Si è alzato oggi il sipario a Baku, in Azerbaijan, sulla 29esima Conferenza delle Parti dell’UNFCCC: fino al 22 novembre i leader di 197 Paesi (più l’Unione europea), parte della Convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, discuteranno di cambiamento climatico e delle strategie per limitarlo.
Con una partecipazione prevista di circa 40mila delegati, il summit – già ribattezzato la ‘Cop della Finanza’ – si è aperto in un contesto internazionale segnato da conflitti e dalla rielezione negli Usa di Donald Trump, presidente da sempre scettico sulle tematiche ambientali, che nel corso della campagna elettorale ha dichiarato l’intenzione di lasciare nuovamente l’accordo sul clima di Parigi del 2015, come già avvenuto nel 2017 durante il suo primo mandato.
Inoltre, il vertice arriva a pochi giorni dalla diffusione dei nuovi dati dell’agenzia meteorologica dell’Unione Europea Copernicus Climate Change Service (C3S), secondo cui il 2024 sarà l’anno più caldo mai registrato, con una temperatura globale annuale pari a +1,55 gradi rispetto all’era pre-industriale (nel 2023 erano stati raggiunti 1,48 gradi). Seppur il verificarsi di singoli anni con una variazione di temperatura superiore alla soglia massima sancita dall’Accordo di Parigi del 2015 a COP21 non implichi che questa sia effettivamente superata (il dato infatti va calcolato come una media di periodo di 20-30 anni), l’eccedenza dell’aumento di temperatura oltre la soglia stabilita pone l’accento sull’aumento della probabilità di eccedere il limite concordato a Parigi.
A presiedere i lavori il presidente della COP29, Mukhtar Babayev, ministro dell’Ecologia e delle Risorse naturali – prima vicepresidente per l’ecologia della compagnia petrolifera di Stato Socar (State Oil Company of Azerbaijan Republic), dove ha sviluppato e supervisionato le azioni dell’azienda in materia di sostenibilità e ambiente -, assistito da Yalchin Rafiyev, Lead Negotiator e viceministro degli Esteri.
L’economia dell’Azerbaijan, repubblica nata dalle ceneri dall’Unione Sovietica nel 1991, è fortemente incentrata sul settore del gas e del petrolio, anche se nei mesi scorsi il governo ha annunciato un piano che prevede un incremento della capacità di energia rinnovabile al 30% entro il 2030, la diversificazione del mix energetico del Paese e una riduzione delle emissioni di gas serra del 40% entro il 2050.
I fatti salienti
La cerimonia di apertura
Ad aprire la Conferenza sono stati i discorsi del presidente della COP28 (Dubai – Emirati Arabi Uniti) Sultan Ahmed Al-Jaber e di Babayev. Al-Jaber ha sottolineato il significativo progresso nelle energie rinnovabili avvenuto nel 2023, un anno in cui la capacità globale di energia rinnovabile ha raggiunto un totale 3.870 Gigawatt (GW), +473GW (di cui il 69% dall’Asia) rispetto all’anno precedente. Inoltre, ha ricordato che 55 aziende – rappresentanti di oltre il 40% della produzione globale di combustibili fossili – hanno aderito alla Carta Globale per la Decarbonizzazione del settore petrolifero e del gas, adottata nel corso della COP28 per accelerare l’azione climatica. Le compagnie si sono impegnate per raggiungere le emissioni nette zero nelle operazioni entro il 2050, anche attraverso l’eliminazione della tecnica del flaring (la combustione controllata del metano emesso durante l’estrazione di combustibili fossili) entro il 2030.
Dopo essere stato formalmente nominato presidente della COP29, Babayev ha avvertito che «siamo sulla strada della rovina» e che «molte persone stanno soffrendo nell’ombra e stanno morendo nel buio». Ha sottolineato la necessità di un impegno collettivo da parte di tutti gli Stati e ha inoltre evidenziato i progressi fatti dai negoziatori verso il nuovo obiettivo di finanza per il clima post-2025, che dovrebbe essere finalizzato durante questa COP. Tra le questioni chiave discusse figurano l’adozione di un arco temporale di dieci anni, miglioramenti nella trasparenza e l’inclusione di criteri di ‘accesso’ per facilitare la partecipazione dei paesi più vulnerabili.
A prendere la parola è stato poi il Segretario Esecutivo delle Nazioni Unite per i Cambiamenti Climatici Simon Stiell, che ha difeso le COP come «l’unico posto che abbiamo» per «costringerci l’un l’altro ad agire» sulla crisi climatica e confermato che il negoziato delle Nazioni Unite sta funzionando: senza di esso, l’umanità si starebbe dirigendo verso un aumento delle temperature di 5 gradi. Ha inoltre sottolineato l’urgenza di finalizzare l’articolo 6 relativo ai mercati del carbonio, la necessità di stabilire indicatori chiari per monitorare i progressi nell’adattamento e ha ribadito l’importanza di riformare le strutture finanziarie internazionali, per supportare i paesi più vulnerabili.
Un difficile accordo sull’agenda
Primo obiettivo da raggiungere in ogni COP è quello dell’agenda. Quest’anno però un accordo è stato più difficile del solito. A più riprese è stata posticipata la sessione plenaria, prevista inizialmente in mattinata. Dopo i discorsi dei tre leader, infatti, la sessione di apertura è stata sospesa per dare il via a un negoziato a porte chiuse.
Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM)
Uno dei punti controversi dell’agenda riguarda la proposta degli Stati del gruppo BASIC (Brasile, Sudafrica, India e Cina) di introdurre nell’ordine del giorno una discussione sulle possibili conseguenze di alcune misure restrittive del commercio connesse al cambiamento climatico. In particolare, la proposta mirava a discutere l’impatto del meccanismo di aggiustamento transfrontaliero delle emissioni (Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) introdotto dal Green Deal Europeo. Tuttavia, l’Unione Europea si è opposta all’inserimento di questo tema nell’agenda.
Il CBAM, che è attualmente nella fase transitoria iniziale, ha suscitato preoccupazioni tra molti dei principali partner commerciali dell’UE, e in primis nella Cina, che già nel 2023 aveva cercato di utilizzare la COP come piattaforma per contrastare questa misura e aveva sollevato il tema presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), contestando il CBAM dell’UE e accusandolo di distorcere il commercio internazionale e di avere effetti negativi sulle economie emergenti. Critiche simili sono state sollevate anche al recente summit BRICS di ottobre 2024, che ha evidenziato una crescente opposizione alle misure unilaterali da parte del gruppo BASIC (Brasile, Sud Africa, India, Cina).
La Presidenza però non ha accolto questa richiesta, declassando il tema delle misure relative al commercio a oggetto di consultazioni informali sotto la presidenza della conferenza, con un output formale previsto al termine dei negoziati.
Global Stocktake (GST)
Un altro tema cruciale ha riguardato la collocazione delle voci negoziali relative al Global Stocktake (GST), approvato durante la COP28, all’interno dell’agenda dei lavori. Durante ogni COP, infatti, si tengono anche i CMP e CMA (rispettivamente i meeting per discutere dell’implementazione del Protocollo di Kyoto e dell’Accordo di Parigi) e gli SBI e SBSTA (gli incontri dei Subsidiary Bodies delle COP, che si occupano rispettivamente dell’implementazione degli accordi presi e dell’elaborazione delle informazioni scientifiche in vista delle negoziazioni). Alla plenaria di apertura vengono discusse le agende di tutte e cinque le riunioni, e il posizionamento delle tematiche appartenenti a diversi meeting all’interno delle agende influenza il modo in cui saranno discusse e i possibili risultati del processo negoziale.
Quest’anno in particolare, la collocazione delle voci negoziali relative al Dialogo EAU, all’interno di cui si situa il Global Stocktake, nell’agenda della CMA e del SBI ha sollevato importanti interrogativi sull’adeguatezza dell’inquadramento delle tematiche in discussione: nella CMA è trattato sotto la voce ‘finanza’, mentre nel SBI è collocato sotto l’area del bilancio, riflettendo i diversi posizionamenti dei gruppi negoziali. Alcuni Paesi, infatti, (tra cui, Cina, India e il Gruppo Africano) hanno proposto di focalizzarsi esclusivamente sugli aspetti finanziari del GST, in particolare sui trasferimenti di risorse dai Paesi avanzati a quelli in via di sviluppo. Le economie ad alto reddito (UE, Stati Uniti e Regno Unito), invece, hanno spinto per includere anche altri aspetti fondamentali della mitigazione, come il processo di transizione verso l’abbandono graduale dei combustibili fossili.
La situazione è stata risolta attraverso un compromesso: è stata introdotta una nota a margine nell’agenda, che chiarisce che la collocazione del tema sotto la voce ‘finanza’ non implica che il dibattito si limiti esclusivamente a questo aspetto. In altre parole, pur essendo elencato sotto la sezione della finanza climatica, il tema potrà comunque trattare una gamma più ampia di questioni, inclusi gli aspetti legati alla mitigazione e alla transizione dai combustibili fossili.
Articolo 6.4 dell’Accordo di Parigi
Infine, nella definizione dell’agenda era rimasto aperto il tema delle modalità di implementazione dell’Articolo 6.4 dell’Accordo di Parigi del 2015, che disciplina la creazione di un mercato globale del carbonio sotto la supervisione di un Organo di Supervisione delle Nazioni Unite. L’Articolo 6.4 mira a facilitare la riduzione delle emissioni attraverso un meccanismo internazionale di scambio dei crediti di carbonio, contribuendo così agli obiettivi climatici globali. Tuttavia, la recente decisione presa dal Supervisory Body durante il meeting dell’11 ottobre di adottare unilateralmente standard e regole metodologiche per questo meccanismo, senza un consenso formale da parte della COP, ha sollevato preoccupazioni significative sulla legittimità politica della decisione. Questo approccio è stato criticato per il suo carattere unilaterale, che esclude i governi dal processo decisionale, minando così la legittimità e la trasparenza del sistema. È stato inoltre evidenziato come l’inclusione di tecnologie come la cattura del carbonio e di approcci controversi alla ‘rimozione’ del carbonio potrebbe comportare rischi per i diritti delle popolazioni indigene e delle comunità vulnerabili, con effetti negativi sull’integrità sociale ed ecologica del meccanismo. A livello globale, questi standard rischiano di creare un precedente preoccupante per la governance ambientale internazionale, compromettendo la coesione e l’efficacia dell’Accordo di Parigi. Il pericolo che l’effettiva riduzione delle emissioni venga sostituita da meccanismi di compensazione poco affidabili potrebbe indebolire gli sforzi globali di mitigazione e la credibilità del processo negoziale multilaterale sul clima.
Per risolvere la situazione, è stata approvata una soluzione di compromesso: le deliberazioni del Supervisory Body durante quest’anno e le sue azioni di ottobre riguardanti gli standard sono state approvate, permettendo però alle Parti di fornire ulteriori linee guida per il pieno funzionamento del paragrafo 4. Pertanto, la decisione attuale sugli standard del meccanismo non rappresenterà la conclusione del lavoro sull’Articolo 6.4, lasciando alle Parti la possibilità di fornire indicazioni aggiuntive attraverso un apposito gruppo di contenuti. Il compromesso è stato accettato, seppur con riluttanza di molte parti, con l’auspicio che non crei un precedente per le prossime COP.
Le dichiarazioni più importanti
Le parole del segretario esecutivo dell’UNFCCC Simon Stiell durante la cerimonia di apertura. Stiell ha lanciato un accorato appello per una cooperazione globale urgente sui cambiamenti climatici: «Non dobbiamo permettere che il target di 1,5 gradi sfugga alla nostra portata. Anche se le temperature aumentano, l’attuazione dei nostri accordi deve farle tornare indietro», ha dichiarato Stiell. «Gli investimenti in energia pulita e infrastrutture raggiungeranno i 2.000 miliardi di dollari nel 2024, quasi il doppio rispetto ai combustibili fossili. Il passaggio alle energie pulite e alla resilienza climatica non si fermerà. Il nostro compito è quello di accelerare questo processo e fare in modo che i benefici siano condivisi da tutti i Paesi del mondo e dai loro popoli», ha concluso.
Mukhtar Babayev: «Ogni decimo di grado è importante». Il presidente di COP29 ha evidenziato come sia fondamentale agire adesso contro le crisi climatiche: «Ricordiamoci che ogni azione è importante. Ogni decimo di grado è importante. Ogni casa che perdiamo è un fallimento, ma ogni vita che salviamo è una vittoria».
L’inviato speciale americano per il clima, John Podesta: «Le nostre politiche sul clima non finiranno con Trump». Podesta ha commentato i risultati delle elezioni presidenziali e i possibili impatti sull’azione climatica statunitense: «Anche se l’amministrazione Trump metterà le politiche per il clima nel dimenticatoio, il lavoro per contenere il cambiamento climatico continuerà negli Stati Uniti, con impegno e passione. Come ha detto il presidente Biden, il passo indietro è inevitabile, ma arrendersi è imperdonabile. Questa non è la fine della nostra lotta per un mondo più sicuro. I fatti sono ancora fatti, la scienza è ancora scienza. La lotta è più grande di una elezione o del ciclo politico in un Paese», ha detto.