Il contesto economico
Le conseguenze delle attuali problematiche dell’Unione Europea (UE) si osservano, palesi, nella Figura 1 che mostra la serie storica del PIL delle tre grandi potenze mondiali:
- USA, in testa quasi costantemente;
- UE, all’inseguimento degli USA fino al 2010;
- Cina, in crescita esponenziale dai primi anni del nuovo millennio (ricordiamo che la Cina entra a far parte della World Trade Organization dall’11 dicembre 2001) e che, di recente, ha superato l’UE.
La crisi internazionale del 1992 ha colpito l’Europa più di quanto non abbia colpito gli USA. In Italia in particolare, il contesto economico, politico e sociale è talmente in crisi da meritarsi una serie TV il cui titolo è proprio ‘1992’.
Dopo la crisi del 2001, causata dallo scoppio della bolla speculativa dot-com (sulle imprese dei settori legati a internet), l’UE si riprende fino a raggiungere nuovamente gli USA.
La crisi del 2008, in seguito allo scoppio della bolla sub-prime (generata dalla finanziarizzazione di una bolla immobiliare), colpisce fortemente USA e UE, ma l’Europa è provata in modo particolare dalla crisi dei debiti sovrani (scoppiata in Grecia nel 2010).
La Figura 2 mostra il successo e il fallimento del concetto di Unione Europea nella mente degli operatori finanziari. Quando si crea l’Euro, nel 1999, i tassi di interesse pagati (a 10 anni) dai quattro grandi dell’UE, erano quasi indistinguibili. Prestare denaro alla Spagna o alla Germania, per i mercati finanziari, comportava esattamente lo stesso rischio.
La crisi del 2008 porta a una differenziazione nei tassi di interesse che, tuttavia, viene esacerbata dalla crisi del 2010 che colpisce, soprattutto, le economie ‘periferiche’ dell’Unione (nel grafico, Spagna e Italia).
Come si può raggiungere una maggiore crescita? Come si può raggiungere una nuova unità? Queste le due linee guida che informano il rapporto Draghi.
La crescita
Il PIL di un Paese può crescere in tre modi:
- aumentando il numero di cittadini che accedono al mercato del lavoro;
- aumentando il capitale a disposizione;
- aumentando la produttività.
Il metodo 1. è tipico delle economie in via di industrializzazione, quando numerosi soggetti lasciano le campagne per trovare impiego nelle imprese cittadine. Un ulteriore incremento, in questo senso, si può avere aumentando la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Infine, si può crescere grazie a una forte dinamica demografica. Purtroppo l’UE, nelle maggior parte delle previsioni demografiche, non potrà contare su un aumento della popolazione che, inoltre, continuerà a invecchiare.
Relativamente al punto 2., l’UE possiede una capacità di investimento molto elevata perché ha un alto tasso di risparmio, pur tuttavia, non sempre questo risparmio viene incanalato in attività di investimento produttive. Nella stima del rapporto Draghi, gli investimenti aggiuntivi dovranno raggiungere quasi il 5% del PIL dell’Unione.
Il vero elemento su cui puntare è la terza opzione: la produttività. Essa si può misurare come il PIL prodotto per ogni ora lavorata. Se questo indicatore venisse aumentato, i vantaggi sarebbero numerosi e importanti:
- si potrebbe compensare la riduzione di forza lavoro dovuta all’invecchiamento e alla riduzione della popolazione;
- si potrebbero aumentare i salari senza alcun problema di pressione sui prezzi;
- potrebbero aumentare le entrate fiscali, consentendo di ripagare lo stimolo pubblico della spesa pubblica.
Il rapporto Draghi si concentra proprio sui metodi utili per aumentare la produttività:
- investire in settori nuovi e tecnologicamente avanzati (per esempio l’intelligenza artificiale);
- preparare un ambiente che agevoli lo sviluppo di nuove imprese e la crescita delle PMI;
- agevolare il passaggio dall’innovazione (la ricerca di base è già forte in UE) alla commercializzazione delle idee (il vero punto debole dell’Unione);
- investire anche in settore ad alto rischio, ma con investitori adeguati; in UE, per esempio, è scarsamente presente la figura del venture capitalist il cui ruolo viene spesso, e in modo inadeguato, affidato al settore bancario;
- rendere più efficiente il processo con cui l’UE prende le sue decisioni politiche, rivedendo anche la regola dell’unanimità e riducendo i finanziamenti ma rendendoli più focalizzati su settori rilevanti; si dovrebbe anche ridurre l’ammontare complessivo della produzione normativa, semplificando quanto già prodotto.
L’utilizzo di tecnologie molto innovative potrebbe determinare scompensi sulla forza lavoro, rendendo più difficile il collocamento per coloro che non riescono ad adeguarsi rapidamente ai nuovi standard di conoscenza e abilità. In questo senso, il Governo UE dovrebbe predisporre dei piani di ausilio ai lavoratori per consentirne una rapida riqualificazione.
L’unità
I grandi concorrenti dell’UE sono Stati-continente; sia gli USA sia la Cina occupano una grande parte geografica del loro continente e così accade per l’UE. Tuttavia, mentre i primi due operano consapevoli della loro rilevanza continentale, l’UE è ancora preda di forti nazionalismi.
Per esempio, un fattore che contribuisce all’inefficienza delle regole, è la diversa adozione delle direttive UE da parte dei singoli Stati. Se un’impresa opera in diversi Stati, quindi, avrà maggiori oneri per adeguarsi a normative leggermente diverse.
In UE manca un mercato finanziario unico. L’esempio più evidente è l’assenza di un titolo privo di rischio europeo. L’attuale diversità nei tassi di interesse a 10 anni (Figura 2) è un sintomo chiaro della disunità europea. In questo senso il rapporto Draghi suggerisce di dare più poteri alla già presente autorità del mercato ESMA (European Securities and Markets Authority) ricorrendo a una forma più simile a quella della SEC (Securities and Exchange Commission) americana o della BCE europea, assumendone anche l’indipendenza dal potere politico.
È rilevante notare che questo è l’unico riferimento alla BCE all’interno di tutto il rapporto. Possiamo, dunque, concludere che, secondo Draghi, che ne è stato Presidente, la BCE ha già una struttura efficiente e può rappresentare un riferimento per gli altri organi dell’Unione.
Effettivamente i fondatori dell’UE pensarono di dare precedenza all’integrazione monetaria, nella speranza (dimostratasi infondata) che la maggiore integrazione politica sarebbe arrivata in seguito. È il momento di agire in questo senso.
L’assenza di un mercato unico dei capitali, che sia veramente integrato, era già stata sottolineata da Mario Draghi, da Presidente della BCE, il 26 luglio 2012 durante il discorso a Londra che divenne famoso perché conteneva il ‘whatever it takes’. A distanza di 12 anni, quanto era stato auspicato non è ancora avvenuto. Appare, così, evidente che il processo di integrazione europea sta proseguendo in modo troppo lento rispetto all’evolversi degli eventi economici e sociali.
Bisognerà gestire e organizzare a livello dell’intera Unione anche:
- il mercato delle materie prime e dell’energia, per poter coordinare gli acquisti e dare più forza contrattuale all’Unione;
- la mobilità sostenibile, mediante un approccio integrato alle reti energetiche, alle infrastrutture di ricarica, alla standardizzazione delle apparecchiature di produzione, alle telecomunicazioni;
- una piattaforma per la cartolarizzaione che possa essere utilizzata sia nei settori privati sia nel settore pubblico;
- la difesa, in modo da concentrarsi su investimenti più efficienti e meno frammentati.
La redistribuzione
Nel testo del rapporto Draghi non compare esplicitamente alcun riferimento alla redistribuzione del reddito (né, dunque, agli aspetti fiscali). Dal punto di vista della letteratura economica, quindi, lo si potrebbe catalogare all’interno della ‘Supply Side Economics’ che non prevede un intervento diretto con denaro pubblico a sostenere la domanda, ma punta, invece, a impegnare i Governi ad approntare l’ambiente migliore perché il mercato possa agire al meglio delle sue potenzialità.
Nel 2022 la Segretaria di Stato al Tesoro USA, Janet Yellen (già Presidente della banca centrale USA) ha tenuto un discorso, a Davos, sulla politica economica americana, sostenendo che la ‘Supply Side’, portata alle sue estreme conseguenze (cioè intervento minimo dello Stato nell’economia), non aveva condotto ai risultati sperati. Oggi l’UE, che si trova al lato opposto dello spettro dell’intervento pubblico in economia, si avvicina proprio alla ‘Supply Side’. Questo ci suggerisce che la via corretta dovrebbe essere quella intermedia in cui, non rinunciando mai al nostro stato sociale continentale, possiamo però ‘scatenare’ la crescita tipica del mercato più concorrenziale.
L’aspetto della redistribuzione del reddito potrà essere efficacemente trattato all’interno dei singoli Paesi, senza dover rivedere la struttura dell’Unione e, tuttavia, sarebbe stato interessante inserire un aspetto di fiscalità europea all’interno della discussione sul mercato unico.
Ancora, la redistribuzione è un momento successivo rispetto alla produzione di ricchezza. Un errore comune, nel gestire le politiche economiche, è quello di redistribuire la ricchezza senza preoccuparsi che questa si accresca nel tempo. A livello logico è più corretto preoccuparsi dapprima di crescere, per poi rivolgersi al problema della riallocazione delle risorse. In questo senso, interpreterei il rapporto Draghi come una prima fase di profonde riforme della nostra Unione.