Qual è la differenza tra ‘autoconsumatore di energia rinnovabile’, ‘autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente’ e ‘comunità energetica (o di energia) rinnovabile (CER)’? Questi modelli, evocati nella stampa sotto diversi nomi, non sono sempre distinguibili dal grande pubblico, anche a causa della diversità delle appellazioni nella dottrina academica e nel quadro regolamentare nascente. Hanno però in comune l’allontanamento dall’organizzazione tradizionale del nostro sistema energetico che, prima con monopoli nazionali fino agli anni ’90 e in seguito con la liberalizzazione spinta dalle direttive europee, è sempre stato caratterizzato dalla centralizzazione della produzione di energia, principalmente ottenuta da fonti fossili.
Questo cambiamento, verso un modello di produzione decentralizzata e basata su fonti rinnovabili, riflette le sfide transnazionali che l’emergenza climatica comporta. L’accordo di Parigi del 2015 è stato infatti seguito dall’adozione a livello europeo del Clean Energy Package, che consiste in un pacchetto legislativo mirante, tra l’altro, a implementare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra e di sviluppo di energia rinnovabile. È questo il quadro in cui è stata adottata la direttiva sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, che ha portato alla creazione delle CER, dell’autoconsumatore di energia rinnovabile e degli autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente.
Inoltre, è rilevante notare l’adozione di una seconda direttiva, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, che ha istituzionalizzato il cliente ‘attivo’, ‘il gruppo di clienti attivi’ e la ‘comunità energetica dei cittadini (CEC)’. Sebbene questi sei modelli siano tutti stati attuati a livello italiano, la scelta del legislatore è stata di incentivare solo i primi tre quando utilizzano la rete di distribuzione esistente per condividere l’energia prodotta, realizzando così un autoconsumo diffuso (detto anche ‘virtuale’). Queste tre sono le configurazioni di autoconsumo per la condivisione dell’energia rinnovabile, anche conosciute sotto il nome di CACER. Tuttavia gli autoconsumatori e le CER beneficiano anche dell’autoconsumo fisico (dove impianti di produzione di energia sono collegati alle utenze di consumo) il quale porta a un minore prelievo di energia dalla rete con un conseguente risparmio sulla bolletta.
La difficile distinzione tra questi modelli – simili ma non identici – si riflette anche in un rapporto Legambiente del 2024 basato su dati del GSE, che rilevava, a inizio 2024, 154 forme di energia condivisa in Italia, senza distinguere tra le CER e le configurazioni di autoconsumo collettivo1. L’assenza di distinzione rende difficile la quantificazione di queste iniziative sia in Italia che, ancora di più, in Europa. Inoltre, testimonia la necessità di un’analisi globale delle nuove forme di produzione, consumo, condivisione e vendita di energia.
Di fronte a questa difficoltà semantica, risulta utile addentrarsi negli aspetti che differenziano le CER dalle altre CACER. Il concetto di CER rimane volutamente vago nella definizione della direttiva europea, per permettere una trasposizione a livello nazionale che tenga conto delle realtà locali. In Italia, la CER si è prima materializzata nell’articolo 42 bis, comma 8, decreto-legge n. 162/19, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8 ed è stata finalizzata con il decreto legislativo n. 199/2021. Questa trasposizione in due fasi, da un lato, è stata tutt’altro che ideale ai fini della sicurezza giuridica verso potenziali investitori; dall’altro, pur riprendendo gli elementi chiave della definizione della direttiva, non ha chiarito concretamente a cosa si riferiscano le CER.
In pratica, la CER è un soggetto giuridico che sviluppa un progetto di energia rinnovabile. Può produrre, consumare, immagazzinare e vendere l’energia rinnovabile, ma anche scambiarla all’interno della stessa comunità e accedere a tutti i mercati dell’energia elettrica. La CER ha come obiettivo portare benefici ambientali, economici o sociali alla comunità stessa, ai suoi membri o alle aree locali in cui opera, senza puntare a profitti finanziari. A tale riguardo, la differenza tra un profitto finanziario e un beneficio economico non appare chiara, sebbene si possa immaginare che un beneficio ragionevole sia ammesso come beneficio economico, mentre uno sproporzionato sia da considerarsi un profitto finanziario.
Una caratteristica delle CER risiede nel sottostare a specifiche regole legate alla governance, che puntano tra l’altro a coinvolgere il cittadino nella transizione energetica. Infatti, i membri che la controllano devono essere situati nella vicinanza degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Tale vicinanza, in Italia, è definita come relativa alla stessa cabina primaria, ma la sua interpretazione può variare da uno stato membro all’altro. Inoltre, i membri della CER possono essere persone fisiche, piccole e medie imprese o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali, a eccezione delle grandi imprese. Altresì, per quanto riguarda le imprese private, la loro partecipazione non può costituire l’attività commerciale o professionale principale al fine di evitare che società energetiche ne sfruttino i benefici. È importante anche notare che la partecipazione alla CER deve essere aperta e volontaria. Il termine ‘aperto’ non significa che non possano essere sviluppati criteri di adesione, ma che questi devono essere obiettivi. Infine, l’aspetto ‘volontario’ della partecipazione deve permettere ai membri della CER, nella loro qualità di consumatori, di ritirarsi dal progetto, conciliando però questo aspetto con la necessità di stabilità in materia di investimenti2.
A differenza delle CER, l’autoconsumatore di energia rinnovabile – il secondo modello incentivato a livello italiano – designa un cliente finale che produce energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo e che può immagazzinare o vendere l’energia elettrica rinnovabile autoprodotta. Qualora fossero presenti almeno due autoconsumatori nello stesso edificio o condominio, è possibile la realizzazione di un gruppo di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente. Questo costituisce il terzo modello incentivato a livello italiano.
Confrontando i tre modelli, si evidenzia che lo scopo delle CER è più ampio di quello degli autoconsumatori (individuali o in gruppo) e che esistono per esse conseguenze giuridiche più estese. In primo luogo, notiamo che gli autoconsumatori sono limitati all’elettricità, mentre le CER possono sviluppare progetti anche con altre fonti di energia rinnovabile. In secondo luogo, l’autoconsumo è concepito come un’attività ovvero produrre, immagazzinare o vendere elettricità, mentre le CER possono affiancare a queste altri scopi, come il miglioramento dell’efficienza energetica o l’avviamento di progetti sociali.
Soprattutto, delle CER è enfatizzata l’organizzazione istituzionalizzata che si realizza mediante le regole sulla governance, in particolare riguardanti i requisiti per esserne membro. Ciò può favorire il coinvolgimento e la partecipazione del cittadino ma aggiunge d’altronde un peso amministrativo, come nella costituzione di un determinato soggetto giuridico. In terzo luogo, lo scopo geografico delle CER è generalmente più ampio. Ad esempio, in Italia i membri che controllano le CER devono essere legati alla stessa cabina primaria (posizionata tipicamente nel raggio di una decina di km in zone mediamente popolate). Al confronto, gli autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente devono trovarsi nello stesso edificio o condominio, anche se in Italia è possibile che gli impianti siano in siti diversi da quelli presso il quale gli autoconsumatori operano, fermo restando che tali siti siano nella disponibilità di almeno un autoconsumatore e sempre nell’ambito dell’area afferente alla medesima cabina primaria.
Infine, se è vero che i clienti domestici membri delle CER mantengono, come gli autoconsumatori, i loro diritti in qualità di clienti finali, le CER sono soggette a maggiori obblighi, non sempre chiari. In particolare, su una CER che agisce come fornitore di elettricità incombe anche la responsabilità del bilanciamento della rete elettrica, ossia mantenere equilibrato nel tempo il rapporto tra immissione e prelievo di elettricità, che può tuttavia essere delegata a un terzo. Al confronto, è generalmente ammesso che il quadro regolamentare europeo non imponga un tale obbligo per gli autoconsumatori individuali, vista la difficoltà tecnica di adempiere a questi doveri3.
L’implementazione a livello nazionale di questi differenti tipi di configurazioni si è svolta contemporaneamente alla pandemia di Covid e la guerra in Ucraina, le quali hanno aumentato l’urgenza di uscire da un sistema energetico basato sui combustibili fossili promuovendo le energie rinnovabili. Perciò la crisi energetica ha rinforzato la necessità di una nuova revisione della direttiva sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e della direttiva relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, mirante ad aumentare la flessibilità attraverso misure come lo stoccaggio e la risposta alla domanda.
Questa revisione, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il 26 giugno 2024, introduce tra le altre novità anche una definizione del concetto di condivisione di energia, che fino ad allora non esisteva, nonché un diritto alla condivisione e la possibilità di nominare un terzo per organizzare questa condivisione. Viene anche stabilito che gli accordi di condivisione si configurino come accordi contrattuali privati tra clienti attivi, o siano organizzati tramite un soggetto giuridico, che può essere una CER o una CEC4. A tale riguardo, le nuove disposizioni prevedono che la Commissione Europea fornisca orientamenti agli Stati membri al fine di agevolare la definizione di un approccio standardizzato in relazione alla condivisione dell’energia e di garantire condizioni di parità per le CER e le CEC. Ciò non toglie la necessità di un chiarimento dell’articolazione con le disposizioni preesistenti, ma dimostra la volontà del legislatore europeo di facilitare la partecipazione attiva dei consumatori.
Per concludere, sebbene questi modelli possano sembrare fenomeni di nicchia e non costituiscano, di per sé, una soluzione miracolosa per la transizione energetica, essi potrebbero rappresentare un’opportunità di riappropriarsi della gestione, della produzione e del consumo energetico da parte dei cittadini, rispondendo al contempo al bisogno di una democrazia più partecipativa.
A cura di Marta Castellini.
Note
- Rapporto 2024 di Legambiente, Comunità energetiche rinnovabili, p. 3.
- Dir. 2018/2001, art. 2, (16) e art. 22.
- M. Haji Bashi, L. De Tommasi, A. Le Cam, L. Sánchez Relaño, P. Lyons, J. Mundó, I. Pandelieva-Dimova, H. Schapp, K. Loth-Babut, C. Egger, M. Camps, B. Cassidy, G. Angelov, C. Eloise Stancioff, A review and mapping exercise of energy community regulatory challenges in European member states based on a survey of collective energy actors, in “Renewable and Sustainable Energy Reviews”, Volume 172, 2023, pp. 8 e 21.
- Dir. 2024/1711, considerando 23; art. 2, (1), b) e art. 2, (5).