Sull’economia etica e di condivisione

Affinché l’economia etica e di condivisione cresca è necessario diffondere la consapevolezza dell’urgenza di un’azione comune.

Autore

Francesca Forno

Data

23 Gennaio 2023

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4' di lettura

DATA

23 Gennaio 2023

ARGOMENTO

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Si sente sempre più spesso parlare di economia etica, solidale, responsabile, circolare, di condivisione e quando gli aggettivi abbondano per qualificare una attività umana è chiaramente il segno che qualcosa non va. E infatti ogni giorno qualcosa o qualcuno ci ricorda che il nostro modo di fare economia, ovvero di produrre, vendere, distribuire, acquistare, consumare non è sostenibile. 

Tutti questi aggettivi servono d’altronde a definire una economia diversa da quella attuale e che molti denunciano rispondere alle sole logiche del profitto. L’economia, si dice, deve recuperare uno sguardo complessivo in termini di benefici e quindi essere orientata verso l’attenzione alla sostenibilità ambientale e alla giustizia sociale, ripensando il rapporto con il territorio e con la natura. 

Negli ultimi anni, anche nel nostro paese, hanno preso vita molte esperienze di cosiddetta ‘altra economia’. Ne rappresentano alcuni esempi le organizzazioni, i negozi e le cooperative equo e solidali, gli ecovillaggi, le transition towns, le banche del tempo, i gruppi di acquisto solidali, le reti di economia sociale e solidale, le comunità di supporto all’agricoltura ecc.

Tratti fondamentali di queste esperienze sono il ripensare le azioni quotidiane con l’obiettivo di trasformare i processi decisionali e di scambio, creando nuovi legami di solidarietà tra le persone e le persone e il loro ambiente. Si tratta di esperienze spesso definite prefigurative, in quanto alla contestazione di un modello di vita, di produzione e di consumo fondato su un sistema di relazioni ritenute inique e dannose, uniscono la sperimentazione di alternative che ne prefigurano il superamento. 

Sebbene diverse tra loro, queste esperienze hanno alcuni tratti fondamentali in comune:

  • La critica verso il consumismo che viene ritenuto corresponsabile di ingiustizie sociali e ambientali;
  • La critica verso la produzione industriale di massa che standardizza i prodotti e riduce le competenze;
  • Il contrasto dell’individualismo e alla disgregazione dei legami sociali;
  • L’opposizione a forme di scambio non rispettose dei diritti dell’ambiente e delle persone.

Oltre ad aver aiutato ad accrescere l’attenzione e sensibilità dei cittadini verso i temi della sostenibilità ambientale e sociale, queste esperienze hanno anche contribuito a diffondere l’idea che per vivere in una società più equa e sostenibile sia necessario riorganizzare la trama degli scambi e dei rapporti sociali costruendo nuove infrastrutture capaci di riconnettere produzione e consumo. 

È sufficiente pensare a come negli ultimi anni grazie ai nuovi movimenti del cibo stia cambiando l’idea di qualità di ciò che mettiamo sulle nostre tavole e alle importanti ricadute che scelte sempre più informate e consapevoli, rispetto alla provenienza e alle modalità di produzione, stanno avendo per le economie dei piccoli agricoltori, sempre più riconosciuti come i custodi della biodiversità, della conservazione dei territori e fertilità dei suoli.

I gruppi di acquisto solidali, mercati del contadino, negozi e piattaforme online per la vendita e acquisto di prodotti biologici e del territorio hanno cioè non solo influenzato il nostro modo di pensare, ma hanno costruito circuiti economici nuovi alternativi alla grande distribuzione organizzata, ampliando così la possibilità di scelta dei cittadini-consumatori e rendendo la sostenibilità più ‘praticabile’.  

D’altronde, il mito dell’homo oeconomicus, vale a dire l’individuo razionale capace di prendere decisioni ottimali ragionando in termini di qualità/prezzo, per decenni ci ha disabituato a riflettere sull’utilità dei beni prodotti e consumati e, quel che è peggio, sul loro reale costo ambientale e sociale.

Così ci siamo circondati di beni molto spesso inutili, perdendo al contempo le nostre capacità ad esempio di farci le cose da soli (cucinare, riparare …). È a questo modello che oggi si contrappone una economia che si basa sulla capacità di ricostruire legami tra le persone e tra le persone e il loro ambiente, condividendo e riacquistando abilità. 

Da questo punto di vista, alcune buone notizie ci arrivano dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio OCIS sul consumo responsabile in Italia che conferma come vi sia oggi una diffusa consapevolezza sull’importanza che le scelte quotidiane hanno sulla sostenibilità sociale e ambientale delle nostre società. Se questo è vero, nello stesso rapporto, si evidenzia però anche come sia difficile combinare le diverse forme di consumo responsabile in veri e propri stili di vita.

Pertanto, sotto questo profilo, molto ancora si può fare, come ad esempio rafforzare le reti tra i soggetti che promuovono consumo e produzione responsabile e che agiscono in uno stesso territorio. Di centrale importanza appare inoltre anche il ruolo delle istituzioni, a partire dalle amministrazioni locali, che possono adottare appropriati strumenti di sostegno alla produzione e consumo responsabile.

Affinché l’economia etica e di condivisione cresca ulteriormente, è necessario che si diffonda in modo ancora più consistente la consapevolezza dell’urgenza di un’azione comune e che si ripensi il modo in cui organizziamo le nostre vite, riconoscendo che una società che prende e getta, senza chiedersi da dove arriva quel che prende e dove va quel che getta, attirata dal sempre più nuovo e dal prezzo sempre più basso, è una società che non apprezza più la qualità e che perde il senso della sua storia e la capacità di pensare e costruire futuro.

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