Philippe Descola (1949) è, ad oggi, uno degli antropologi più influenti a livello internazionale. Allievo di Claude Lévi-Strauss (1908-2009), nonché suo erede al Collège de France, Descola ha proseguito il percorso teoretico del maestro allacciandolo sapientemente alle questioni epistemologiche dibattute dall’antropologia contemporanea. L’antropologia levistraussiana prendeva le mosse dalla distinzione tra natura e cultura. Nel suo classico Le strutture elementari della parentela si legge: «Poniamo dunque che tutto ciò che è universale, presso l’uomo, appartiene all’ordine della natura ed è caratterizzato dalla spontaneità, e che tutto ciò che è assoggettato ad una norma appartiene alla cultura e presenta gli attributi del relativo e del particolare1».
Dato questo quadro dualista, l’antropologo passava a identificare il luogo che, distinguendoli, congiungerebbe i due regni: la proibizione dell’incesto. Si tratta di una norma, ovvero una regola istituita; eppure è universale, e dunque riscontrabile presso ogni gruppo umano. Presente ovunque, eppure ogni volta in forme differenti, la proibizione dell’incesto rappresenterebbe dunque, nell’edificio teorico levistraussiano, il punto di passaggio – logico prima che storico – dalla natura alla cultura, e dunque la matrice dell’umanità.
Il volume in cui Descola ha condensato i risultati delle sue ricerche reca un titolo che funge da manifesto per la sua traiettoria intellettuale: Oltre natura e cultura2. L’opera traccia un sentiero capace di generare una sintesi tra il rigido dualismo del maestro e l’esigenza, manifestata a gran voce da una fitta schiera di antropologi contemporanei, di superare la metafisica bipartita che ha caratterizzato la storia dell’Occidente moderno. Recuperando i fili della lunga ricerca di campo condotta in gioventù presso di Achuar dell’alta Amazzonia ecuadoriana, il volume prende le mosse da una constatazione etnografica: a quelle coordinate, la distinzione tra natura e cultura pare impossibile da applicare fruttuosamente. Per l’etnografo è complicato confinare la propria analisi alla dimensione sociale di quei gruppi: immersi nella foresta, conducono una vita che si mescola da cima a fondo a quella degli altri esseri che l’abitano. Al tempo stesso, la realtà di vita degli Achuar contraddice il determinismo ecologico in voga, all’epoca dell’etnografia di Descola, soprattutto tra gli antropologi statunitensi, che riduceva le strutture sociali a riflesso dei dintorni ambientali a cui si erano adattate. Alla fine degli anni Settanta, quando Descola li incontrava, i gruppi Achuar vivevano distribuiti tra due ambienti differenti: le valli alluvionali dei grandi fiumi e le piccole colline della zona interfluviale. Eppure, la loro organizzazione sociale non rifletteva la differenza tra i due ecosistemi e non appariva dunque determinata da condizioni adattive imposte dall’ambiente. Insomma, gli Achuar erano tutt’altro che schiavi delle circostanze ecologiche.
Quella sviluppata da Descola in contrapposizione al determinismo ambientale è un’ ‘ecologia simbolica’ che, mentre rifiuta di derivare rigidamente le forme culturale dai vincoli naturali, si differenzia dagli approcci idealisti che riducono la natura a oggetto di un’azione umana trascendente. A volerla riassumere, la lezione di Oltre natura e cultura recita così: la diversità umana non è spiegabile facendo riferimento a culture differenti che si stagliano sull’uniformità della natura, dando forme diverse e particolari a un sostrato comune e universale. La prassi umana, invece, è strutturata da vere e proprie ‘ontologie’ differenti. Con il termine ‘ontologia’ Descola fa riferimento a schemi cognitivi appresi mediante i quali gli esseri umani attribuiscono alle altre entità con cui condividono il mondo continuità e discontinuità sul piano dell’ ‘interiorità’ (anima, spirito, capacità cognitive, intenzionalità, etc.) e della ‘fisicità’ (forme, fattezze, tessuti, sembianze, etc.) rispetto a sé.
Per esempio, gli Achuar da lui studiati, ‘animisti’ secondo la classificazione, organizzano i rapporti con piante e animali estendendo a queste entità – che noi diremmo ‘naturali’ – le norme che regolano le relazioni con i parenti. E in effetti molti miti amerindiani descrivono le metamorfosi che avrebbero condotto un’umanità a differenziarsi nelle forme che oggi distinguono le specie. Animali e piante, veri e propri ‘umani travestiti’3, manterrebbero – secondo quanto testimoniato tanto dalla mitologia quanto dalla prassi di molti popoli amerindi – un’interiorità umana: «Sono quindi persone, rivestite di un corpo animale o vegetale di cui a volte si spogliano per condurre una vita collettiva analoga a quella degli umani: i Makuna, per esempio, dicono che i tapiri si tingono con Tachiote prima di danzare e che i pecari suonano il corno durante i loro rituali, mentre i Wari pretendono che il pecari faccia la birra di mais e che il giaguaro riporti a casa la preda affinché la sua sposa la cucini»4. I ‘naturalisti’, invece, come noi Occidentali, operano sulla base di identificazioni specularmente inverse a quelle animiste: continuità con gli esseri ‘naturali’ sul piano della fisicità (una medesima storia evolutiva che ci accomuna tutti) e discontinuità dal punto di vista dell’interiorità (una chiara gerarchizzazione delle facoltà cognitive). L’ontologia naturalista, insomma, si fonda su una rigida distinzione tra natura e cultura.
Non è questo il luogo per inoltrarsi nelle altre due ontologie della matrice quadripartita disegnata da Descola, ovvero il ‘totemismo’ e l’ ‘analogismo’. Ciò che importa di questa breve escursione nel pensiero dell’autore è il principio secondo cui a caratterizzare la diversità e sostenere la struttura delle organizzazioni umane sarebbero le differenti maniere di predicare le qualità delle entità non-umane. Da questo piano originario, poi, discenderebbe tutto il resto. Se confrontato con le ambizioni speculative di Eduardo Viveiros de Castro o con il lavoro metafisico intrapreso da Bruno Latour, nel panorama teorico della cosiddetta ‘svolta ontologica’ 5 dell’antropologia contemporanea Descola si colloca tra i moderati, proponendo una riconfigurazione più che un superamento della dicotomia natura/cultura. Il suo edificio concettuale, infatti, rimane marcatamente dualista: per quanto egli rifiuti l’eredità cartesiana, la diade fisicità/interiorità sembra, se non la ricalca, quanto meno proseguirne l’opera con altri mezzi. Dal punto di vista politico, tuttavia, Descola ha difeso posizioni decisamente più radicali di quelle sostenute in ambito teorico. In anni recenti, rispolverando un ethos militante che in gioventù lo aveva portato a partecipare attivamente alla politica extraparlamentare, in più occasioni Descola ha preso le difese dei movimenti sociali ecologisti. Nel contesto politico della Francia contemporanea, caratterizzato – in linea con lo scenario europeo più in generale – da un conflitto sociale in forte inasprimento e da un governo ormai votato a una gestione sempre più autoritaria del potere, Descola ha preso parola fermamente contro la criminalizzazione del dissenso, la repressione dei movimenti sociali e l’immobilità climatica del governo di Macron. Recentemente, in particolare, si è espresso in sostegno del movimento Les soulevements de la terre, nato nel 2021 per coordinare l’attività di gruppi e militanti sparsi per tutto il Paese, ottenendo un ampio sostegno nella popolazione francese. Le azioni dei Soulevements de la terre6 hanno preso la forma di manifestazioni, disobbedienza civile e sabotaggio finalizzati a combattere l’impiego di combustibili fossili, il consumo del suolo e politiche destinate ad aggravare gli effetti già manifesti del riscaldamento globale. Soprattutto in seguito ai recenti periodi di siccità, le azioni del movimento si sono concentrate sul contrasto alla costruzione di grandi bacini idrici e alle politiche di privatizzazione dell’acqua destinate a favorire le grandi imprese agricole. Accusato di ‘ecoterrorismo’ dal ministro degli interni Gérald Darmanin, però, il movimento è stato sciolto dal governo nel giugno 2023. L’azione è stata contestata da molti in Francia, e indicata come segno di un ulteriore inasprimento della repressione contro le lotte ecologiste. In un energico testo dall’evocativo titolo di Je suis Les Soulèvements de la Terre, Descola ha voluto rivendicare la propria complicità morale con un movimento ingiustamente criminalizzato.
Ma il coinvolgimento di Descola nelle lotte sociali di questi ultimi anni è stato più organico e sostanziale di una semplice presa di posizione occasionale su un quotidiano. È in particolare all’esperienza della ZAD di Notre Dame des Landes che l’antropologo ha legato il proprio nome. Si tratta di un grande squat fondato nel 2008 in un sito destinato alla costruzione di un grande aeroporto nel nord-ovest della Francia, vicino a Nantes. Il progetto fu contestato sin dal suo annuncio negli anni ’60, ma è con l’occupazione del 2008 che l’area fu denominata zone à défendre (zona da difendere). L’istituzione della ZAD e la radicalizzazione della lotta hanno portato il governo a cedere: il progetto dell’aeroporto è stato abbandonato. Nel frattempo, l’area si è tramutata in un laboratorio pratico e intellettuale dell’ecologia politica francese ed europea. Descola si è molto speso in sostegno di questa esperienza, intrattenendo un dialogo con gli abitanti della ZAD e tenendovi lezioni e conferenze. Se gli strumenti concettuali da lui creati hanno potuto ispirare l’immaginazione politica dei militanti, al tempo stesso il prestigioso antropologo del Collège de France ha riconosciuto negli zadisti preziosi interlocutori. Ironia della sorte: un autore che predica il primato solido della teoria sulla prassi, proponendo di spiegare le forme organizzative dei gruppi umani sulla base degli schemi cognitivi sottostanti, si cimenta in una prassi ben più rivoluzionaria delle sue teorie. La militanza ecologista, così, diventa cantiere ontologico di futuri possibili, laboratorio di mondi a venire da studiare proprio come quelli degli Achuar; un tentativo, in seno al naturalismo occidentale, di restituire a una ‘Natura’ troppo a lungo considerata come materiale inerte a disposizione dell’umano tenore e consistenza politici. Uno slogan degli zadisti lascia intravvedere una venatura di animismo politico che si fa strada nella contemporaneità politica europea: «siamo la natura che si ribella!»
Note
- C. Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, Feltrinelli, Milano, 1984, pp. 46-47.
- P. Descola, Oltre natura e cultura, Raffaello Cortina, Milano, 2021.
- P. Descola, Oltre natura e cultura, cit., p. 151.
- Ivi, p. 154.
- R. Brigati e V. Gamberi (a cura di), Metamorfosi. La svolta ontologica in antropologia, Quodlibet, Macerata, 2019.
- https://www.nouvelobs.com/opinions/20230415.OBS72198/je-suis-les-soulevements-de-la-terre-par-philippe-descola.html.