Time to build e transizione energetica

Il cambiamento è il grande motore in grado di generare nuove economie annullando i confini fra ambiente e strutture produttive e ricreandone di nuove.

Autore

Mario Amendola, Jean Luc Gaffard

Data

13 Febbraio 2023

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13 Febbraio 2023

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PAROLE CHIAVE


Energia

Transizione

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I grandi mutamenti e le profonde crisi economiche che questi possono determinare sono il banco di prova della validità della disciplina economica. Le difficoltà create al funzionamento vigente delle economie da tali cambiamenti e gli sconvolgimenti sociali che ne derivano, pongono infatti in luce la vera natura dei problemi da affrontare e quindi la rilevanza effettiva delle teorie dominanti e delle politiche perseguite in ossequio a tali teorie

Al cuore di tali cambiamenti vi è un mutamento del modo di funzionare dell’economia a seguito di una diversa strutturazione ed articolazione dei processi produttivi e delle caratteristiche e del ruolo dei fattori che a tali processi danno luogo, con effetti per tutti gli agenti dai processi stessi direttamente o indirettamente interessati. Ciò è vero in particolare, e con implicazioni per l’intera economia, per un fenomeno quale la transizione energetica, che implica la sostituzione delle predominanti energie fossili con le energie rinnovabili. E quindi, in primo luogo la trasformazione delle tecniche produttive e dei metodi organizzativi delle imprese produttrici di energia, e di conseguenza spesso anche di quelle utilizzatrici di tali energie, con molte di esse destinate a scomparire per essere sostituite dalla comparsa di nuovi attori. 

Il problema in questione, come per qualunque processo innovativo, consiste nella distruzione da un lato e nella costruzione dall’altro di capacità produttive. I due processi non sono tuttavia concomitanti. Richiedono tempo, e tempi diversi, per realizzarsi.  Non solo le capacità produttive debbono essere costruite prima di poter essere utilizzate, ma le stesse risorse impiegate in tali fasi (risorse fisiche, umane, organizzative…) debbono essere rese specifiche ai modi di produzione in questione, e ciò, si ripete, richiede tempo.

Quel tempo che è il grande assente negli approcci analitici dominanti, al cui cuore vi è un problema di scelta fra configurazioni alternative dell’economia viste come stati già delineati, e quindi istantaneamente comparabili. I problemi posti da un fenomeno quale la transizione ecologica e l’individuazione degli interventi richiesti per affrontare tali problemi richiedono invece di spostare l’attenzione dalla definizione di un dato stato dell’economia a un processo di cambiamento del modo di essere e di funzionare di quest’ultima.

Un processo è costituito da uno scorrere di eventi collegati ed interagenti, dove ogni evento  è l’effetto del precedente e la causa del successivo. Dove, in altre parole, ogni passo concorre nel tracciare una strada, che verrà effettivamente tracciata, ed in quale direzione, solo se i passi necessari verranno effettivamente compiuti. Ciò che è rilevante quindi sono le condizioni per la fattibilità del processo in atto, assicurata dalla realizzata complementarità intertemporale delle sue fasi, che permetta in particolare una coerente evoluzione delle condizioni di domanda e di offerta  nel susseguirsi delle fasi stesse.  In un’ottica quindi in cui solo restituendo al tempo il suo ruolo essenziale di quadro del processo considerato è possibile porre in luce le difficoltà che sorgono durante il suo svolgersi e gli interventi richiesti per affrontare tali problemi. 

In questa prospettiva, oltre ai problemi derivanti da qualunque trasformazione produttiva, un aspetto da prendere particolarmente in considerazione è la dimensione sociale degli effetti di una transizione energetica. Il problema sorge non tanto dai maggiori costi di investimento dei nuovi processi produttivi rispetto ai vecchi processi, che possono incidere sui livelli di produzione e di occupazione, quanto dal condizionamento alla fattibilità dei nuovi processi stessi, imposto dalle caratteristiche della risorsa umana richiesta.

La struttura in termini di qualifiche dei lavori ricercati è infatti diversa, in parte o spesso in tutto, da quella prevalente in esistenza: e questo problema riguarda non solo il settore energetico ma si estende alla gran parte dell’intera economia strettamente collegata al settore stesso. La ri-allocazione necessaria richiede formazione e apprendistato, e quindi tutto il tempo necessario per imparare nuovi mestieri. I posti di lavoro distrutti non potranno così essere compensati immediatamente da quelli creati. 

Con scarsi mezzi finanziari, ma soprattutto senza il tempo necessario, potrà così aversi un calo dell’occupazione, ma soprattutto l’emergere di una struttura duale di quest’ultima. Con una fascia di lavoratori che non possono candidarsi ai nuovi lavori perché non hanno le conoscenze necessarie e i mezzi per acquisirle, e sono quindi condannati a lavori poco qualificati e poco retribuiti in alcune attività di servizi.

La conseguenza di tutto ciò è un calo della produttività. E un cambiamento troppo grande e troppo brusco potrebbe dar luogo, come si vedrà in quanto segue, a una recessione dell’attività se non addirittura a una depressione. 

Non tutte le categorie sociali saranno tuttavia afflitte nello stesso modo in tale caso. Perdite di impiego e di redditi ed aumento dei prezzi a seguito dei più alti costi della transizione daranno luogo a una redistribuzione dei redditi e a un effetto regressivo sul sistema delle preferenze a detrimento della domanda dei nuovi beni e dei servizi più costosi. 

Contrastare tali effetti, attraverso ad esempio diminuzioni dei prezzi o sovvenzioni all’acquisto di certi beni per alcune fasce della popolazione, potrebbe dar luogo alla lunga a un disequilibrio dei conti pubblici e non condurrebbe in ogni caso ad aumenti dei redditi bassi tali da tonificare la domanda dei nuovi beni necessari a sostenere la fattibilità del tentativo di transizione in atto.  

Oltre ai problemi di carattere sociale menzionati una transizione energetica potrebbe avere poi anche l’effetto di una destabilizzazione dell’insieme del sistema finanziario. Una ri-orientazione dei flussi di risorse finanziarie alla base di una riorganizzazione dei sistemi produttivi, che richiede gradualità per avere successo, se condotta invece maldestramente, sulla base di fluttuazioni eccessive dei prezzi in particolare delle attività delle imprese operanti nei settori del carbone, del petrolio, della metallurgia e simili, potrebbe dar luogo a segnali contrastanti con effetti che danneggiano invece che favorire la fattibilità della transizione intrapresa.

Come è il caso in cui una forte domanda di energie fossili a fronte di una caduta dell’offerta a seguito di una diminuzione iniziale di investimenti attirati da nuovi impieghi, dia luogo a un aumento dei prezzi delle energie stesse che induca le imprese produttrici a frenare il loro ri-posizionamento verso la produzione delle nuove energie. 

La prospettiva teorica adottata, e in particolare la considerazione o meno del ruolo essenziale del tempo nei processi economici, condiziona fortemente l’elaborazione delle politiche economiche rilevanti ai fini del successo di mutamenti strutturali del funzionamento dei sistemi economici. In tale luce si consideri il noto dibattito se l’organizzazione dei sistemi produttivi debba adattarsi velocemente e brutalmente, o al contrario gradualmente e progressivamente, a un nuovo contesto perseguito.

Nel caso della transizione verso economie pianificate negli anni trenta del secolo scorso, o della transizione dalle economie amministrate verso le economie di mercato negli anni novanta, sono state adottate delle terapie di choc. In entrambi i casi ciò ha comportato una significativa distruzione di risorse fisiche ed umane.

L’idea sottostante, come poi configurato dal cosiddetto teorema dell’autostrada di Von Neumann, è la convinzione che i sacrifici immediati permettano all’economia di imboccare una strada più veloce, più che compensando con maggiori e più rapidi guadagni le perdite derivanti dalle ampie distruzioni collegate ai mutamenti strutturali intrapresi.

La realizzazione di un’azione rapida e ordinata, fortemente condizionata nel caso di una transizione energetica da un cambiamento delle normative, compresa la tassazione, si basa implicitamente su un principio di ottimizzazione intertemporale che richiederebbe che gli attori della transizione abbiano la possibilità di prendere in considerazione, nei loro calcoli iniziali, le perdite attuali e i guadagni futuri.

L’esistenza di un tale equilibrio presuppone però che questi stessi attori, in particolare gli imprenditori, siano in grado di formulare anticipazioni affidabili, se non razionali, a fronte di una radicale incertezza sull’evolvere delle tecnologie lungo il percorso della loro realizzazione, e sul conseguente formarsi delle preferenze degli attori coinvolti. Il riferimento ad un equilibrio intertemporale fra domanda ed offerta da cui dipende la fattibilità di un processo di cambiamento ha evidentemente poco senso nel caso di trasformazioni strutturali caratterizzate da incertezza e irreversibilità.

Ciò è possibile solo in un approccio analitico quale quello dominante che, si ripete, vede il contesto considerato come uno stato dell’economia, e il tempo come un dato al pari degli altri dati che definiscono ex ante lo stato stesso, e non come l’ambito nel corso del quale costruire la coerenza necessaria fra passi successivi di un processo che solo così potrà concludersi assumendo e definendo caratteristiche incerte all’inizio del processo stesso. 

La traiettoria intrapresa dall’industria automobilistica è, a questo proposito, emblematica. La sostituzione del veicolo a combustione interna con il veicolo elettrico, decisa da una normativa a livello europeo, dovrà avvenire in un arco di tempo breve (poco più di un decennio). Questa decisione pubblica impone alle aziende una data scelta tecnologica, che elimina un’incertezza ma chiude anche la strada a scelte tecnologiche alternative che potrebbero emergere e rivelarsi nel corso di un processo in atto. 

Una decisione che peraltro non tiene conto del tempo necessario per costruire nuove capacità di produzione di energia elettrica, per formare decine di migliaia di dipendenti in nuove professioni, e per costruire le infrastrutture a supporto della nuova modalità di trasporto automobilistico.

E ancora e sopratutto, non tiene conto delle condizioni in cui prevarranno le nuove preferenze dei consumatori e quindi le condizioni della domanda. La velocità dei cambiamenti industriali renderà infatti rapidamente obsolete le attrezzature e le qualifiche in una serie di attività (subappalto, manutenzione, riparazione), creando sacche di disoccupazione che potranno essere assorbite solo gradualmente, e se nel contempo verranno messe in campo risorse formative e finanziarie adeguate.

Il vero problema che si pone non è pertanto quello di adattare l’economia ad una tecnologia e a preferenze note, quanto quello di identificare le condizioni di fattibilità della costruzione di nuove tecnologie e nuove preferenze in un contesto caratterizzato dall’incertezza e dall’irreversibilità delle decisioni di investimento e di consumo. E a tale proposito, si è già detto, appare essenziale il coordinamento intertemporale fra domanda ed offerta lungo lo svolgersi nel tempo del processo in atto onde evitare il suo collasso per via. 

Un’ultima considerazione. Il riferimento all’ambiente, come è noto, è al cuore del cambiamento definito come transizione ecologica.  Nella visione analitica predominante, in cui il problema del cambiamento è interpretato come una scelta fra alternative date e comparabili, l’ambiente appare come un vincolo per qualsiasi attività economica, e quindi come un dato di cui tener conto nelle decisioni da prendere. E in questa luce l’economia ambientale si pone in particolare l’obiettivo di preservare l’ambiente in quanto risorsa scarsa.

Ma se invece, come qui sostenuto, il cambiamento è visto come lo svolgersi nel tempo di un processo caratterizzato da una sequenza in cui i vincoli esistenti danno luogo a decisioni che modificheranno i vincoli stessi, e così via passo dopo passo, conducendo gradualmente, ove il cambiamento abbia successo, alla costruzione di nuovi processi produttivi, alla creazione di nuove risorse rese specifiche ai processi stessi e di nuove tecnologie, anche l’ambiente verrà necessariamente interiorizzato gradualmente, facendo scomparire i confini fra ambiente e strutture produttive e ricreandone di nuovi in continuazione.

Ponendo in tal modo alla analisi economica della transizione ecologica non solo le interazioni fra i problemi economici e quelli sociali ma anche quelli tra questi e i problemi ambientali.

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