Le modifiche ai regolamenti comunitari, anche quelle più apparentemente innocenti, giungono spesso al termine di un confronto con il sistema produttivo europeo atto a favorirne lo sviluppo: da sempre i politici tedeschi sono i più preparati a difendere in modo propositivo i propri interessi nazionali.
La proposta ora in discussione per la fine, col 2028, dell’impiego dei gas florurati nelle macchine di condizionamento a favore dei gas naturali, più innocui per l’atmosfera in caso di fuoriuscita, non è solo la naturale evoluzione di un percorso ecologico europeo ma è il guanto di sfida alle grandi industrie cinesi, giapponesi, coreane e americane che occupano militarmente il mercato del condizionamento. Anche quando le macchine in commercio rimandano, solo in apparenza, a produttori locali: ovviamente è in Europa, segnatamente in Germania, che le tecnologie a gas naturale sono già in fase di avanzato sviluppo.
In fondo, al posto di manovre protezionistiche esplicite queste scelte tecnologiche sono un metodo più elegante per tutelare le industrie nazionali quando queste posseggono un vantaggio competitivo, se non fosse che lo shopping delle multinazionali extra-europee, già in fase avanzata in Italia (Climaveneta è già dal 2015 della Mitshubishi mentre Clivet è finita al colosso cinese Midea) riserva in questo 2023 la notizia di Carrier, Madre di tutto il condizionamento mondiale, che investe con molta lungimiranza ben 12 mld di dollari per comprarsi la tedesca Viessmann, leader nella produzione di Pompe di Calore a propano (nella combustione diretta Carrier aveva già speso più di 300 mln di euro per salvare Riello, quando un altro fondo inglese si era già comprato la concorrente Ferroli, entrambe in pesantissimo affanno finanziario e tecnologico).
Dunque, prima ancora che la manovra sui gas manifesti la sua svolta industriale a favore delle industrie europee, gli americani giungono ad occupare una fetta del mercato nascente e tracciano la rotta di quel che accadrà nel breve volgere di un quinquennio, visto che in termini di capitalizzazione i grandi conglomerati americani, cinesi e giapponesi, cui si aggiungeranno i Fondi coi loro millanta miliardi, non hanno concorrenti di analogo livello in grado di competere in tale processo di aggregazione e rinnovamento.
A questo schema tutto sommato semplice e prevedibile, occorre aggiungere due conti destinati a spostare molti equilibri produttivi ed ecologici.
- La riconversione della combustione diretta verso l’idrogeno, ovvero la produzione di caldo alternativa alla Pompa di Calore, investirà direttamente l’industria italiana, che nella produzione di caldaie occupa una posizione di predominio continentale: molto dipenderà dalle infrastrutture coinvolte negli attuali processi di produzione dell’idrogeno che rientrano nei piani del PNRR e molto farà l’economicità delle macchine rispetto alle più complesse PdC.
- I grandi produttori di Pompe di Calore, siano essi europei o meno, al momento ragionano principalmente sull’aria come fluido sorgente da cui estrarre l’utilità termica.
Il primo conto nel medio periodo è decisamente sfavorevole perché il combinato disposto della riqualificazione degli edifici, le modifiche climatiche che al momento riducono i periodi freddi, specie nei valori massimi, e i progressi attesi nelle nuove tecnologie rendono la Pompa di Calore vincente in tempi rapidi su qualsiasi combustione diretta, non fosse altro che può produrre caldo e freddo e che i kilowatt termici risultano multipli di quelli elettrici impiegati, mentre una caldaia a idrogeno per ogni unità energetica consumata produce meno di una unità termica, valendo per tutti il secondo principio della termodinamica.
Se al grande risparmio energetico sommiamo il possibile impiego di pannelli fotovoltaici nell’alimentazione delle PdC arriviamo rapidamente ad una indipendenza nella produzione di energia destinata in tempi ragionevoli a ripagarsi da sola.
Queste due considerazioni portano a credere che le nostre industrie, oggi produttrici, diventeranno rapidamente dei nomi commerciali destinati a veicolare tecnologie altrui.
Il secondo conto aperto è quello che mostra spiragli incoraggianti: l’aria come fluido sorgente ha un grado di efficienza scarso rispetto ai due principali concorrenti, ovvero la terra e l’acqua, anche se gli investimenti necessari sono decisamente più impegnativi, specie nelle installazioni minori.
Se prendiamo la Pianura Padana è vero che la media della temperatura annuale è di circa 16° centigradi, vale per aria, acqua o terra, ma mentre per acqua e terra questa è, con pochissime oscillazioni, anche la temperatura costante, l’aria, come tutti sappiamo, varia grandemente attorno a quella media ma, soprattutto, qualora la utilizziamo per condizionare gli ambienti ci troviamo di fronte ad un fluido antipatico perché dotato di temperature assai distanti da quelle necessarie.
Perché puntare sul cavallo meno efficiente, con la sola eccezione dei grandi interventi dove i maggiori oneri per l’utilizzo della risorsa geotermica vengono spesati da accorti investimenti quando possibili?
Per due motivi che hanno a che fare in parte con l’antropologia tradottasi in soluzioni abitative.
- Le tecnologie anglosassoni per gli usi civili tendono a ragionare sulla singola unità abitativa in distribuzione orizzontale.
- Perché a livello politico (Italia, Francia o Germania non cambia) la contabilità energetica complessiva, e la produzione termica di caldo e freddo non fa difetto, è un animale sconosciuto e si tende a privilegiare la tipologia di macchina piuttosto che il risultato complessivo, fatto divenuto evidente nella preferenza insistita per i veicoli elettrici e per quelli a carburante sintetico in assenza di una contabilità sulle reali emissioni complessive delle varie motorizzazioni.
Al punto 1 consiglio una visita alla principale Fiera del settore (ISH di Francoforte) dove la scomparsa della caldaia a gas è stata certificata: analogamente i grandi produttori italiani di caldaie disertano ormai da tempo la sorella Expoconfort di Milano, che si tiene ad anni alterni.
In verità al punto 1 occorre ricordare che il 65% dell’attuale patrimonio impiantistico italiano, anche in ambito condominiale, è autonomo, dando così ragione agli orientamenti industriali e commerciali che si vedono.
Arriviamo al punto 2: la differenza di rendimento fra l’impiego del fluido sorgente aria e quello acqua è circa del 50% sia in caldo che in freddo, il che significa banalmente che i consumi elettrici, le relative emissioni e i corrispondenti costi d’esercizio risulterebbero dimezzati se solo ci fosse dell’acqua con cui alimentare le PdC.
La faccenda è meno fantascientifica di quel che appare (in Europa esistono svariati esempi di città dotate di acquedotti duali che possono alimentare PdC geotermiche a costi accessibili, oltre ovviamente a tutte le grandi aree di sviluppo urbano che nascono già geotermiche per motivi meramente economici), ma occorrono scelte politiche che esulano dalle strategie commerciali, inevitabilmente fondate su ciò che c’è e non su ciò che dovrebbe esserci: mancano gli acquedotti duali e ciò visto con gli occhi del luogo più oppresso dalle emissioni in Europa, la Pianura Padana con la sua ventilazione inesistente, risulta un peccato mortale, visto che ciò porterebbe a ridurre ad ¼ l’attuale massa di ossidi, particolati e relativa Co2; giova anche ricordare che la legge ecologica di riferimento (DLGS 152/2006) menziona gli acquedotti duali come necessari ove possibile e nel nostro caso si potrebbe dire ove vantaggioso economicamente ed ecologicamente.
Un tubo (in realtà in un acquedotto duale per usi geotermici sono due) potrebbe salvare industria e clima, garantendo un controllo pubblico sull’intero ciclo di produzione dell’energia termica, essendo l’acqua bene comune non alienabile e sostituendosi in modo esteticamente accettabile agli N-impianti singoli che l’industria ha immaginato siano il nostro destino: si osservino già oggi le deformazioni estetiche dei condizionatori appesi in ogni luogo.
Senza contare che per gli immobili riqualificati il free-heating e il free-cooling potrebbero non essere chimere e che la diffusione della produzione fotovoltaica potrebbe a questo punto portare a zero il bilancio delle emissioni nella produzione di energia termica.
Segnalo che l’Italia è in ritardo nei piani di riduzione per le emissioni e questa sarebbe la principale strategia win-win per tornare in linea con gli obiettivi, poiché, oltretutto, si autofinanzia grazie alla sua supremazia tecnologica anche in assenza di ulteriori aiuti statali o europei e dove gli italiani con tecnologie autoctone, stanno già cominciando a produrre macchine di taglia superiore dotate di rendimenti elevati e destinate a soppiantare proprio l’insensata somma di n-macchine singole, una volta che verranno posti limiti sempre più stringenti alle emissioni complessive.
Quella che appare una bella fantasia consolatoria di fronte al mondo che ha già scelto la sua direzione è in realtà una politica industriale dotata di senso ecologico ma, ciò che più conta, economico: non mancano le macchine, manca un ‘semplice’ acquedotto.