«The concept of a civil society outside of a governed society is difficult for me to accept.
It seems to me that the problem of achieving a good society is not to move outside of government
but rather to broaden our conception of what government means. If we adopt the idea
that covenants are the foundation for a self-governing society, then institutional arrangements
for governance exist in many forms at many levels». Elinor Ostrom1
Elinor Ostrom nasce nel 1933 a Los Angeles e si spegne nel 2012 a Bloomington, in Indiana. Nel 2009 è stata la prima donna a essere insignita del Premio Nobel per l’Economia, assieme a Oliver Williamson, per l’analisi della governance e in particolare del governo dei beni collettivi, cioè i commons, intesi come quelle «risorse senza proprietari». Come riassume efficacemente Nicola Misani, Ostrom «si distinse per uno stile eclettico, che combinava la teoria dei giochi, la geografia, la sperimentazione psicologica in laboratorio e gli studi sul campo, con il quale illustrò la varietà di regole che le società umane escogitano per proteggere l’ambiente naturale o sociale in cui vivono2».
L’espressione ‘beni collettivi’ traduce impropriamente commons, che ha una ricchezza storica, che occorre ricordare. In effetti, l’espressione riaffiora negli anni novanta nei contesti altermondisti ed ecologisti non tanto in allusione a un’eterna idea di comunismo, quanto piuttosto in riferimento ai beni comunitari o comunali, i commons, come la terra, le foreste o le sorgenti idriche, che prima dell’onda di enclosures del XVI secolo in Inghilterra erano di libero accesso per gli abitanti del territorio secondo principi di auto-organizzazione e auto-governo. Elinor Ostrom si trova al cuore di questa ripresa dell’espressione commons promuovendo studi empirici e teorici sull’argomento. Al contempo, la speculazione filosofico-politica, segnatamente da parte di Antonio Negri e Michael Hardt, trasforma il concetto plurale di commons legato a esperienze concrete a un’idea «più astratta e politicamente più ambiziosa di common (al singolare)3».
Dopotutto, è sufficiente ripercorrere brevemente le tappe della formazione e della ricerca della Ostrom per constatare quanto il tema dei beni collettivi abbia accompagnato l’economista a partire dalla sua tesi di dottorato. All’Università della California segue infatti all’inizio degli anni sessanta un seminario, assieme a Vincent Ostrom, che diventerà suo collega, nonché marito, attorno «allo sviluppo delle istituzioni relative alle risorse idriche del sud della California». Ottenuto il dottorato nel 1964, partecipa alla fine degli anni sessanta sempre con Vincent al Great Lakes Research Program, dove si concentra sui problemi dei servizi urbani e delle economie pubbliche in aree metropolitane. Nel 1973 fonda assieme a Vincent Ostrom all’Università dell’Indiana un centro di ricerca ora chiamato in loro onore il Vincent and Elinor Ostrom Workshop in Political Theory and Policy Analysis. Infine, nel 1981, presso il Center for Interdisciplinary Research dell’Università di Bielefeld, le viene chiesto da Paul Sabatier di tenere un seminario sull’apprendimento organizzativo (organizational learning4).
Questi i momenti chiave che hanno portato allo sviluppo delle sue tesi sul governo dei beni collettivi, il cui problema fondamentale è la possibilità dell’auto-governo e dell’auto-organizzazione. Ed è importante sottolineare che l’accento cade qui sull’organizzazione in quanto processo più che come entità istituita: un processo capace di produrre una coordinazione delle strategie individuali al fine di ottenere migliori rendimenti e pertanto l’impresa come organizzazione di individui sarà soltanto una delle forme di organizzazione prodotte dal processo organizzativo5.
Il problema da cui muove Elinor Ostrom è la questione risollevata da Garrett Hardin in un articolo ormai classico, The Tragedy of the Commons (1968), cioè la tragedia dei beni collettivi, dove l’autore sostanzialmente esprime un pessimismo antropologico di matrice hobbesiana, secondo cui l’interesse individuale non potrà che portare alla distruzione o l’esaurimento dei beni collettivi, di fronte a cui l’unica soluzione è una costrizione esterna per evitare «l’orrore dei comuni», un orrore che implicherebbe che sia «preferibile l’ingiustizia alla rovina totale6». Ostrom ricorda che la questione posta da Hardin è stata spesso formalizzata tramite il dilemma del prigioniero, che tuttavia è un modello non-cooperativo, giacché presuppone l’impossibilità di comunicazione tra gli agenti. Ma tale impossibilità presuppone ideologicamente la soluzione hobbesiana della costrizione esterna, giacché le possibilità di azione dei prigionieri dipendono dalle regole imposte dall’autorità esterna. Tutto il problema verte nel pensare forme di azione collettiva che non richiedano tale autorità esterna. In effetti, tale soluzione è a fondamento delle due uniche vie sempre pensate per la regolazione dell’uso e dell’accesso dei beni collettivi, cioè da una parte la statalizzazione e dall’altra la privatizzazione, e Ostrom tiene a precisare che anche quest’ultima presuppone dopotutto il bene pubblico dell’istituzione della proprietà privata giuridicamente garantita. Per tale ragione, Ostrom svela i limiti delle astrazioni dei modelli elevati a modi di pensiero, che catturano sempre diversi aspetti di molti problemi diversi che accadono in contesti differenti, tuttavia impedendo di pensare la possibilità del mutare delle condizioni e fattori dei contesti empirici, presupponendo surrettiziamente che soltanto un’autorità esterna possa farlo. In questo senso, si rivendica fortemente la tradizione istituzionalista, dove appunto nessuna interazione umana può avere luogo senza istituzioni e che pertanto è necessario tenerne bene a mente le sfumature7.
In questo contesto, si comprende il richiamo a Alexis de Tocqueville, laddove questo «argomentava che le istituzioni locali erano i fondamenti essenziali di una società democratica». In effetti, il dogma dell’autorità esterna implica di fatto che la cittadinanza è ridotta a essere da una parte, quando attiva, un gruppo di elettori e dall’altra, quando passiva, un gruppo di utenti o persino clienti di servizi pubblici (Figura 1).
Al contrario, è lo statuto di co-produttore che consente a un gruppo umano di uscire dalle relazioni unilaterali dall’alto al basso fondate sull’autorità esterna, cogliendo meglio la rete complessa necessariamente ibrida tra privato e pubblico costituente i processi di auto-governo dei governi locali (Figura 2)8.
Questo solleva inoltre un altro mito: l’idea secondo la quale una proprietà di tutti è una proprietà di nessuno. Tale pregiudizio deriva dal fatto che si riduce il concetto di proprietà al semplice diritto di alienazione, cioè della possibilità di vendere un bene. Perciò, Ostrom rivendica un concetto di proprietà intesa quale «fascio di diritti (bundle of rights)»: diritto di accesso, diritto di estrazione, diritto di gestione, diritto di esclusione e diritto di alienazione. In effetti, si è per tanto tempo sovrapposta la nozione di proprietà con quella di risorsa, comportando grande confusione «tra la natura di un bene e la presenza o l’assenza di un regime proprietario». Dopotutto, un bene comune (common-pool resource) può essere «posseduto e gestito in quanto proprietà statale, proprietà privata, proprietà comunitaria, oppure non essere posseduto da nessuno9».
Ora, i beni oggetto di studio da parte di Elinor Ostrom sono quella specie di beni, la cui proprietà non consente un’applicazione efficiente – poiché altamente costosa – del diritto di esclusione o di alienazione. Il rovescio del diritto di esclusione sarebbe il parassitismo, un fenomeno comune ai beni collettivi e pubblici, salvo che nel caso dei beni collettivi, tale fenomeno impatta direttamente l’ammontare di risorse disponibili, poiché si tratta di risorse sottrattive (cioè lo stesso bene singolare x non può essere consumato da più utenti). Per questo, diventa impellente, specie in un contesto di latenti crisi ambientali, ripensare con Elinor Ostrom forme di auto-governo e auto-organizzazione che consentano di rendere sostenibile lo sfruttamento delle risorse naturali10.
Per approfondire il pensiero di Elinor Ostrom e la sua teoria dell’azione collettiva fondata sull’auto-governo e l’auto-organizzazione si rinvia per gli anglofoni alla sua opera principale Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press, Cambridge 2015; oppure per un volume più agile accompagnato da testi di commento di Giulio Sapelli e Lorenzo Coccoli, si rimanda a John Akwood (a cura di), Beni Comuni. Diversità, Sostenibilità, Governance. Scritti di Elinor Ostrom, goWare, Milano 2019.
Note
- In E. Ostrom, Covenanting, Co-Producing, and the Good Society, in “The Newsletter of PEGS”, vol. 3, n. 2, 1993, p. 7.
- N. Misani, Elinor Ostrom 1933 – Bloomington (Indiana) 2012, in “Enciclopedia delle Donne”, Biografie, 2012, ultimo aggiornamento 2023, https://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/elinor-ostrom/.
- P. Dardot e C. Laval, Commun. Essai sur la révolution au XXIe siècle, Éditions La Découverte, Parigi 2014, Introduction. Le commun, un principe politique, pp. 16-17.
- E. Ostrom, Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge, Cambridge University Press, Cambridge \1990, Preface, pp. ix-xv.; N. Misani, Elinor Ostrom 1933 – Bloomington (Indiana) 2012, cit.
- E. Ostrom, Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action, cit., 2. An institutional approach to the study of self-organization and self-governance in CPR situations, p. 39: «At the most general level, the problem facing CPR appropriators is one of organizing: how to change the situation from one in which appropriators act independently to one in which they adopt coordinated strategies to obtain higher joint benefits or reduce their joint harm. That does not necessarily mean creating an organization. Organizing is a process; an organization is the result of that process. An organization of individuals who constitute an ongoing enterprise is only one form of organization that can result from the process of organizing» (CPR = common-pool resources, cioè i beni collettivi).
- G. Hardin, The Tragedy of the Commons, in “Science”, vol. 162, n. 3859, 1968, pp. 1244-1245, 1247-1248.
- E. Ostrom, Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action, cit., 1. Reflections on the commons, pp. 3-15, 25-26: «What I attempt to do in this volume is to combine the strategy used by many scholars associated with the “new institutionalism” with the strategy used by biologists for conducting empirical work related to the development of a better theoretical understanding of the biological world».
- E. Ostrom, Covenanting, Co-Producing, and the Good Society, cit., pp. 7-8: «Citizens are viewed either as voters or as clients. Both of these are relatively passive roles. Focusing on voting as the primary way a democracy is governed limits citizens to selecting from among candidates with little else to do. Democracy can be viewed as a process – a way of life – in which citizens take responsibility for as much as possible of what happens around them. Instead, democracy is reduced to elections and electioneering. At the other end of the process, citizens are viewed as clients who receive what others provide them. Their fate is totally in the hands of others rather than being something over which they have some control […] Co-production has a strong potential relationship to efficiency as well as local self-governance».
- E. Ostrom, Beyond Markets and States: Polycentric Governance of Complex Economic Systems, in “The American Economic Review”, vol. 100, n. 3, 2010, pp. 650-651, 655.; E. Ostrom, Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action, cit., 1. Reflections on the commons, p. 3.
- E. Ostrom, Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action, cit., 2. An institutional approach to the study of self-organization and self-governance in CPR situations, pp. 30-38.