Un’analisi delle decisioni chiave e delle prospettive per il clima globale .
Domenica 24 novembre, alle 5:31 ora locale di Baku, si è conclusa la 29ª Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP29), tra successi e compromessi giudicati da molti deludenti. La conferenza ha affrontato temi cruciali come la finanza climatica, la mitigazione, l’adattamento e i meccanismi per i mercati del carbonio, giungendo ad accordi importanti ma lasciando in sospeso questioni chiave che saranno al centro delle prossime negoziazioni, in primis durante la COP30, che si terrà l’anno prossimo a Belém, in Brasile.
Ecco i principali risultati raggiunti.
Finanza climatica: un nuovo obiettivo collettivo
Sin dall’Accordo di Parigi, era stato deciso di ridiscutere la cifra di 100 miliardi di USD annuali mobilitati dai Paesi sviluppati per la finanza climatica nei Paesi in via di sviluppo. I 100 miliardi del Green Climate Fund concordati a Copenaghen nel 2009, infatti, rappresentavano un obiettivo non basato sulle necessità, ma nato da un compromesso politico.
La COP29 aveva il (difficile) compito di ridiscutere questo target, concordando un nuovo Obiettivo Quantificato Collettivo di finanza climatica (NCQG). Prevedibilmente, quelle sull’NCQG si sono rivelate le negoziazioni più tese di questa COP, e sono state la causa principale del ritardo di circa un giorno e mezzo con cui sono stati chiusi i lavori.
Il risultato finale ha causato l’insoddisfazione di molti, e in particolare dei Paesi meno sviluppati e degli altri Stati più esposti al cambiamento climatico, a causa della distanza tra l’obiettivo concordato e le reali necessità dei Paesi in via di sviluppo.
Il testo finale dell’NCQG, infatti, concorda l’obiettivo di raggiungere 1.300 miliardi di USD entro il 2035 e sancisce l’impegno per raccogliere 300 miliardi di USD all’anno entro la stessa data per sostenere l’azione climatica nelle nazioni in via di sviluppo.
Sebbene l’obiettivo miri a colmare il divario tra le risorse disponibili e quelle realmente necessarie per una transizione equa e sostenibile, il nuovo obiettivo di finanza climatica ha suscitato il disappunto di molti Stati, in particolare India e Nigeria, che hanno accusato la Presidenza della COP29 di aver portato avanti l’accordo senza il loro consenso, a causa di negoziazioni che si sono allontanate dagli standard procedurali. Le critiche sono state però anche contenutistiche. L’accordo, infatti, è caratterizzato da numerose ambiguità.
La somma di 300 miliardi riprende la struttura del precedente obiettivo da 100, prevedendo risorse provenienti da una ‘vasta varietà di fonti’, tra cui finanza bilaterale e multilaterale, da fondi pubblici, prestiti delle banche di sviluppo, finanziamenti privati, ‘mobilitati’ attraverso politiche pubbliche, e finanza alternativa (che può riferirsi anche a tassazione internazionale e a guadagni dai mercati del carbonio). Una delle critiche più sollevate ha riguardato il fatto che questo core dell’obiettivo, da 300 miliardi, non si riferisce solo a finanziamenti pubblici da fornire, ma anche a investimenti privati da mobilitare, senza chiarire il rapporto tra i due.
Se nel pomeriggio dell’ultimo giorno della COP le negoziazioni sembravano sull’orlo di saltare, a causa dell’ambizione dell’obiettivo giudicata troppo bassa dai Paesi meno sviluppati (LDC) e dai piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS) e a causa dello scarso spazio che hanno riportato gli sia stato lasciato nelle negoziazioni, si è infine trovato un accordo anche grazie alla Baku to Belém roadmap. Inserito all’ultimo momento all’interno del testo negoziale, questo piano dovrebbe mirare ad aumentare ulteriormente gli obiettivi di finanza climatica concordati, ma i dettagli non sono ancora stati definiti.
A differenza del precedente obiettivo dei 100 miliardi, il nuovo traguardo amplia inoltre la base dei contribuenti, ma in modo meno vincolante di quanto richiesto a gran voce da molti Paesi sviluppati, in primis dall’Unione europea. Si legge infatti che i Paesi in via di sviluppo sono incoraggiati «a fornire contributi, anche attraverso la cooperazione Sud-Sud, su base volontaria».
La COP30 sarà quindi cruciale per definire con maggiore chiarezza la struttura e l’effettiva implementazione dell’obiettivo finanziario concordato e per garantire un flusso di fondi stabile e prevedibile negli anni a venire.
Mitigazione: accordi deboli
Dal punto di vista della mitigazione climatica, uno dei temi centrali della COP29 è stato il UAE Dialogue sull’implementazione degli esiti del Global Stocktake (GST), la prima valutazione dell’avanzamento collettivo verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, concordato durante la COP28 di Dubai. Il UAE Dialogue aveva l’obiettivo di tradurre le valutazioni globali del GST — che hanno giudicato l’azione climatica delle Parti insufficiente per mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali — in azioni concrete a livello nazionale. Inizialmente inquadrato solo sotto il punto di vista della finanza climatica, il dialogo è stato informalmente ampliato, su richiesta di alcune Parti, tra cui l’Unione Europea, per adottare un approccio che includesse anche una valutazione dell’avanzamento rispetto alle raccomandazioni contenute nel GST, tra cui quella riguardante l’allontanamento dai combustibili fossili nei sistemi energetici. Tuttavia, su pressione del gruppo G77, la discussione formale è stata rimandata al 2026, articolata in precedenti incontri annuali a Bonn per raccogliere ulteriori elementi di valutazione.
Dopo varie discussioni, il testo finale concordato alla COP29 è però meno ambizioso di quanto sperato da molti. Risultano assenti i riferimenti diretti al Global Stocktake (GST), come l’‘eliminazione graduale dei combustibili fossili’ e la ‘neutralità climatica entro il 2050’, e agli obiettivi chiave dell’Accordo di Parigi, come il limite di 1,5°C. È stato anche eliminato il riferimento a date specifiche per il picco delle emissioni, precedentemente fissato entro il 2025, suscitando preoccupazioni per la mancanza di impegni chiari.
L’elemento su cui si fondano gli sforzi di mitigazione sotto l’Accordo di Parigi sono i Contributi Determinati a Livello Nazionale (NDC), che le Parti devono ripresentare ogni cinque anni per aumentarne l’ambizione. Il prossimo ciclo di NDC dovrà essere presentato entro febbraio 2025; durante la COP29, diversi Paesi hanno presentato i loro piani aggiornati: il Regno Unito ha promesso di ridurre le emissioni dell’81% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2035; gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato un obiettivo di riduzione del 47% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019, con l’impegno di raggiungere zero emissioni nette nel settore delle costruzioni entro il 2050; e il Brasile ha presentato un piano che prevede la neutralità climatica entro il 2050, con una riduzione delle emissioni tra il 59% e il 67% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2005. Rimangono però aperte le discussioni, che la COP29 avrebbe dovuto parzialmente chiarire, su una possibile, anche parziale, uniformazione degli elementi caratteristici degli NDC (che ora sono ancora lasciati alla discrezione degli stati, complicando una valutazione collettiva e una comparazione degli sforzi nazionali).
Articolo 6: un accordo storico
I negoziati sull’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi hanno portato a un accordo storico, segnando la conclusione di quasi un decennio di trattative e superando gli insuccessi registrati alle COP precedenti, in particolare COP25 (Madrid) e COP28 (Dubai).
Questo articolo rappresenta un pilastro fondamentale per la creazione di un mercato globale dei crediti di carbonio e si articola in tre componenti chiave: la cooperazione bilaterale definita nell’Articolo 6.2, il meccanismo di mercato centralizzato delineato nell’Articolo 6.4 e gli approcci non di mercato regolati dall’Articolo 6.8.
L’Articolo 6.2 introduce gli Internationally Transferred Mitigation Outcomes (ITMO) nell’ambito degli approcci cooperativi tra le parti, definendo linee guida per la loro autorizzazione e utilizzo. Ogni Paese è tenuto a includere elementi specifici nelle autorizzazioni, con la possibilità di avvalersi di modelli standardizzati, al fine di semplificare la presentazione delle informazioni e garantire uniformità procedurale.
Per promuovere trasparenza e coerenza informativa, è stato stabilito che le modifiche apportate alle autorizzazioni non influenzeranno i risultati di mitigazione già trasferiti. Inoltre, è stato introdotto l’obbligo di presentare rapporti periodici di monitoraggio e verifica degli ITMO, i cui esiti saranno pubblicamente accessibili. I dati raccolti infatti confluiranno in un registro centralizzato delle Nazioni Unite, che integrerà le informazioni provenienti dai registri nazionali. La connessione tra i registri nazionali e internazionali garantirà non solo la visualizzazione e il trasferimento dei dati relativi agli ITMO, ma anche la prevenzione del doppio conteggio, facilitando un accesso trasparente e assicurando l’integrità delle informazioni condivise tra tutte le parti coinvolte.
Parallelamente, l’Articolo 6.4 ha istituito il Paris Agreement Crediting Mechanism (PACM), il primo mercato globale regolamentato delle Nazioni Unite per la gestione dei crediti di carbonio, con l’obiettivo di favorire la riduzione delle emissioni di gas serra e promuovere lo sviluppo sostenibile. Questo meccanismo sostituisce i precedenti Clean Development Mechanisms (CDM) del Protocollo di Kyoto e si fonda sull’applicazione di rigorosi standard metodologici per la valutazione delle attività di rimozione delle emissioni, come progetti di forestazione e riforestazione. Un aspetto cruciale è la stabilità normativa del mercato, che è garantita dall’organo di supervisione, il quale ha il compito di promuovere miglioramenti continui sulla base delle migliori evidenze scientifiche. Inoltre, le riduzioni delle emissioni certificate attraverso questo meccanismo potranno essere autorizzate dalle Parti, contribuendo così al raggiungimento degli NDC.
Nell’ambito dell’Articolo 6.8, le Parti hanno identificato gli elementi chiave degli approcci non di mercato e sviluppato una piattaforma destinata a facilitare l’attuazione delle attività previste. I lavori futuri si concentreranno sull’implementazione di queste attività, con aggiornamenti regolari sullo stato di avanzamento. Le Parti sono invitate a segnalare gli ostacoli incontrati e a proporre soluzioni per ottimizzare l’uso della piattaforma, con l’obiettivo di sfruttare al massimo il potenziale degli approcci non di mercato.
Nonostante i progressi compiuti, persistono alcune sfide. La mancanza di linee guida precise sulla trasparenza nell’Articolo 6.2 potrebbe compromettere la fiducia nel sistema, mentre gli standard metodologici adottati per l’Articolo 6.4 sono stati oggetto di critiche, essendo stati approvati senza un consenso unanime. Continuano a sussistere incertezze riguardo all’applicazione pratica dell’accordo, sollevando dubbi sulla loro equità e sull’efficacia, in particolare per quanto concerne i diritti delle comunità indigene.
Adattamento: nuovi indicatori di monitoraggio
Nel contesto delle negoziazioni sull’adattamento si è discusso principalmente dei Piani Nazionali di Adattamento (NAP), istituiti con il Cancún Adaptation Framework per ridurre la vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici, e del Global Goal on Adaptation (GGA), sancito dall’articolo 7 dell’Accordo di Parigi e già oggetto di discussione alla COP28.
Un passo significativo per l’attuazione dei NAP è stato l’avvio di un programma di supporto volto ad assistere i Paesi meno sviluppati nella definizione e implementazione delle loro strategie di adattamento. Inoltre, è stata avviata la seconda valutazione quinquennale dei progressi ottenuti nell’attuazione dei NAP, che ha evidenziato l’urgenza di accelerare le azioni di adattamento ai cambiamenti climatici e la necessità di garantire l’accesso a nuovi finanziamenti entro il 2025.
Le discussioni sull’adattamento hanno evidenziato un forte impegno per lo sviluppo di indicatori di monitoraggio finalizzati a rafforzare il GGA. Il set finale, che non supera i cento indicatori, dovrà essere applicabile a contesti specifici di adattamento, con particolare attenzione agli ecosistemi, ai diritti umani e ai gruppi vulnerabili, come le popolazioni indigene e i giovani. Un risultato significativo per i Paesi in via di sviluppo è stata l’inclusione di riferimenti all’uguaglianza di genere e ai migranti, ottenuto grazie alle loro richieste di un linguaggio preciso riguardo ai ‘mezzi di implementazione’.
Infine, l’adozione della Baku Adaptation Road Map, che fornisce una guida strategica per affrontare le sfide dell’adattamento, e del Baku Workplan, che ne sostiene l’attuazione concentrandosi sulla condivisione di conoscenze e il rafforzamento delle capacità delle comunità locali, ha rappresentato un avanzamento significativo nel rafforzamento del ruolo delle comunità locali e indigene nella gestione della crisi climatica, promuovendo una leadership condivisa con i governi. Tuttavia, l’assenza di incentivi economici immediati per i progetti di adattamento, spesso privi di ritorni finanziari diretti, rimane un ostacolo rilevante.
Verso la COP30 a Belém
La prossima COP, la trentesima, si terrà a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre 2025. Nei mesi che precedono l’evento, l’attenzione sarà concentrata sul nuovo ciclo di NDC, che le Parti dovranno inviare entro febbraio 2025.
Inoltre, i mesi precedenti alla COP30 saranno caratterizzati da intensi lavori sui tavoli della finanza, sia all’interno delle COP, con l’implementazione della Baku to Belém Roadmap per aumentare l’ambizione del NCQG appena concordato, che all’esterno delle COP, con l’avanzamento della discussione sulla riforma dell’architettura finanziaria internazionale.
Durante la COP30, sarà infine centrale il tema della natura: il Brasile preannuncia l’intenzione di guidare una conferenza incentrata su questo tema, sollevando interrogativi su come la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico possano essere affrontati in modo sinergico, integrando di più e in modo più efficace la biodiversità nelle regolamentazioni climatiche, per evitarne l’isolamento in agende separate.