implica che l’utilità (un termine che in economia si usa per rappresentare approssimativamente la felicità o la soddisfazione di un individuo) delle generazioni future è considerata inferiore rispetto a quella delle generazioni più vicine nel tempo. Un tasso di preferenza temporale pura pari a zero, invece, significa che l’utilità delle generazioni future è valutata allo stesso livello di quella della generazione presente.
Si può comprendere a questo punto come la semplice calibrazione di un parametro matematico può velocemente trasformarsi in un dibattito etico. Quanto valore diamo come società attuale al consumo delle generazioni future? Si potrebbe essere tentati di rispondere subito dichiarando che l’unico valore che sarebbe eticamente corretto dare al pure rate of social time preferences sia zero (o un valore che lo approssimi), valutando il consumo delle generazioni future esattamente uguale al nostro. Ed è infatti questo il valore scelto dagli autori dello Stern Review (0.1%).
È giusto essere egoisti sul futuro?
Quest’ultima scelta, tuttavia, è stata ampiamente criticata. Economisti come Nordhaus e Weitzman sostengono che questo tasso è irrealistico, poiché implicherebbe un tasso di risparmio globale molto più alto di quello attuale. Partha Dasgupta, ad esempio, ha calcolato che, secondo questa logica, la generazione attuale dovrebbe risparmiare il 97,5% della propria produzione, mentre il tasso attuale di risparmio nel Regno Unito è solo il 15% del PIL4.
Un’altra critica si focalizza sull’incompatibilità tra un basso tasso di preferenza temporale (ρ) e l’elasticità dell’utilità marginale del consumo (α), se si osserva il tasso di interesse reale. In un modello di crescita ottimale, come quello usato da Stern, infatti, il livello del tasso di interesse reale (r) nel punto di equilibrio ottimale (assumendo crescita costante sia della popolazione che del consumo per generazione) deve essere uguale al tasso di crescita del consumo generazionale (g), più il tasso di preferenza temporale generazionale (ρ).
r = ρ + αg
Questa uguaglianza è nota come ‘equazione di Ramsey’ e ha le sue fondamenta nel famoso articolo del 1928 di Frank Ramsey, A Mathematical Theory of Saving5, in cui l’autore cercava di rispondere alla domanda: quanto del proprio reddito dovrebbe risparmiare una nazione?
Se, ad esempio, assumiamo quindi un tasso di interesse del 4,5% e una crescita del consumo dell’1,5%, ρ e α dovrebbero essere calibrati, rispettivamente, a circa 1,5% e 2%. La Review, invece, imposta entrambi i parametri a livelli bassi, in contrasto con il tasso di interesse reale osservato.
Il problema non è solo matematico. Il basso valore di α implica indifferenza verso la disuguaglianza tra generazioni, equiparando il benessere di una generazione presente meno ricca a quello di una futura più prospera.
Dal punto di vista politico, questo approccio evidenzia una chiara implicazione: se ci importa poco delle generazioni future, anche le politiche climatiche perdono priorità. Un basso tasso di sconto rende invece i danni futuri quasi ugualmente gravi di quelli attuali, aumentando di molto le stime del valore economico dei danni futuri.
Si capisce quindi come mai la scelta del parametro del tasso di sconto sociale è così importante in termini pratici. Le ripercussioni sono due: in primo luogo, i danni al benessere sociale a lungo termine (come quelli scatenati dal cambiamento climatico) ricevono un peso quasi identico a quelli attuali, ignorando la capacità futura di fronteggiare i danni grazie alla crescita economica. Per fare un esempio numerico tratto da Nordhaus, un tasso di sconto quasi nullo implicherebbe una riduzione del consumo pro capite attuale del 56% per evitare una riduzione (solo) dello 0,11% tra due secoli. In secondo luogo, un basso tasso di sconto rende le decisioni di oggi molto sensibili agli eventi incerti del futuro. Un possibile evento negativo, per esempio, che potrebbe ridurre il consumo globale dello 0,1% con una probabilità del 10% tra due secoli, implicherebbe il pagamento di un premio assicurativo elevato per evitare tale evenienza.
Nordhaus propone invece un approccio alternativo (chiamato ‘descrittivo’) che fissa il tasso di sconto in base ai tassi di interesse di mercato osservati, riflettendo le attuali alternative di investimento (in istruzione, sanità, ecc.). Secondo l’autore, il tasso di sconto dovrebbe derivare dal costo-opportunità del capitale e adattarsi ai dati di mercato, piuttosto che esse stabilito in base a considerazioni etiche. Seguendo questa strada si otterrebbe un tasso medio stimato del 4,25% annuo fino al 2100, in linea con i tassi di rendimento osservati.
Il punto centrale per motivare questa scelta, oltre al fatto di essere consistente con ciò che viene osservato nella realtà e che, come già anticipato, le future generazioni saranno più ricche di noi (assumendo che la crescita economica di lungo periodo continui ad essere positiva). Danni monetari che per noi, quindi, potrebbero sembrare enormi nella prospettiva attuale, per loro potrebbero invece non essere così gravi. In altre parole, se è vero che le generazioni future saranno colpite dai fenomeni derivati dal cambiamento climatico è importante considerare che il loro livello di ricchezza e di sviluppo tecnologico si prevede che sarà molto più alto di quello attuale, danni derivati da fenomeni estremi, quindi, potrebbero impattare molto meno sul loro benessere di quanto farebbero sul nostro.
Tornando alla differenza tra i due approcci, apparentemente, la divergenza tra la stima prescrittiva della Review (1,4%) e quella descrittiva di Nordhaus (4,25%) sembra marginale. Tuttavia, questa discrepanza ha un impatto enorme su, per esempio, il costo sociale del carbonio, stimato per esempio per il 2015 a 197,4 $/tCO₂ dalla Review contro i 30,69 $/tCO₂ di Nordhaus. Ciò dimostra il potere moltiplicativo dello sconto: una differenza di pochi punti percentuali può alterare significativamente il valore attribuito ai beni futuri. Per esempio, 100 € oggi, con un tasso dell’1,4%, diventerebbero 405 € in 100 anni, ma con un tasso del 4%, raggiungerebbero i 5.459 €. Su un arco di 200 anni, il divario cresce in modo esponenziale, fino a quasi 300.000 €. Se si applica questo concetto al peso delle valutazioni economiche di danni che avverranno tra decine, se non centinaia di anni, si capisce quindi come questi valori possano cambiare drasticamente.
Per concludere, la scelta di che tasso di sconto è una delle scelte con ripercussioni più significative sui risultati finali che si possono effettuare applicare in un’analisi costo-beneficio sul cambiamento climatico. Tra i due approcci, quello ‘prescrittivo’ di Stern e quello invece ‘descrittivo’, molte altre strade possono essere seguite, come quella di introdurre l’incertezza nel calcolo del tasso di sconto proposta da Weitzman (che riporta il suo valore a livelli simili a quelli considerati nella Review) o quella di considerare un tasso di sconto ecologico, diverso da quello economico, sviluppata da C. Gollier6. La domanda su quale sia il corretto valore del tasso di sconto sociale rimane quindi ancora aperta e di fondamentale importanza.
Note
- W. D. Nordhaus, A Review of the Stern Review on the Economics of Climate Change, in Journal of Economic Literature, 45, settembre 2007, pp.685-702.
- M. L. Weitzman A Review of the Stern Review on the Economics of Climate Change, in Journal of Economic Literature, 45, settembre 2007, pp.703-724.
- N. H. Stern, The Stern Review of the Economics of Climate Change, Cambridge, Cambridge University Press, 2006
- P. Dasgupta, Commentary: The Stern Review’s Economics of Climate Change, in National Institute Economic Review, n. 199, gennaio 2005, pp. 4-7.
- F. P. Ramsey, A Mathematical Theory of Saving, in Economic Journal, 38(4), 1928, 543-49
- C. Gollier, Ecological Discounting, in “Journal of Economic Theory”, vol. 145, n. 2, 2010, pp- 812-829.