In questa rubrica Orme narriamo i giovani eroici furori del passato che, con la potenza dei ‘multiformi ingegni’ e la vigoria della passione, hanno lasciato un segno indelebile sulla tela della Storia del mondo. Non poteva mancare, dunque, uno studioso italiano che poco ha vissuto ma tanto ha ragionato sui temi della lingua e della retorica nella filosofia moderna.
Stiamo parlando di Carlo Michelstädter, uno spirito indocile, inquieto, irrequieto. Forse, anche per questo, un po’ dimenticato, obliato dalla cronaca culturale mainstream, dalle rigide antologie per le scuole e dalla polverosa tradizione filosofica italiana. Carlo Raimondo Michelstädter, italiano di origine ebraica, nasce a Gorizia nel 1887 e 23 anni più tardi muore, per sua mano, con un colpo di pistola, nella sua stanza romita, solo e incompreso dagli affetti familiari.
Nella sua tesi di laurea, l’unico testo (insieme ad alcune poesie e discorsi) che possediamo, magniloquentemente intitolata La Persuasione e la Rettorica, ci parla di un parricidio ancestrale. Quello compiuto da Aristotele ai danni di Platone – reo quest’ultimo, secondo lo stagirita, di essersi liberato del peso del mondo per librarsi verso il cielo; o meglio, verso l’iperuranio delle forme eterne – le idee. Aristotele, dunque, distrugge le ali di questo pensiero e riporta tutti quanti con i piedi ben saldi per terra.
La Rettorica parte proprio da questa violenza. E violentemente si contrappone alla Persuasione. Se infatti, per Michelstädter, la Rettorica è la linfa vitale oscura ed eterna della cultura occidentale, la piattaforma di ogni pensiero, la Persuasione è la verità ultima e autentica che, senza necessità di insegnamento, ogni essere umano sente dentro di sé almeno una volta nella vita.
Il suicidio di Michaelstadter, dunque, può essere visto come atto finale. Presa di coscienza del momento decisivo (il kairos dei greci antichi), di una disputa filosofica senza soluzione di continuità.
Michelstädter ha avuto il coraggio, a soli 20 anni, di rispondere al quesito fondamentale che porrà poi Camus con il suo Sisifo, o secoli prima Shakespeare con Amleto. Essere o non essere? È sempre questo il problema.