Negli ultimi decenni la disuguaglianza nei redditi è aumentata in molti Paesi sviluppati, sollevando domande riguardo a potenziali impatti sulle emissioni di CO2. Questo argomento è ancora oggetto di dibattito tra studiosi, con opinioni contrastanti su come la distribuzione del reddito influenzi le emissioni di carbonio. Un recente studio pubblicato da Oxfam ha messo in evidenza che, nel 2019, l’1% più ricco della popolazione mondiale ha emesso circa il 16% delle emissioni globali di carbonio, equivalenti alle emissioni del 66% più povero della popolazione mondiale. Capire come le diverse classi di reddito contribuiscano alle emissioni di carbonio è fondamentale per diverse ragioni, prima fra tutte, ma non solo, l’equità, che vede i gruppi a basso reddito sopportare il peso maggiore delle conseguenze legate al cambiamento del clima, nonostante contribuiscano meno alle emissioni di gas serra. Inoltre, la disuguaglianza nelle emissioni di CO2 può ostacolare gli sforzi di mitigazione, influenzando le politiche ambientali e mantenendo stili di vita ad alta intensità di carbonio tra i più ricchi. D’altro canto, evidenziare tali contributi differenziali può aiutare a creare politiche più mirate ed efficaci, sulla base dei diversi sforzi di mitigazione marginali di ciascuna classe di reddito.
La relazione tra disuguaglianza ed emissioni
Tre principali approcci teorici offrono spiegazioni alternative su come la disuguaglianza influenzi le emissioni. Il primo è il modello di economia politica proposto da James Boyce, secondo il quale lo squilibrio di potere tra ricchi e poveri consente ai primi, che di solito possiedono imprese inquinanti e conducono uno stile di vita con una più elevata intensità di carbonio, di eludere le normative ambientali e trasferire i costi ambientali sui poveri. Questo squilibrio può anche portare a scelte politiche che comportano un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali.
Il secondo approccio si concentra sulla propensione marginale alle emissioni (MPE), ispirata alla propensione marginale al consumo (MPC) del modello keynesiano. Così come le famiglie più povere hanno una MPC più alta di quelle più ricche, hanno anche una MPE più alta perché non possono permettersi beni a basso contenuto di carbonio. Secondo alcuni autori, la domanda di beni ‘sporchi’ diminuisce all’aumentare del reddito, quindi una maggiore concentrazione di reddito e ricchezza genera una minore pressione sull’ambiente.
Il terzo approccio pone l’accento sul comportamento individuale e sulla crescente competizione nei consumi determinata dalla disuguaglianza di reddito, che mina la coesione sociale e contribuisce all’aumento delle emissioni. Questo approccio si ispira alla nozione di consumo vistoso teorizzata da Thorstein Veblen, secondo cui i ricchi consumano intenzionalmente beni di lusso e quantità eccessive di beni per mantenere alta la loro reputazione. Questo porta anche a un maggiore utilizzo di energia e risorse, aumentando le emissioni di carbonio.
Nonostante il numero crescente di contributi sul tema, il dibattito è ancora aperto e le evidenze empiriche offrono risultati spesso contrastanti. Le differenze nei risultati possono dipendere da vari fattori, tra cui il campione esaminato, il periodo temporale considerato e le tecniche econometriche impiegate. Inoltre, possono influire eventuali non linearità nella relazione, la scelta dell’indicatore di disuguaglianza di reddito, i diversi inquinanti considerati e il metodo utilizzato per allocare le emissioni.
Lo studio
Un mio recente studio1 tenta di far luce su questa relazione, analizzando come i cambiamenti nell’intera distribuzione del reddito influiscano sulle emissioni di CO2 e se questi siano legati ai livelli di reddito di cui ciascuna classe di reddito nei diversi Paesi effettivamente dispone. Lo studio analizza un campione di 107 Paesi nell’arco temporale dal 1990 al 2019, individuando per ciascuno di essi la quota di reddito nazionale e il reddito medio di ciascuna classe di reddito (10% più ricco, 40% intermedio e 50% più povero).
La maggior parte degli studi precedenti sulla relazione tra disuguaglianza economica ed emissioni di CO2 si concentra sull’indice di Gini o, meno frequentemente, sulla quota di reddito del 10% più ricco. Recentemente, alcuni studi hanno stimato l’impatto dell’eliminazione della povertà globale sulle emissioni di CO2, evidenziando che anche nello scenario più pessimistico, la crescita economica necessaria per sradicare la povertà comporterebbe un aumento limitato delle emissioni entro il 2050, senza compromettere gli sforzi globali per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Tuttavia, il presente studio è il primo a esplorare gli effetti dei cambiamenti nell’intero spettro della distribuzione del reddito sulle emissioni di CO2.
Sulla base di questa letteratura, lo studio indaga se i cambiamenti nella distribuzione del reddito influenzino le emissioni di CO2 legate al consumo. Dal punto di vista metodologico, lo studio utilizza uno stimatore GMM dinamico per tenere conto della forte endogeneità nella relazione tra disuguaglianza ed emissioni di CO2 evidenziata da contributi recenti.
Tuttavia, considerare solo le quote di reddito può nascondere grandi eterogeneità nel reddito medio percepito dagli individui appartenenti allo stesso percentile nei diversi Paesi. Infatti, esistono forti disuguaglianze nelle emissioni di carbonio tra le classi di reddito sia all’interno delle regioni del mondo sia tra di esse. Poiché i beni di lusso ad alta intensità energetica hanno la più alta elasticità al reddito, i modelli di spesa e consumo degli individui appartenenti alla stessa classe di reddito possono variare significativamente a seconda del loro livello di reddito. Pertanto, concentrarsi esclusivamente sulle quote di reddito rischia di trascurare le potenziali non linearità dell’impatto delle diverse classi di reddito sulle emissioni di carbonio, derivanti dalle disuguaglianze nel reddito disponibile di ciascuna classe tra diversi Paesi.
Alla luce di ciò, nella seconda fase dello studio, si indaga se esistono non linearità nell’impatto delle quote di reddito sulle emissioni di CO2, in funzione del reddito medio specifico di ciascuna classe. A tal fine, utilizzo un modello econometrico che stima l’esistenza di una soglia nel livello del reddito medio di ciascuna classe, permettendo di differenziare l’effetto sulle emissioni di un incremento nella quota di reddito posseduta da ciascuna classe al di sopra e al di sotto di tale soglia.
Una prima intuizione dell’importanza di considerare sia le quote di reddito di ciascuna classe sia il livello del rispettivo reddito medio si può ottenere dalle due figure sottostanti. La figura a sinistra mostra come sono cambiate le quote di reddito detenute da ciascuna classe tra il 1990 e il 2019. Nel campione analizzato, la quota di reddito detenuta dal 10% più ricco è la più alta in entrambi i periodi, ma la sua distribuzione nel 2019 è più concentrata rispetto al 1990. Un quadro più completo si ottiene dalla figura di destra, che mostra la distribuzione del reddito reale medio di ciascuna classe di reddito nel 1990 e nel 2019. Il grafico rivela che il reddito medio dei più poveri in alcuni Paesi è superiore a quello dei più ricchi in altri. Ad esempio, è sorprendente notare che nel 2019 il reddito medio degli individui più poveri in Norvegia è più del doppio di quello degli individui più ricchi in Mozambico.
I risultati
I risultati dello studio suggeriscono che le diverse classi di reddito contribuiscono in modo molto differente alle emissioni di CO2. Inoltre, lo studio evidenzia forti eterogeneità all’interno delle classi di reddito, sottolineando la necessità di considerare le disuguaglianze sia all’interno dei singoli Paesi sia tra di essi.
Analizzando le singole classi di reddito emerge un legame tra la concentrazione del reddito ai vertici e le emissioni di carbonio, in particolare nei Paesi in cui la classe benestante gode di un reddito medio più alto rispetto al 60% delle loro controparti in altri Paesi. Questo legame è rafforzato dai modelli di consumo vistosi dei più ricchi, che si concedono stili di vita più sfarzosi e ad alta intensità di carbonio. Gli individui più ricchi spesso possiedono infatti grandi ville private, guidano automobili più grandi con un consumo di carburante elevato, volano più frequentemente e possiedono grandi aziende inquinanti. Questi stili di vita non solo aumentano le loro emissioni di carbonio personali, ma stabiliscono anche modelli aspirazionali che possono influenzare le norme sociali, favorendo una cultura dell’eccesso e dell’elevato consumo di risorse. Al contempo, i più ricchi possono isolarsi meglio dai rischi ambientali, ad esempio acquistando proprietà in aree meno contaminate.
La classe media, d’altra parte, ha meno opportunità di isolarsi, ma può fare scelte di consumo consapevoli e chiedere una maggiore protezione ambientale. Sin dagli inizi dei movimenti ambientalisti, è stato osservato che gli individui della classe media possiedono le conoscenze, il tempo e le risorse sufficienti per impegnarsi nell’attivismo. Lo studio dimostra che una redistribuzione in favore della classe media porterebbe dei benefici ambientali, riducendo le emissioni di CO2. Questo risultato conferma quanto emerso da diversi studi sociologici, che evidenziano come le persone più attente all’ambiente siano generalmente ben istruite e appartengano alla classe media, impegnandosi attivamente in scelte di consumo più sostenibili, come ridurre i voli e preferire il trasporto pubblico.
Per quanto riguarda i segmenti più poveri della popolazione, lo studio indica che il contributo marginale delle fasce più povere alle emissioni di carbonio è trascurabile. Questo è coerente con quanto evidenziato nel Climate Inequality Report del 2023, secondo cui in tutte le regioni del mondo, eccetto Europa e Nord America, l’impronta di carbonio dei segmenti più poveri è vicina all’obiettivo di 1,5°C.
Conclusioni
I risultati dello studio sollecitano un’analisi più ampia delle disuguaglianze nelle emissioni di carbonio e delle potenziali implicazioni per gli obiettivi e le politiche climatiche. È necessaria una comprensione approfondita di chi siano i maggiori inquinatori per implementare regolamenti e politiche ambientali mirate. Questa conoscenza può consentire ai governi di progettare misure specifiche per le diverse classi di reddito, garantendo una transizione equa e sostenibile verso un futuro più verde. Da un lato, la transizione ecologica potrebbe incontrare ostacoli da parte dei segmenti più ricchi della società, poiché i loro modelli di consumo contribuiscono in modo significativo al degrado ambientale. Dall’altro, come sottolineato nel Climate Inequality Report del 2023, i ricchi richiedono un impegno marginale di abbattimento delle emissioni minore, poiché molte delle loro emissioni derivano dal consumo di beni non essenziali.
Imponendo richieste specifiche alla classe agiata di contribuire significativamente alla transizione ecologica e attuando strategie redistributive mirate, i governi possono favorire una distribuzione più equa delle responsabilità e delle risorse. Un esempio potrebbe essere un approccio combinato di redistribuzione del reddito e accesso esteso a beni e servizi pubblici per adattare le politiche climatiche alle diverse classi di reddito. Mentre la tassazione può essere un’efficace strategia redistributiva per le famiglie benestanti, le cui emissioni di carbonio sono strettamente legate al loro reddito, l’accesso esteso a servizi pubblici, come alloggi sicuri e di qualità, può contribuire alla riduzione delle emissioni nelle famiglie a basso reddito. Questo è particolarmente rilevante poiché le emissioni di queste ultime sono già disaccoppiate dai loro livelli di reddito.
Note
- F. Cappelli, Unequal contributions to CO2 emissions along the income distribution within and between countries, Nota di Lavoro 06.2024, Milano, Italia: Fondazione Eni Enrico Mattei. https://www.feem.it/en/publications/unequal-contributions-to-co2-emissions-along-the-income-distribution-within-and-between-countries/