La governance delle risorse idriche comuni

Specchi d’acqua: ci stiamo dirigendo verso la tragedia dei beni comuni?

Autore

Alice Terpereau

Data

13 Giugno 2023

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5' di lettura

DATA

13 Giugno 2023

ARGOMENTO

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L’Onu ha proclamato il decennio in corso ‘Decade degli Oceani’. Quest’anno, dopo diversi anni dalla precedente, l’Onu ha tenuto una conferenza internazionale sulle acque: in particolare, le acque profonde sono state al centro del dibattito, con la discussione di un trattato riguardante l’attività mineraria in tale contesto. In generale, importanti decisioni sono state prese a riguardo della protezione degli oceani e della biodiversità marina.

Gli oceani si espandono fisicamente, possiamo dire lo stesso riguardo alla nostra consapevolezza?

Movimenti attivisti globali sostengono che il riconoscimento dell’importanza del ruolo degli oceani e degli specchi d’acqua sia giunto in ritardo, da qui l’importanza di intervenire urgentemente per salvare il salvabile. La necessità di aumentare la consapevolezza su beni e servizi chiave offerti da questi ecosistemi sta colonizzando l’opinione pubblica, con appelli sui social media e proteste.

È fondamentale ricordare il concetto di ‘potenziale di sequestro carbonico’ degli oceani, ovvero la loro capacità di immagazzinare il carbonio, riducendo di conseguenza la sua concentrazione nell’atmosfera. Tutto ciò si somma, ovviamente, all’importante ruolo diretto che gli specchi d’acqua hanno sul funzionamento degli ecosistemi, come per esempio nelle catene alimentari globali, rendendoli una componente assolutamente necessaria per la vita umana.

Nonostante l’inconfutabilità di questi dati di fatto, con l’accelerazione esponenziale della crisi climatica e delle sue conseguenze, gli ecosistemi marini e costieri e le loro dinamiche non sono a finora gestiti con pratiche di pianificazione integrate a monte.

Pericoli come quelli che derivano da eventi atmosferici estremi o dall’incremento del livello del mare sono sempre più frequenti e intensi e, tuttavia, la quantità di persone e asset esposti al rischio continua a crescere. Le linee costiere si stanno già lentamente ritirando in una miriade di piccoli atolli, e migliaia di comunità indigene sono assolutamente impreparate a gestire una simile situazione.

Tutte queste componenti, che rappresentano comunque la piccola parte dell’iceberg ancora visibile, pongono la gestione di oceani, acque internazionali e grandi bacini idrici al centro della discussione globale.

Più grande di noi

A prima vista, la gestione degli oceani può apparire esattamente ciò che è: un’impresa titanica. Tuttavia, una accurata pianificazione del presente e del futuro che consideri il ruolo chiave delle acque è un prerequisito imprescindibile per il pianeta e per la nostra stessa sopravvivenza. Tale pianificazione deve essere necessariamente realizzata e implementata a monte, per raggiungere risultati efficaci ed efficienti. Di conseguenza, al fine di salvare delle vite, dobbiamo ripensare le nostre priorità, includendovi il benessere del pianeta e la gestione sostenibile degli oceani. 

Lo sfruttamento delle risorse naturali è ed è sempre stato al centro di moltissime attività economiche, dal mercato dell’oro alla silvicoltura, passando per la lavorazione del cotone. Tuttavia, mentre mettere dei recinti attorno ai propri campi, guardie accanto alle proprie miniere o costruire muri è un’attività triviale, controllare il flusso delle acque ha da sempre posto numerose sfide aggiuntive: la natura di questa preziosa risorsa l’ha sempre resa difficile da ‘addomesticare’.

Risorse idriche comuni

In gergo economico, ci si riferisce spesso a oceani e a grandi specchi d’acqua con il nome di ‘risorse idriche comuni’, risorse sulle quali esercitare il proprio controllo è estremamente arduo. Tale concetto è stato esplicitamente definito per comprendere qualsiasi risorsa in grado di apportare un flusso esauribile di benefici pur essendo accessibile a un vasto pubblico e sulla quale è pressoché impossibile esercitare un controllo efficace.

Le risorse idriche comuni sono, o perlomeno sono state, presenti in abbondanza nell’ambiente naturale. Tuttavia, col passare del tempo e a cause del perenne desiderio umano di impadronirsi di ciò che lo circonda, i beni naturali e comuni sono drasticamente diminuiti per far spazio a spiagge e foreste privatizzate. Se ci concentriamo su ciò che rimane veramente ‘pubblico’, non ci rimangono che l’aria che respiriamo (forse) e gli oceani.

Il rapido declino dello stato in cui versa l’atmosfera nella quale viviamo ha iniziato di recente a destare serie preoccupazioni, portando finalmente all’implementazione delle prime politiche restrittive, così da non andare a sbattere dritti contro il muro. La ‘tragedia dei beni comuni’, tanto temuta dai politici e industriali, ha già portato alcuni settori economici a dover intraprendere serie contromisure.

La tragedia dei beni comuni: una breve introduzione

Temendo di aver superato il punto di non ritorno nel consumo dello strato dell’ozono, la comunità internazionale ha dovuto bandire svariati prodotti e componenti chimici, augurandosi, in silenzio, che questa azione non arrivasse troppo tardi per poter salvare la situazione. E tuttavia, per discutere seriamente il problema del buco nell’ozono, ci sono voluti decenni di dibattiti ed evidenze scientifiche, perdendo del tempo prezioso.

La sfrenata libertà nell’utilizzo dell’aria, sebbene questa potesse sembrare infinita, ci ha quasi portati al suo paradossale ‘esaurimento’.

Garret Hardin fu il primo a introdurre il concetto della ‘tragedia dei beni comuni’ nel 1968: a causa della loro esauribilità le risorse comuni sono soggette a minacce antropiche. Al tempo, per esemplificare questo concetto, Hardin dovette ricorrere all’esempio delle terre a uso pascolo anche se, a più di mezzo secolo di distanza, la sete di profitto porta ancora alla distruzione e al sovra sfruttamento di tali beni, accelerando esponenzialmente la sopracitata tragedia.

Tornando al caso del buco dell’ozono, appare dunque evidente come la razza umana abbia stupidamente giocato a dadi con una tragedia globale: fortunatamente, oggi raccogliamo gli effetti di una efficace politica restrittiva, che sia stata solo la fortuna del principiante?

Il drammatico stato delle risorse comuni

I confini planetari, sono stati citati dallo Stockholm Resilience Center al fine di mostrare i limiti del sistema di equilibrio che sottende il nostro pianeta, rivelando sino a che punto sia giunta l’irreversibilità nel degrado dei beni comuni.

Foreste, minerali, combustibili fossili, terre arabili e persino i beni culturali sono tutti sottoposti a una crescente pressione a causa delle attività antropiche e molti di questi sono a serio rischio di esaurimento, anche se questo è il destino di ogni risorsa in quanto ciascuna di esse viene regolata e salvaguardata in misura differente.

Meraviglie umane…

Patrimoni culturali tangibili quali templi Maia, pergamene egizie o celebri dipinti italiani sono stati salvati o perlomeno parzialmente risparmiati dalla distruzione grazie a finanziamenti e interventi normativi da parte di potenti istituzioni. Che sia grazie a enti governativi nazionali o internazionali (UNESCO) oppure a organizzazioni e movimenti locali, spesso i tesori culturali fanno la voce grossa quando si tratta della loro preservazione.

Un esempio ancora più emblematico è quello delle Grotte di Lascaux in Francia, interamente ricostruite in una cava appositamente scavata a qualche metro di distanza dalle originali al fine di poter permettere ai turisti di esplorare questo capolavoro assicurando al contempo la salvaguardia delle opere ivi contemplate. Infatti è ormai palese, anche visivamente, il degrado causato a queste strutture dal turismo di massa. 

Evidentemente, i ‘lamenti’ di risorse naturali quali specie secolari o ghiacciai rimangano completamente inascoltati.

…e meraviglie naturali

Dalle foreste amazzoniche alle tigri del Bengala, la natura ha sempre provveduto condizioni adeguate per lo sviluppo di ecosistemi straordinari e complessi, in grado di evolvere e fiorire nel tempo. A oggi, molte di queste meraviglie sono considerate dall’uomo delle mere risorse da mettere in conflitto: l’Amazzonia viene sfruttata per il legname mentre le tigri diventano scarpe e borsette di lusso e la natura in genere diventa un prodotto per soddisfare i nostri più egoistici desideri.

Grazie alle sempre maggior accessibilità delle conoscenze scientifiche e ai movimenti di attivismo ambientale, crescono a livello globale questi problemi.

L’oceano: perché ora?

In teoria, grazie alla loro profondità e alla loro limitata accessibilità, mari e oceani rimangono finora più ‘in forma’ (ma fino a quando?) rispetto ad altre risorse ampiamente sfruttate. Ma l’uomo ha inventato strumenti e macchine di ogni tipo per eradicare foreste e suoli, fast-food e fast-fashion per annichilire qualsiasi essere vivente non abbastanza simile a noi. Progresso dopo progresso, tutte le componenti naturali della terra sono diventate sempre più paragonabili a beni e servizi, quasi fossero degli stock infiniti.

Tuttavia, come per primi scrissero Elinor Ostrom prima, e Jean Tirole dopo, la governance economica dei beni comuni è sempre soggetta alla soddisfazione di interessi personali, anche qualora i risultati diventino evidenti agli occhi di tutti. Difatti, l’effetto senza precedenti che le attività minerarie sul fondo del mare avranno sugli ecosistemi marini più fragili è facile da intuire. Decenni di attività minerari in terra ferma dovrebbero darci una chiara idea di quello che sarà il destino delle zone bentoniche e della loro biodiversità.

Questa volta nessuno potrà dire che non sapeva.

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