Se osserviamo il Green Deal avendo come obiettivo la sostituzione dei fossili non rinnovabili nella sola produzione di energia termica, scopriamo che l’Europa, energia nucleare scarsamente disponibile a parte, possiede sì numerose frecce nel suo arco, ma tutte debitamente riposte in faretre distanti fra loro:
- L’energia stivata o portata dagli elementi naturali (acqua, vento, terra).
- I cascami termici generati dalle attività umane.
- La produzione di biomasse di scarto a valle di attività agricole e industriali.
- La riqualificazione degli involucri e quella delle masse radianti.
- La tecnologia delle Pompe di Calore (PdC).
- L’urbanizzazione crescente.
Perché la tendenza all’urbanizzazione sia un fattore vincente è uno degli elementi chiave di tutta la questione: anche nella produzione di energia termica le dimensioni contano, come contano pure le dimensioni degli edifici, poiché ciò consente di massimizzare l’efficacia di molti dei fattori indicati.
Tutto ciò è vero sì in assoluto ma solo se si prescinde dalla tipologia proprietaria: in Germania, ad esempio, la proprietà immobiliare è individuale per quanto riguarda le sole abitazioni indipendenti, mentre per gli edifici di grandi dimensioni prevalgono le grandi società immobiliari, pubbliche e private, tanto che la quota di proprietà diretta è pari al 50% contro l’88% dell’Italia, Paese notoriamente propenso alla proprietà edilizia.
Nella riqualificazione degli immobili e delle tipologie di riscaldamento/raffrescamento il costo di tali investimenti è peraltro proporzionalmente superiore proprio per le abitazioni indipendenti, che scontano diseconomie di scala, mentre per quelle dove la proprietà è differente dall’utilizzatore finale la questione diventa fonte di danno, in quanto per queste ultime il vantaggio dei risparmi energetici e dei costi connessi è in capo all’utilizzatore affittuario, mentre l’investimento è affare del proprietario, sia esso pubblico o privato, il quale senza un adeguato sistema di incentivi non ha interesse alcuno ad agire, avendo dalla sua la parziale consolazione della sola leva fiscale, spesso dilazionata nel tempo.
Ecco che un problema apparentemente semplice come la sostituzione dei fossili e della combustione diretta con tecnologie il cui costo di esercizio è di gran lunga inferiore, non si scontra solo con il finanziamento degli investimenti necessari, ma anche col fatto che i minori costi futuri che giustificherebbero tale investimento nel caso delle grandi proprietà pubbliche e private non finiscono nelle tasche di chi si trova costretto a investire, ma dei suoi inquilini. In quest’ottica ci troviamo dinnanzi a due problemi, quello finanziario e quello della disconnessione tra investimento e risparmio, entrambi irresolubili se lasciati in mano proprio ai tedeschi, notoriamente avversi a mettere a disposizione risorse per scopi comuni, anche se ciò dovesse velocizzare e rendere democratica la transizione, attualmente privilegio per pochi.
Ora, essendo noi italiani ed avendo solo il 12% della proprietà indiretta degli immobili residenziali ed essendo questa perlopiù pubblica, il secondo problema, pur non essendo affatto trascurabile, limita la questione a tre punti:
- L’obbligatorietà nel contenimento dei consumi energetici al mq entro soglie date per tutte le tipologie di abitazione.
- La disponibilità finanziaria illimitata a fronte di tali riqualificazioni una volta che i risparmi paghino, in orizzonte sia pur lungo, l’investimento.
- La possibilità di inserire nell’affitto degli immobili pubblici una quota dei minori costi attesi, consentendo così una compartecipazione degli inquilini alla transizione energetica.
Se la prima e la terza condizione appartengono alla sfera delle decisioni pubbliche, obbligatoria la prima e, auspicabile la seconda, a valle di un consenso sociale tutto da costruire, la seconda è di natura puramente privatistica dove gli Stati possono (e a ben vedere, dovrebbero) tutt’al più fornire una garanzia pubblica affinché il sistema privato se la cavi da solo.
Su un foglio di carta la Transizione Ecologica, almeno nella sua componente termica, è affare che si traduce dunque in un semplice calcolo di ammortamento di un investimento e del tasso di interesse che il sistema privato, assistito dalla garanzia pubblica, potrebbe applicare: a valle di questa decisione di investimento le spese per i fossili non rinnovabili sostituiti con minori fonti energetiche rinnovabili (una Pompa di Calore consuma meno della metà dell’energia richiesta da una caldaia) vanno a pagare una rata di mutuo e relativi interessi.
Lo stesso foglio di carta non spiega però come fare in pratica a trasformare in cantieri i conti teorici, anche perché, a differenza di quanto immaginato dai soliti tedeschi, per l’energia termica la transizione spesso non è affatto conveniente che sia affare individuale.
Prendiamo la vendita della Viessmann, che porta in pancia il passaggio ai gas frigoriferi naturali: le pompe di calore che usano l’aria come fluido sorgente hanno un rendimento molto basso, specie se le masse radianti a cui vengono applicate sono particolarmente ridotte e se gli edifici non hanno grandi isolamenti (come il 90% degli edifici italiani) e scontano pure i climi ostili come quelli continentali.
Perché allora Carrier ha pagato 12 miliardi di euro per un’azienda che produce macchine potenzialmente inefficienti?
Per due motivi assai interessanti politicamente:
- Gli americani sanno che per i virtuosi Paesi dell’Europa del Nord, che governano in modo austero l’Europa tenendo stretti i cordoni della borsa, qualsiasi decisione di investimento è affare individuale, meglio se esente da debito.
- L’agenda della transizione è molto stringente e ciò metterà alle strette da qui al 2050, ovvero domani, chi dovrà transire.
Se l’Europa avesse immaginato la Transizione e la sua Banca, come analizzato nell’articolo precedente, probabilmente gli americani avrebbero preso un’altra decisione.
Ma oggi se i conti dello stesso foglio di cui sopra venissero letti da un politico intelligente di un Paese diverso dai noiosi luterani e calvinisti per i quali la salvezza collettiva è un affare che non li riguarda, ecco che la transizione, utilizzando fluidi efficienti geotermici (acqua e calore contenuto nella terra) richiedenti sì investimenti superiori e spesso collettivi, però dotati anch’essi di un orizzonte di ammortamento, potrebbe allora venire delegata integralmente al settore privato. Lasciando al pubblico l’obbligo di imporre in modo ordinato l’effettiva transizione di tutto l’edificato, adeguamenti di reti e di tecnologie connesse compreso nel conto.
Abbiamo già indicato in un’altra serie di articoli come la comune radice oikos di economia e di ecologia debba venire intesa in senso fattuale, dotata dunque di equilibrio di bilancio: ecco che un modo alternativo per dribblare i veti del Nord alla creazione di un debito ecologico si otterrebbe facendo transitare il tutto per il sistema privato.
Su questa ipotesi sarebbe opportuno aprire velocemente un dibattito concreto, almeno fra noi spendaccioni italiani, dotati di conoscenza e fantasia.