Sebbene sia indubbio che l’arte contemporanea, complice il contesto odierno in cui i mezzi di comunicazione di massa — ancora intrisi di logiche postmoderne — giocano un ruolo centrale, goda oggi di una considerazione ben maggiore rispetto al passato, è altrettanto evidente come essa, o almeno alcune sue espressioni, continui a suscitare dubbi e contestazioni.
Le ragioni di tale perplessità sono molteplici, e qui ne prenderò in esame solo alcune, a partire dall’interrogativo fondamentale: che cos’è l’arte? Un quesito a cui, va premesso, è impossibile fornire una risposta definitiva — e proprio da questa impossibilità discende ogni altra riflessione. Si tratta di una domanda in sé instabile, soggetta a continue revisioni, poiché formulata in un mondo provvisorio, in una ‘società liquida’ (Bauman) dove le certezze si dissolvono e i punti fermi si fanno mobili.
Questa incertezza la percepiamo anche nel momento in cui poniamo la domanda agli stessi artisti, i quali spesso rispondono che è proprio il non sapere cosa sia l’arte a costituire la spinta, la molla che li induce a continuare a creare. L’arte, allora, non è una risposta già data, ma una risposta sempre rimandata, che si proietta verso l’opera successiva, verso ‘quella che farò’. L’opera che ancora non esiste, ma che potenzialmente verrà, ci conduce a definire l’arte come la disciplina del forse, del dubbio permanente.
Non troviamo una risposta alla domanda ‘cos’è l’arte’, perché è l’arte stessa a essere una domanda — e una domanda che ne pone altre al mondo. Questo accade perché l’arte non è mai una rappresentazione didascalica, ma un interrogativo sull’esistenza e sul senso del mondo. Come affermava Alighiero Boetti in una sua celebre opera, l’arte è «mettere al mondo il mondo». Una frase che, se ce ne fosse bisogno, ribadisce come l’arte sia innanzitutto creazione e non produzione, creazione e non invenzione — termini, questi ultimi, che appartengono piuttosto alla scienza e alla tecnica.
Eppure, anche scienza e tecnica, quando si pongono al servizio della creazione e non della mera replicazione, possono diventare arte. In epoche passate, non esisteva un termine corrispondente all’attuale idea di ‘arte’: si utilizzava invece la parola ‘tecnica’. Per i Greci, téchne significava saper fare bene le cose. Fino all’avvento dell’arte moderna duchampiana, l’arte coincideva con la capacità di realizzare qualcosa meglio di altri, e tale concezione si estendeva a diversi ambiti del sapere. Non a caso, ancora oggi si dice, ad esempio, che Maradona non fosse soltanto un calciatore, ma un artista del pallone.
Oggi, invece, si tende ad affermare che l’arte contemporanea sia distante dalla realtà, e che proprio per questo non possa essere considerata arte, o comunque sia difficile da comprendere.
Nulla di più vero — e allo stesso tempo di più falso — se pensiamo, restando nell’antica Grecia, che un pensatore come Platone avversava l’arte a lui contemporanea, accusandola di essere ingannevole e illusoria. Potremmo dire, ancora una volta, nihil sub sole novum: proprio grazie a questa condizione di dubbio costitutivo, l’arte è sempre stata — e continua a essere — un terreno di discussione.
Anche l’arte del passato, oggi considerata patrimonio condiviso e apparentemente universale, fu a suo tempo osteggiata, censurata, incompresa. Basti pensare alle lotte iconoclaste, durante le quali intere fazioni si adoperarono per distruggere le immagini sacre del proprio tempo e tempio — immagini che oggi riconosciamo come opere d’arte.
Un altro esempio emblematico è quello di Paolo Veronese, che alla fine del XVI secolo rischiò la condanna a morte per aver dipinto una versione dell’Ultima Cena ritenuta irriverente, poi ribattezzata Convito in casa di Levi, oggi celebrata a livello internazionale. Analogamente, molte opere di Caravaggio — oggi tra i pittori più celebrati — furono inizialmente rifiutate. Il suo caso, tuttavia, si presta maggiormente a una narrazione romanzata, anche grazie alla sua biografia turbolenta e alla resa pittorica particolarmente incisiva, che secondo Jacques Derrida si inserisce in un’estetica ormai ‘fotologica’, tipica della nostra epoca.
A ben vedere, dal punto di vista storico-artistico, ci allarma forse di più la persecuzione subita da Veronese, accusato per una scena sacra giudicata offensiva a causa della presenza di nani, buffoni, cortigiani e animali, che non quella di Caravaggio, il quale fu perseguito dalla giustizia non per motivi artistici, ma per aver ucciso in duello l’artista Ranuccio Tomassoni — un delitto punito penalmente.
Tutto questo ci mostra come l’arte contemporanea, compresa o meno, sia sempre contemporanea a sé stessa: non solo una questione del passato, ma una dimensione che si rinnova costantemente. E proprio oggi, in un mondo in cui apparentemente tutto è permesso, le opere d’arte continuano a essere oggetto di contestazioni e fraintendimenti. Alcuni artisti, come Maurizio Cattelan, hanno fatto della messa in discussione dell’arte la propria cifra poetica.
Per molti, soprattutto oggi, l’arte contemporanea non è percepita come vera arte. Questo giudizio si fa ancora più netto quando essa si fonda sulla provocazione. Tuttavia, la provocazione, nell’arte, non è mai fine a sé stessa: è un dispositivo che agisce sul linguaggio per decostruirlo, rinnovarlo e aprire nuove possibilità espressive. In questo processo, gli artisti riconoscono dignità a ciò che solitamente ne è privo, attribuendo cittadinanza a forme, oggetti e idee marginali. Comprendere questo meccanismo significa cogliere come, in modo speculare, l’arte rifletta la società e la sua evoluzione. Oggi più che mai, in un contesto dominato da una comunicazione anestetizzata, la provocazione diventa necessaria: le opere provocatorie hanno il compito di scuoterci, risvegliarci, restituirci una consapevolezza critica e viva.
Quando ad esempio si dice che l’opera Comedian, sempre di Cattelan, non è arte, si afferma indirettamente che si sta parlando di arte. Quest’opera ha suscitato dibattito sin dalla sua comparsa, e continua ancora oggi a far discutere. Tanto i suoi sostenitori quanto i detrattori l’hanno sempre considerata – nel bene o nel male – un’opera (o una non-opera) d’arte. Cosa vuol dire tutto questo?
In fondo, ciò significa che tutti stiamo discutendo se si tratti o meno di un’opera d’arte, e questo stesso dibattito ne sancisce l’identità artistica, che piaccia o no. Significa infrangere il muro della comunicazione e spingerla su un piano più alto. Non si tratta, tuttavia, di una novità assoluta: meccanismi simili hanno sempre accompagnato l’arte. Restando nel campo dell’arte contemporanea, è utile ricordare come già Picasso e Duchamp attivassero dinamiche analoghe. Ai loro esordi, i detrattori di Picasso affermavano che anche un bambino avrebbe potuto fare le sue opere, o che «lo potevo fare anch’io».
Al contrario, di fronte a lavori come Fontana (1917) di Duchamp – un orinatoio ruotato di 90 gradi e posto su una base da scultura – molti sostenevano che non potesse essere considerata arte. Ma proprio queste reazioni confermano l’efficacia del gesto artistico: Picasso mirava a esaltare il fare, mentre Duchamp, con i suoi ready-made, non intendeva evidenziare l’abilità esecutiva, bensì interrogare il significato stesso dell’oggetto e, più radicalmente, se esso potesse o meno essere considerato arte. Una riflessione che prosegue ancora oggi attraverso le provocazioni di artisti come Maurizio Cattelan.
Oggi ci troviamo di fronte a un’ulteriore svolta: l’ingresso in scena della cosiddetta Intelligenza Artificiale, capace di scrivere romanzi, generare immagini e produrre opere che si presentano come espressioni artistiche. Ciò riaccende l’antico interrogativo: ciò che l’IA crea è davvero letteratura, arte, o è qualcosa d’altro?
Tuttavia, dal punto di vista del significato dell’arte, non sembra ancora essere cambiato molto. Siamo ancora noi, esseri umani, ad avere l’ultima parola nel decidere se quanto prodotto dall’IA possa essere considerato arte, letteratura o nulla di tutto ciò. In questo senso, le ‘opere’ generate dall’intelligenza artificiale possono essere ricondotte alla tradizione del ready-made, del già fatto, inaugurata da Duchamp.
Da questa prospettiva, nulla di veramente nuovo sotto il sole. Le cose cambieranno in modo sostanziale solo nel momento in cui sarà l’intelligenza artificiale stessa a decidere se ciò che ha creato sia arte o meno. Fino ad allora, l’arte resterà – come sempre – una sconosciuta.