«…non c’è mai momento inopportuno per lavorare seriamente»
Spesso l’inquietudine della creazione e dell’agitazione socio-culturale (in questo caso preciso) è dipinta come un vulcano in eruzione, magmaticamente operoso senza posa; ovvero un sole che tramonta, elargendo generoso i suoi saperi, quando i suoi raggi sono più orizzontali e diffusi.
CI troviamo nell’uscio tra il diciannovesimo e ventesimo secolo, compasso spaziotemporale particolarmente fertile, ci sembra, dacché ha visto agire e pensare plurimi spiriti indocili, che hanno infiammato il panorama europeo in pochi anni, e come fiamma si sono poi bruciati dopo poco tempo. Basti ricordare il povero Carlo Michelstädter, forse ancora non del tutto compreso, di cui abbiamo già brevemente parlato in un episodio precedente, che trovate qui.
Coevo del filosofo suicida è altresì Piero (o Pietro) Gobetti, protagonista di questa nuova Orma, figlio del nord-ovest, nato tra i primi vagiti dell’ultimo secolo del secondo millennio.
Quale sigillo di precocità esibisce, con sprezzatura pregevole, venature di attivismo e lucida analitica del panorama sociopolitico di quegli anni da apprezzare e studiare. Sembra che alcune persone, preconizzando una fine violenta e anticipata, vogliano sfidare la vita in una gara di velocità. Bruciando tappe ed energie.
In fondo, di inquietudine fruttuosa e forza tragica parla lo stesso Gobetti, quando vergherà una veloce autobiografia, guardandosi indietro, chino sui banchi di scuola.
Quella scuola ch’egli divora, anticipando di un anno l’esame di maturità, per poter partire volontario verso i fronti della prima guerra mondiale.
O quando, appena maggiorenne, fonda una delle riviste politico-culturali più segnanti dell’epoca – di stampo liberale (da Croce a Gentile) – che intitolerà sublimemente Energie Nove. Una chiamata giovanile alle armi della spiritualità e della creatività, per combattere la “gretta cultura” del suo tempo…
Con le sue, di energie, in primis, e quelle di una nuova generazione che, secondo Piero, aveva il compito, la necessità, quasi un imperativo categorico morale di far compiere finalmente il grande passo all’Italia: da «grande proletaria», come miseramente (ma non senza un fondo di verità) la definì Pascoli nel 1911, a bandiera della rivoluzione socialista e liberale nei lembi della classe dirigente dello Stato. Proprio questo connubio particolarissimo è la cifra personale della visione politica di Gobetti. “Un matrimonio che non s’ha da fare”, almeno fino agli sgoccioli del ‘900…
La guerra di Piero continua senza sosta, e s’inasprisce quando Mussolini sale sul palcoscenico della storia, accompagnato e acclamato dai suoi sgherri criminali: tra divulgazione, attivismo e nuove riviste il Gobetti – già cagionevole di natura – viene spesso percosso con patriottico vigore dai nugoli fascisti che sempre più ammorbano e insozzano le strade dello Stivale. La motivazione? Sedizione per mezzo delle suddette riviste – che per il regime sono a tutti gli effetti dei pericolosi strumenti di ribellione sociale.
Uno di questi scontri risulterà ferale, causando scompensi cardiaci che lo condurranno, di lì a poco, alla morte. Prima di esalare l’ultimo respiro, Gobetti e la moglie Ada riusciranno però a creare nuova vita: il figlio Paolo sarà partigiano, e altresì proficuo regista e giornalista culturale.
L’ultimo viaggio per Parigi, all’alba del 1926, viene salutato da Montale, alla stazione di Genova. Poco dopo, a soli 25 anni, si ammala di bronchite. E non guarirà più.
Capitando per la capitale francese potete trovarlo ancora, in un angolo del cimitero Père-Lachaise: sembra riposare, ma le sue Energie Nove non smettono di vibrare.
Il vulcano è ancora in azione; è questo encomio ne è un esempio.