Agosto 2013 – Un punto sul quale concorda la maggior parte degli economisti e degli storici è che non esiste ancora una formula magica che ci permetta di spiegare il perché dell’ascesa e della caduta di una civiltà in un preciso momento storico 1.
Ciò che possiamo fare è analizzare il fenomeno in retrospettiva e attribuire l’avanzamento o il declino di una potenza a questa o a quella causa, ma ciò che innesca la trasformazione di una qualunque nazione in un potente impero o la catena di eventi che determina il collasso di una grande potenza resta un mistero. Nel destino delle nazioni ci sono così tanti «se» e «ma», svolte casuali, grande fortuna o sfortuna, che gli innumerevoli profeti dediti a scrutare la sfera di cristallo per leggervi il futuro ci appaiono poco più di mediocri indovini.
Prendiamo questo passaggio citato da Ngozi Okonjo-Iweala, ministro delle Finanze nigeriano ed ex managing director della Banca Mondiale, nella prefazione del volume The Fastest Billion: «Immaginate un continente lacerato dalle guerre, sconvolto dai conflitti etnici e religiosi, dalla malnutrizione, dalle malattie e dall’analfabetismo – ulteriormente esasperato da frontiere malamente tracciate, dal forte retaggio post coloniale e dall’incessante ingerenza da parte di potenze esterne. Con un’unica eccezione il reddito pro capite è pari a circa 400 dollari, solo una piccola percentuale della vasta popolazione del continente ha ricevuto un’istruzione a livello elementare e i governanti autoritari spendono le entrate generate dalle abbondanti risorse naturali per fini personali e non per il bene comune. La prospettiva di migliorare le condizioni di vita delle moltitudini di persone che vivono ai livelli minimi di sussistenza, o appena sopra gli stessi, è – nel migliore dei casi – remota».
Il passaggio citato descrive sicuramente l’Africa? No. Descrive lo stato di sviluppo dell’Asia verso la metà degli anni settanta, «un’area del mondo» scrive Okonjo-Iweala, «che ha affrontato duecento anni di declino, il domi nio imperiale e una stagnazione economica prima di iniziare il cammino che l’avrebbe trasformata nella regione economicamente più vivace della terra».
Ecco quanto valgono le previsioni degli «esperti»! La descrizione dell’Asia in via di sviluppo era corretta, ma la conclusione che fosse destinata a fallire si è rivelata una sciocchezza colossale. L’errore è stato quello di non considerare lo spirito della gente, dando per scontato che le persone avrebbero continuato a vivere nella miseria in cui le aveva relegate la storia. Ma la rilettura attenta del passato rivela che i grandi imperi del mondo sono sorti molto spesso dalle ceneri della sconfitta e della distruzione, e che sono quei popoli che riescono ad adattarsi al nuovo tempo, «adottandolo», a rialzarsi più forti e più ricchi di prima, mentre quelli che restano rigidi e poco flessibili, sono destinati a indebolirsi e decadere.
La storia dimostra, inoltre, che il bisogno di adattarsi alla propria epoca è più forte tra chi è costretto ad affrontare un ambiente ostile, perché è la necessità che aguzza l’ingegno. È stato così nell’Europa del Medioevo, lacerata dalle guerre e dalla fame, ed è stato così nell’Asia descritta sopra. Ma quando arriva il punto di svolta, indipendentemente dalle misteriose vie lungo le quali è stato raggiunto, l’ascesa è spesso rapida e spettacolare.
«Negli anni sessanta del secolo scorso», racconta l’autore Charles Robertson, «tutti gli indicatori puntavano alla Birmania (attuale Myanmar) come a una storia di successo, mentre Singapore, Indonesia e Malesia erano sconvolte da violenze etniche mortali e conflitti civili. Oggi Singapore è 59 volte più ricco di Myanmar ed è forse il paese di maggiore successo nel mondo».
Scrive Okonjo-Iweala, nel volume citato: «Mentre l’Africa subsahariana soffriva combattendo despoti e indigenza, nel suolo africano spuntavano i semi della trasformazione. Un numero crescente di economisti, investitori e decisori di politiche finanziarie si è reso conto che l’Africa subsahariana stava emergendo dall’oscurità, per avviarsi verso un’alba che promette una crescita in grado di rivaleggiare, se non di superare, quella raggiunta dalle tigri asiatiche negli ultimi vent’anni».
Dure lezioni
Gli argomenti presentati in questo volume sono basati sull’osservazione secondo la quale tutte le società attraversano vari stadi di sviluppo per raggiungere i livelli che noi consideriamo avanzati. La teoria (sostenuta nel libro) è che l’Africa abbia raggiunto lo stesso livello di sviluppo economico, sociale e politico ottenuto da Cina, Corea e India venti o trenta anni fa e che, considerata la struttura geo-economica del mondo, si appresti a crescere seguendo lo stesso percorso delle tigri asiatiche, ma forse a un ritmo più elevato, perché possiede vaste risorse naturali, enormi distese di terra coltivabile e una popolazione in cui il numero di giovani produttivi supera quello di anziani o giovanissimi.
Robertson descrive i quattro stadi della trasformazione economica globale iniziati duecento anni fa. Queste quattro fasi hanno visto i paesi africani trasformarsi da stati agricoli a stati industriali, passando da regimi autoritari a pluralistici, all’interno dei quali si è formata una classe media e dove a trainare l’economia è stata l’informatica. «Questi stadi di crescita sono diventati benchmark che segnano il progresso economico di una nazione e la sua costante crescita, dalla sussistenza a livelli di prosperità e di pluralismo politico senza precedenti, dei quali godono ora la maggior parte dei paesi più avanzati del mondo», scrive Robertson. «Il processo di crescita non sarà completato entro il 2050, ma l’Africa è pronta a diventare la beneficiaria finale di questa rivoluzione».
Inoltre, afferma Robertson, il progresso più sostanziale avverrà nelle prossime due generazioni. «Prevediamo che raddoppierà – passando da uno a due miliardi – il numero di africani che nell’ultimo decennio ha vissuto la crescita più rapida nella storia del continente e che entro il 2050 il PIL africano aumenterà dai 2 trilioni di dollari di oggi a 29 trilioni di dollari in valuta corrente». Entro quella data, il PIL africano varrà più di quello di Stati Uniti ed Eurozona messi insieme.
Ma come fare per capire se non sarà un’altra finta alba? Anche negli anni sessanta e settanta del secolo scorso l’Africa aveva vissuto dei periodi di grande crescita, cui seguirono però anni di stagnazione e recessione. Come facciamo a dire che questa volta le cose andranno diversamente?
La risposta di Robertson è che al momento dell’indipendenza le nazioni africane, la maggior parte delle quali erano costrutti artificiali sorretti da reti amministrative coloniali, erano nuove alle attività internazionali, per nulla preparate ad affrontare il mondo sofisticato e spietato nel quale si erano improvvisamente trovate. Le strutture coloniali furono sostituite da quelle neocoloniali, con l’intento di mantenere lo status quo dell’Africa come fonte di materie prime a basso prezzo per le industrie del nord. La lotta, combattuta negli anni della Guerra fredda per inserirsi nelle sfere d’influenza politica e ideologica, ha trascurato gli interessi nazionali africani e ha contribuito a sostenere dittatori come Mobutu Sese Seko e politici che favorivano apertamente gli interessi occidentali.
Molte guerre civili africane di quel periodo riguardavano le preziose risorse minerarie racchiuse nel suo sottosuolo ed erano sostenute, finanziate e armate da forze esterne. Il Sud Africa dell’apartheid, agendo come avamposto occidentale nel continente, causò una notevole destabilizzazione dell’Africa meridionale attraverso guerre sanguinarie, devastando le economie nazionali a tutti i livelli e usando le terribili mine antiuomo, tuttora disseminate nel territorio africano.
Anche i migliori leader africani erano inesperti e si facevano ingannare dalle scaltre manovre del mondo sviluppato. Le politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, ideate principalmente per ottenere i ricavi dei servizi del debito attraverso le esportazioni, danneggiarono gravemente l’agricoltura, imponendo delle condizioni che obbligavano i governi a tagliare i costi destinati all’istruzione e alla salute. I numeri relativi alla crescita di questo periodo celano il fatto che una parte ragguardevole di essi si riferiva al debito. Grandiose cattedrali nel deserto dilapidavano il gettito estero mentre le élite locali, in combutta con i collaboratori stranieri, consumavano le entrate ottenute dalle risorse. Trilioni di dollari vennero sottratti all’Africa.
Queste sono state dure lezioni che però gli africani hanno imparato – alcuni più velocemente di altri. Yvonne Mhango, economista di Renaissance Capital, si unisce a Robertson per descrivere questo cambiamento. «È stata creata più ricchezza in Africa negli ultimi dieci anni che in qualsiasi altro momento nella storia di questo continente. È una trasformazione che parte sia dal basso – diffusione nel continente di nuove attività e persino di settori totalmente innovativi – sia dall’alto. I governi hanno promosso delle politiche giuste e hanno creato macro-condizioni decisamente migliori, con bassi livelli di debito e di inflazione, grazie ai quali si è stimolata la crescita. Il settore privato africano è fiorente, sostenuto da una governance migliore». E prosegue: «Le conseguenze sono state la quintuplicazione delle esportazioni, flussi record di Investimenti Diretti Esteri e il raddoppio del PIL pro capite».
Il debito pubblico africano, considerato in passato un enorme masso che schiacciava una terra affamata, è ora tra i più bassi di tutti i continenti.
Grazie alle concessioni sul debito da parte del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, molte nazioni africane godono oggi di una maggiore stabilità valutaria, un basso rapporto debito pubblico/PIL e bassi deficit di bilancio. I governi sono riusciti a prorogare la scadenza dei debiti nazionali fino a dieci anni e, nel caso del Kenya, anche fino a trent’anni.
Il contrasto con l’Occidente, evidenzia il libro, è stridente. «Se ai ministri finanziari dei paesi sviluppati venisse offerta la possibilità di esprimere tre desideri, molti di questi chiederebbero il raggiungimento di un rapporto equilibrato tra debito pubblico e PIL, di un saldo di bilancio e di crescita com’è attualmente in Africa».
Inoltre, gli autori affermano che se Germania, Giappone e Stati Uniti avessero chiesto di entrare nell’Eurozona in tempi recenti, la loro domanda sarebbe stata respinta perché la loro situazione economica non è in linea con i criteri stringenti di Maastricht. Per contro, la maggior parte delle nazioni africane con le migliori performance avrebbe facilmente rispettato tali criteri di finanza pubblica.
Sostenere la crescita
Mentre l’Africa ha centrato l’obiettivo della gestione macroeconomica, l’avverarsi delle mirabolanti previsioni fatte per il continente dipenderanno principalmente dalla risposta alla domanda: l’Africa sarà in grado o meno di sostenere i propri livelli di crescita? Questo, a sua volta, dipenderà da numerosi fattori: buona governance, maggiore democratizzazione, stabilità politica, domanda globale e continua di materie prime, maggiore diversificazione della produzione e dei servizi, Investimenti Diretti Esteri, produzione di energia, maggiore disponibilità di servizi bancari e finanziari, sostegno per le piccole e medie imprese, migliore qualità dell’istruzione e trasferimento di skill, riduzione della corruzione e accelerazione della realizzazione e del miglioramento delle infrastrutture. Il volume tratta ognuno di questi aspetti e conclude che, per molti versi, l’Africa è sulla strada giusta per centrare anche questi obiettivi. Tuttavia, gli autori sono i primi ad ammettere che non tutti i paesi africani si svilupperanno alla stessa velocità o allo stesso livello. È probabile che i paesi governati da regimi autoritari o militari, quelli ancora dilaniati dai conflitti o con economie ancora gravemente sottosviluppate ristagneranno o rimarranno indietro. Tuttavia, il trend generale è positivo. Per esempio, secondo Freedom House 2, il numero di democrazie in Afri ca è aumentato, erano 3 nel 1990 e 19 nel 2012, di cui 9 democrazie libere, mentre la percentuale di persone uccise in conflitti violenti, una volta tra le più alte nel mondo, è scesa in modo costante. Oggi solo la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia e il Sudan sono tra i 10 paesi più pericolosi del mondo e solo 5 dei 48 paesi dell’Africa subsahariana sono tra i top 30. Tra questi ci sono il Sud Africa e l’Uganda, dove le cause di morte sono più riconducibili agli omicidi che alla violenza politica.
Per quanto riguarda l’aspetto cruciale dei tassi di crescita, il libro afferma che l’Africa di oggi è allo stesso stadio dell’India, dopo le riforme del 1991, e dell’Asia nel suo periodo di crescita negli anni ottanta del secolo scorso. Il tasso di sviluppo medio africano, pari a 5,6% negli anni 2000, è il doppio del 2,2% degli anni novanta ed è più alto della media globale. Viste le analogie tra le curve di crescita dell’India dopo il 1990 e quelle dell’Africa di oggi, «per mantenere nell’Africa subsahariana un tasso di crescita pari a quello indiano nel suo percorso di sviluppo, i paesi con un PIL pro capite inferiore a 10.000 dollari dovrebbero crescere del 7,3% in questi dieci anni, dell’8,6% negli anni 2020, del 10,5% negli anni 2030 e di un notevole 12,6% a partire dal 2040 al 2049», afferma il libro. Sulla base di questo scenario, nel 2038 circa 300 mila nigeriani avranno un reddito pro capite di 10.000 dollari e il loro PIL avrà raggiunto i 3 trilioni di dollari, pari a quello della Germania di oggi. Entro il 2050, il PIL del Kenya raggiungerà 1 trilione di dollari, quello dell’Etiopia 1,5 trilioni e quello dell’Uganda 755 bilioni.
Tuttavia, queste sono le migliori proiezioni dei dati e saranno inevitabilmente contestate da altri economisti. Così come gli economisti occidentali sbagliarono in pieno le proiezioni di crescita dell’Asia negli anni settanta del secolo scorso e dell’Africa negli anni 2000, anche le proiezioni per l’Africa potrebbero essere errate nel senso opposto ed essere eccessivamente ottimistiche. Solo il tempo potrà dirci quale sfera di cristallo era limpida e quale opaca. Di sicuro sappiamo che la realtà ci riserva sempre delle sorprese – piacevoli o spiacevoli – che si fanno beffa delle proiezioni economiche. Possiamo però contare sull’accelerazione del tasso di sviluppo economico. «L’accelerazione del tasso di crescita non avviene nell’arco di una notte», afferma Charles Robertson. «Mentre nel Regno Unito ci sono voluti alcuni secoli, adesso potrebbero bastare pochi decenni, o qualche anno. Gli Stati Uniti e la Germania hanno “preso in prestito” e poi migliorato la tecnologia inglese del diciannovesimo secolo. Il Giappone ha fatto la stessa cosa, ma più velocemente, nel ventesimo secolo, e la Cina ha ulteriormente accelera to il processo negli ultimi trent’anni. Oggi, sfruttando la scia di due secoli di progresso globale, l’Africa gode di maggiori opportunità di crescita».
Il progresso della tecnologia
Robertson racconta che nell’Europa del XVII e del XVIII secolo era normale associare all’Africa inquietudine e disgrazie. Nel corso della loro storia, sia l’Europa sia l’Asia sono state governate più da regimi autocratici, fondati sulle monarchie ereditarie, che da quelli democratici. In Africa il regime autoritario più lungo è durato poco più di quarant’anni e nella maggior parte del continente questa forma di governo è in via di esaurimento. Inoltre, l’ascesa dell’Europa deve molto – secondo alcuni storici praticamente tutto – alla colonizzazione di terre straniere ricche di risorse e allo sfruttamento della manodopera locale. Colonizzazione e sfruttamento che hanno generato il capitale e fornito le materie prime necessarie alla rivoluzione industriale. Quest’ultima è avvenuta grazie alle opportunità offerte dalla produzione di materie prime a basso costo, come il cotone, lo zucchero, il tè, il caffè e i minerali, tra cui la grande quantità d’oro proveniente dall’Africa e dall’America Latina. D’altra parte, l’ascesa delle tigri asiatiche è stata generata dall’applicazione della tecnologia ai processi di produzione tradizionali e alla produzione di massa di beni per l’esportazione. L’Africa sta seguendo lo stesso percorso.
È interessante notare che nel 2011, i maggiori flussi di Investimenti Diretti Esteri destinati all’Africa sono aumentati del 27% arrivando a 80 miliardi di dollari USA (con la previsione di raggiungere 150 miliardi entro il 2015). È significativo che di questi nuovi flussi in entrata, il 30% del capitale investito in Africa è finito nella produzione, il 38% nelle infrastrutture e solo il 28% nell’estrazione. Questo è in netto contrasto con i trend precedenti, quando la maggior parte degli Investimenti Diretti Esteri riguardava l’industria estrattiva. Questi dati indicano che sono gli investimenti destinati a produrre beni tangibili e servizi i driver reali della crescita del PIL pro capite, in quanto creano lavoro e nuove skill.
Visti i bassi livelli di crescita dei paesi dell’OCSE, l’Africa sta diventando una destinazione sempre più ambita, considerando l’ottima resa del continente. Un altro catalizzatore della crescita è l’innalzamento dei livelli di produttività, facilitato dal trasferimento delle tecnologie: «In Africa il tasso d’innovazione tecnologica globale è talmente elevato e il suo trasferimento così semplice – come evidenziato dal boom della tecnologia della telefonia mobile e dalla diffusione della banda larga – che questo continente non è solo il ricettacolo della tecnologia ma, grazie all’M-Pesa banking 3, un esportatore della stessa».
In altre parole, l’Africa è idealmente pronta a saltare secoli di sviluppo industriale e beneficiare dei vantaggi dell’era informatica. Ha l’ulteriore vantaggio di non doversi trascinare dietro il bagaglio del passato e può adottare facilmente modalità ultra moderne di produzione e distribuzione. Se dureranno questi trend, è assolutamente possibile che le proiezioni di crescita indicate nel volume The Fastest Billion saranno raggiunte.
E che cosa dire dello sviluppo umano? Una crescita economica sostenuta è virtualmente impossibile senza un adeguato sviluppo umano. Anche in questo campo i dati ci confermano che l’Africa migliora più rapidamente di altre regioni in via di sviluppo. Secondo le analisi di Robertson e dei suoi collaboratori, nel continente la percentuale d’iscrizione alle scuole elementari è già mediamente pari al 96% e nel 2020 quella degli iscritti alle scuole superiori dovrebbe arrivare al 50%, per avvicinarsi al 100% entro il 2050. Gli autori prevedono un aumento reale del 72% nell’assistenza sanitaria e un incremento del 69% nel livello d’istruzione partendo dai livelli odierni: «Prevediamo che le spese sanitarie aumentino di 16 volte entro il 2050, passando da 123 miliardi di dollari a 1.944 miliardi di valore, sempre di dollari, in valuta corrente, accompagnate dalla spesa pubblica che passerà dal 2,8% al 4,1% del PIL».
Il tasso di urbanizzazione, essenziale per compiere la transizione dalla sussistenza rurale al consumismo urbano, sta tenendo il passo di quello cinese, pari al 50% circa. Questo ha creato un boom dell’industria edile e ha orientato lo sviluppo di città moderne, costruite ad hoc in Kenya e in Ghana. I grandi progetti per le infrastrutture dovrebbero facilitare gli spostamenti a basso costo di persone e merci, aumentando il commercio interno e rendendo le esportazioni africane più competitive. L’introduzione delle linee aeree a basso costo dovrebbe risolvere il problema dei lunghi trasporti via terra e facilitare il commercio e la mobilità.
Il secolo dell’Africa?
Le entrate dell’Africa continueranno, ancora per molto, a dipendere dall’estrazione e dall’esportazione delle materie prime. Anche in questo campo il continente è posizionato bene. Nell’Africa sub-sahariana, le entrate petrolifere, che negli anni novanta erano mediamente pari a 34 miliardi di dollari annui, sono più che triplicate arrivando a 124 miliardi di dollari nel 2005, per poi raddoppiare di nuovo e raggiungere circa 250 miliardi di dollari. È inoltre probabile che in un futuro prossimo l’Africa diventerà uno dei maggiori produttori ed esportatori di gas naturale, mentre si prevede che le nuove scoperte di petrolio e gas nell’Africa orientale trasformeranno le economie di questa zona.
Si stima che finora sia stato scoperto solo il 20% dei minerali africani presenti nel sottosuolo. In un mondo che per alimentare le industrie è sempre più dipendente dalle risorse naturali, il vantaggio africano potrebbe essere considerevole. The Fastest Billion afferma che l’ascesa dell’Africa è praticamente inevitabile visti gli attuali trend mondiali. Per quanto riguarda il settore economico, il progresso potrebbe essere più rapido del previsto. Il campo dell’istruzione, per esempio, sta attraversando una fase rivoluzionaria grazie all’apprendi mento a distanza (in parte gratuito), i servizi finanziari crescono grazie a modelli innovativi, il commercio si sta espandendo attraverso Internet, così come le forze creative prodotte dal settore privato.
È così che prende forma la previsione che l’Africa sarà la vera protagonista di questo secolo.
Fonte/Testo originale: Anver Versi ‘Perché l’Africa guiderà il XXI secolo’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 2, agosto 2013, Il Mulino.
Note
- Secondo gli autori del libro The Fastest Billion: The Story Behind Africa’s Economic Revolution (London, Renaissance Capital,2012) l’alto ritmo di crescita dell’Africa di oggi è destinato non solo a continuare, ma ad aumentare, tanto che tra quarant’anni, nel 2050, ai prezzi correnti, il PIL del continente africano sarà equivalente a quello di Stati Uniti e Unione europea messi insieme. Anzi, è possibile che in questo periodo la crescita africana superi quella asiatica. C’è chi pensa che questa previsione sia troppo ottimistica e solo un’illusione. Ma gli autori del libro da cui prendiamo le mosse difendono la loro tesi con validi argomenti basati sulle analisi dei trend dei secoli passati. Autori del libro sono: Charles Robertson con Yvonne Mhango, Michael Moran, Arnold Meyer, Nothando Ndebele, John Arron, Johan Snyman, Jim Taylor, Dragan Trajkov, Sven Richter, Bradley Way.
- Freedom House è un osservatorio indipendente che studia la diffusione della libertà nel mondo (Ndt).
- M-Pesa banking è un servizio di mobile banking che permette di eseguire le operazioni bancarie e di micro-finanziamento dal cellulare. Il servizio, che prende il suo nome dal termine utilizzato in swahili per indicare il denaro, è attivato da Safaricom e Vodacom, i maggiori operatori telefonici in Kenya e in Tanzania (Ndt).