Consumi immateriali, strategie di capitalismo

Dall’incantesimo degli oggetti all’oblio della rete. Breve storia della cultura consumista.

Autore

Francesco Teodori

Data

10 Aprile 2023

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5' di lettura

DATA

10 Aprile 2023

ARGOMENTO

PAROLE CHIAVE


Tecnologia

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«Quel che ha di veramente grande l’America è di aver dato inizio al costume per cui il consumatore più ricco compra esattamente le stesse cose del più povero. Mentre guardi alla televisione la pubblicità della Coca-Cola sai che anche il presidente beve Coca-Cola, che Liz Taylor beve Coca-Cola e che anche tu puoi berla»1 Andy Warhol

Niente come l’ideologia consumistica è stata in grado di portare uguaglianza tra gli esseri umani. Molto più degli alti ideali di democrazia e libertà, è nel desiderio di consumare che gli individui si scoprono simili, tutti uniti dal fil rouge della voglia di oggetti. Benché certamente non tutti consumino le stesse cose o possano permettersi di avere abitudini di consumo completamente equiparabili, il bisogno di consumare accomuna l’ultimo dei proletari alla più ricca star del cinema.

Un’assuefazione, quella consumistica, divenuta ossessione sul finire degli anni ’70 del secolo scorso. Dopo un decennio di messa in discussione del fenomeno ad opera delle più eminenti correnti filosofiche e di dibattiti con a seguito feroci tensioni sociali, la questione ha smesso di essere oggetto di controversia, come una malattia divenuta endemica. Il desiderio di acquistare oggetti ha colonizzato totalmente le menti degli individui divenendo una vera e propria condizione di cittadinanza, quasi una tetra legge di natura. Il consumo ha sostituito le ideologie, il fascino della merce ha preso il posto degli ideali e delle grandi narrazioni, facendo diventare obsoleto ogni discorso critico sul tema. La bellezza degli oggetti, il fascino dell’accumulazione e l’idea di benessere erano incantesimi troppo forti perché gli individui, anche i più battaglieri, vi potessero resistere. 

Dunque oggi non ci si interroga nemmeno più sulle ragioni del consumo o sul suo ruolo come mediatore della vita sociale poiché, come si diceva, l’ideologia consumistica ha sostituito tutte le altre (troppo impegnative) con il suo ideale di felicità garantito dal possesso di cose, stabilendo il suo dominio sui pensieri delle persone, le quali ormai parlano tra loro mediante le ciò che possiedono. 

All’impegnativa azione di capire, l’uomo contemporaneo preferisce il molto più accomodante possesso, garanzia di soddisfazione e di socialità. 

Ormai da tempo il consumo non dischiude la sua ragion d’essere nell’appagamento dei bisogni effettivi dell’uomo, questo ormai è scontato, bensì nel puro e semplice desiderio di consumare; il bisogno è bisogno di consumo, non tanto del bene consumato in sé. Un nuovo incantesimo della merce obnubila le menti degli uomini. Se prima, infatti, il capitalismo si inverava nella produzione di oggetti di largo utilizzo, consumati in virtù del loro valore d’uso, oggi è il valore di scambio a prendersi la scena. Gli oggetti si consumano per prendere parte a un nuovo linguaggio collettivo, una celebrazione per superare mezzo secolo di orrori. 

Dalla trincea al supermercato

È probabile che il trauma di due guerre mondiali abbia spinto gli esseri umani a rivolgere verso la merce le loro speranze di salvezza. Il capitalismo ha ormai preso il posto delle religioni quale culto salvifico, imponendo i suoi imperativi all’intera umanità che si mostra ben lieta di assolverli. Non più energia sprecata in inutili guerre ma convogliata nel meccanismo degli acquisti.

Nella fase marxiana dello sviluppo capitalistico, i beni possedevano una ragion d’essere nella loro utilità effettiva, dunque erano ancorati alla realtà, al «mondo della vita». Col progredire della ricchezza individuale il ruolo dell’uomo è passato da quello di individuo passivo che subiva la merce producendola e, spesso, non potendola consumare, come nella teoria marxiana, a un ruolo eminentemente attivo di consumatore.

Così l’economista Victor Lebow sintetizzava il nuovo compito assegnato agli individui nella nuova società iper-produttiva: «La nostra economia incredibilmente produttiva ci richiede di elevare il consumismo a nostro stile di vita, di trasformare l’acquisto e l’uso di merci in rituali, di far sì che la nostra realizzazione personale e spirituale venga ricercata nel consumismo. Abbiamo bisogno che sempre più beni vengano consumati, distrutti e rimpiazzati a un ritmo sempre maggiore. Abbiamo bisogno di gente che mangi, beva, vesta, cavalchi, viva, in un consumismo sempre più complicato e, di conseguenza, sempre più costoso» 2.

Il passaggio da produttore immerso nella polvere e contaminato dal metallo dell’industria a quello di consumatore circondato dal tripudio delle merci da acquistare ha sancito la definitiva evoluzione antropologica degli individui post-moderni. 

Il nuovo linguaggio degli oggetti

Nell’economia marxiana il Capitale è un rapporto tra individui mediato da cose; nel mondo consumistico gli stessi rapporti tra persone sono divenuti comportamenti mediati dagli oggetti. Jean Baudrillard, grande teorico del consumismo, aveva posto in evidenza questa «mutazione concettuale» degli oggetti, da beni di consumo divenuti mediatori della nuova vita sociale degli individui.

«Si deve credere che i prodotti abbiano assunto tali differenziazioni interne, che si siano moltiplicati in modo tale da divenire esseri complessi, e che di conseguenza il rapporto di acquisto e di consumo di un prodotto equivale a qualunque rapporto umano? […] Forse reciprocamente i bisogni informano nuove strutture sociali nella mediazione degli oggetti e della produzione? Se è così si può parlare di linguaggio» 3.

La progressiva smaterializzazione del capitalismo ha innalzato il valore di scambio dei beni, ossia il loro valore simbolico scollegato dall’utilità specifica, a unica caratteristica che ne giustifichi l’esistenza e che ne generi, per l’appunto, il valore. Attraverso i marchi, la pubblicità, il circolare incessante delle immagini su ogni mezzo di comunicazione, gli oggetti ci parlano. O per meglio dire, siamo noi a essere «parlati» dagli oggetti, e tramite essi comunichiamo con i nostri simili valori e concetti che ci sono stati trasmessi dal marketing.

Consumi immateriali

Guy Debord aveva visto attraverso il suo tempo quando sul finire degli anni ‘60 comprese che il vero grande oggetto di consumo dell’età contemporanea erano gli spettacoli: «In quanto indispensabile ornamentazione degli oggetti attualmente prodotti, in quanto esposizione generale della razionalità del sistema, e in quanto settore economico avanzato che foggia direttamente una moltitudine crescente di oggetti-immagine, lo spettacolo è la principale produzione della società attuale»4.

Gli spettacoli non sono più oggi solo ornamenti delle merci, o strumenti per indurre a consumare di più, ma veri e propri bisogni della nuova umanità, che ne consuma a ogni ora del giorno attraverso i dispositivi tecnologici 5 sempre più alla portata di tutti. Essi costituiscono la definitiva evoluzione della merce che, abbandonando la sua forma tangibile, si smaterializza per essere consumabile da tutti in ogni luogo o momento. Certamente la ‘smaterializzazione’ del capitalismo porta con sé la trasformazione dei suoi prodotti in merci immateriali, vera anima del moderno consumismo.

In questo senso il reale si acquista per giungere all’immateriale; molti degli oggetti di più largo consumo come i televisori, gli smartphone o i tablet vengono acquistati per aver accesso al meraviglioso mondo degli spettacoli, siano essi film, serie tv, video o social network. Nessuno può sottrarsi a questo nuovo imperativo, e nei fatti, nessuno vuole. Anche su questo Baudrillard aveva anticipato i tempi: «il possesso di un determinato oggetto è già di per sé un servizio sociale: in quanto patente di cittadinanza, il televisore è un pegno di riconoscimento, di integrazione, di legittimità sociale»6.

Il regno della merce si estende così verso l’immateriale, costringendo i nuovi consumatori ad adattarsi alla nuova non-forma. 

Homo consumens

Come vagabondi, gli uomini, divenuti ormai consumatori, vagano in un incubo rivestito di merci, tangibili e non. Se si concepisce il capitalismo come grande mediatore (quando non vero e proprio generatore) dei rapporti tra individui, la sua nuova forma immateriale, tramite il fantasma delle merci che ha invaso la mente degli individui, ha influito anche sul loro modo di esistere. 

Con il suo virtualizzarsi progressivamente, circoscrivendo la vita a una continua accumulazione di merce-segno, questo nuovo capitalismo porta con sé la perdita di importanza della realtà, della vita reale, con conseguente disfacimento di ogni ipotesi di senso dell’esistenza. L’insicurezza è il sintomo più evidente di questa nuova condizione esistenziale. 

Il consumo è il nuovo modo di relazionarsi con il prossimo; il possesso di determinati oggetti il nuovo linguaggio con cui le persone comunicano; in ciò che possiedono ed esibiscono essi trovano sicurezza. E ciò indipendentemente dalla ricchezza, poiché il consumo è un atto in sé trasversale e che schiavizza tutti, a cambiare è solo il tipo di merce consumata. Lo shopping esorcizza le paure del domani e il senso di abbandono e spaesamento che contraddistingue l’umanità contemporanea 7. Un modo per non disgregarsi nell’aria.

La perdita di senso della vita viene compensata con gli oggetti e con, sempre di più oggi, il consumo degli spettacoli, delle interazioni sul web, fase ultima che trasforma i consumisti in consumati. Per non affogare nella disperazione ci si inabissa nella rete. Nel nuovo capitalismo virtualizzato siamo chiamati come non mai a svolgere il nostro lavoro di zelanti consumatori, di modo che le nostre stesse azioni possano essere trasformate in dati e divenire merce di scambio ad alto valore aggiunto.

Illusi che tutto ciò possa renderci parte di un grande divertimento collettivo, ci consegniamo placidi e felici al nostro vero lavoro, ignari della sua diabolica reale identità: «in questo senso è assurdo parlare di società dei consumi come se il consumo sia un sistema universale di valori, in quanto fondato sulla soddisfazione dei bisogni individuali. In realtà esso rappresenta una istituzione e una morale, e proprio per questo, in tutta una società che già esiste e che viene proiettata nel futuro, un elemento della strategia del potere» 8.

Note

  1. A. Warhol, La filosofia di Andy Warhol, Abscondita, Milano, 2009, p. 87
  2. Queste le parole di Lebow apparse in un celebre articolo del 1955 intitolato Price Competition, qui visibile http://ablemesh.co.uk/PDFs/journal-of-retailing1955.pdf
  3. J. Baudrillard, Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano, 2009, p. 237
  4. G. Debord, La Società dello spettacolo, Baldini e Castoldi, Milano, 2017, p. 68
  5. I ricavi dell’industria dell’intrattenimento sono stimati nel 2022 per 29,35 miliardi di dollari totali. Si ipotizza una crescita per il 2026 fino a 40,74 miliardi di dollari. Fonte: https://www.statista.com/outlook/dmo/app/entertainment/worldwide. Il segmento di maggiore incidenza è il mercato dei social network.
  6. J. Baudrillard, Per una critica dell’economia politica del segno, Mimesis, Milano, 2010, p. 42
  7.  Si veda su questo l’ormai classico Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Bari, 2011
  8. J. Baudrillard, Per una critica dell’economia politica del segno, cit., p. 50
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