Per una nuova estetica della sostenibilità

Intervista a Mariagrazia Portera - ricercatrice in Estetica presso l'Università degli Studi di Firenze.

Autore

Viola Ducati

Data

14 Febbraio 2023

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5' di lettura

DATA

14 Febbraio 2023

ARGOMENTO

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Un anno fa la tutela dell’ambiente entrava in Costituzione. Con la modifica dell’articolo 9 la Repubblica si impegnava a tutelare non solo «il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», ma anche «l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni». Il dettato costituzionale, con le ulteriori specifiche introdotte nell’articolo 41 1, sembrava poter mettere d’accordo le istanze economiche, quelle di tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e quelle ambientaliste. Nei fatti le cose sono più complicate. 

In Italia la tutela dell’ambiente resta un tema divisivo. In tempo di Antropocene e di cambiamento climatico, infatti, tutelare l’ambiente «nell’interesse delle future generazioni» significa non solo mettere in atto misure di conservazione, ma soprattutto azioni di adattamento e di mitigazione. Azioni diffuse, visibili e sempre più vicine ai cittadini. Significa promuovere la transizione ecologica, una trasformazione radicale dei modi di vivere e produrre, a partire dal settore energetico. Significa attuare interventi che spesso hanno un forte impatto sul paesaggio, anche dal punto di vista estetico. Così le installazioni necessarie per raggiungere 60 GW di nuova capacità rinnovabile entro il 2030, come previsto dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), incontrano di frequente l’opposizione delle soprintendenze e delle comunità locali. Alle proteste bollate come NIMBY (Not In My Back Yard, non nel mio cortile) si aggiungono le voci di autorevoli storici dell’arte e paesaggisti, preoccupati che la costruzione indiscriminata di impianti eolici e solari aggiunga ulteriori ferite al paesaggio italiano. 

Tutela del paesaggio e transizione ecologica sono dunque inconciliabili? O è possibile pensare il paesaggio in modo nuovo, affinché esperienza estetica e sviluppo sostenibile possano dialogare?

Ne parliamo con Mariagrazia Portera, ricercatrice in estetica presso l’Università degli Studi di Firenze. Negli ultimi anni Portera ha approfondito il rapporto tra estetica e scienze della vita, indagando le questioni dell’origine evolutiva dell’attitudine estetica umana e del ruolo della dimensione estetica nelle strategie di tutela della biodiversità. Tra le sue pubblicazioni più recenti ci sono Estetica della contingenza. Exattamenti e pennacchi tra biologia e filosofia, L’evoluzione della bellezza. Estetica e biologia da Darwin al dibattito contemporaneo, L’infanzia dell’estetica. L’origine evolutiva delle pratiche artistiche (co-curatrice insieme a Fabrizio Desideri) e La bellezza è un’abitudine. Come si sviluppa l’estetico 2

Nel saggio Il paesaggio, il filosofo Paolo D’Angelo riflette sulla diffidenza che per lungo tempo l’ecologia ha mostrato verso la nozione di paesaggio. A partire dagli anni Sessanta, ma anche in tempi più recenti, scrive D’Angelo, «il termine ‘paesaggio’ è stato considerato pesantemente connotato in senso estetistico, invecchiato rispetto ai concetti chiave dell’ecologia, inservibile ai fini della tutela e soprattutto chiaramente risolvibile nel termine più ‘scientifico’ di ambiente» 3. Tu ritieni che sia un concetto importante da recuperare e risignificare. Perché? 

Negli ultimi trent’anni il concetto di paesaggio è stato effettivamente marginalizzato, in quanto considerato troppo connotato in senso estetico. Si partiva però da una concezione dell’estetico inteso come mero arbitrio soggettivo nella individuazione di ciò che ci piace oppure no: una concezione problematica, quanto meno riduttiva. Visto da questa prospettiva, il paesaggio era giocoforza un concetto  fragile su cui basare le strategie di conservazione. In realtà – e su questo Paolo D’Angelo, ad esempio, ha lavorato molto – la dimensione estetica è assai più che mero arbitrio del gusto soggettivo, e l’estetico è così centrale nell’esperienza umana che pensare di poterne prescindere risulta ingenuo. Siamo homines aesthetici da sempre, cioè l’esperienza estetica fa parte delle modalità ‘di base’ con le quali l’essere umano fa esperienza del mondo; in questo senso, il nesso estetico si stabilisce con tutti i tipi di territorio, anche con quelli brutti. Serve quindi andare oltre un certo paradigma ‘eccezionalista’, secondo il quale il paesaggio da tutelare è solo quello fuori dal comune, di straordinaria bellezza. È vero invece il contrario: la considerazione estetica del paesaggio si interessa tanto dei paesaggi ‘belli’, da conservare e tutelare, quanto di quelli ‘medi’, da gestire, e di quelli ‘brutti’, da ripristinare, restaurare e rigenerare.

Se, citando ancora D’Angelo, il paesaggio è «l’identità estetica di un luogo», cioè il modo in cui la comunità che insiste su un territorio sviluppa un legame estetico con quel territorio, l’esperienza estetica apre a una molteplicità di azioni differenti: non solo la conservazione, ma anche il ripristino, la progettazione, la rigenerazione. Gli ambienti degradati di cui facciamo sempre più spesso esperienza richiedono di essere considerati attraverso una varietà di categorie estetiche. Insomma, accanto all’estetica del bello ci serve un’estetica del brutto e di tutte le sfumature intermedie. La filosofa statunitense Emily Brady, a tal proposito, invita a riflettere sull’opportunità di un’estetica negativa 4, tanto più urgente oggi, in pieno Antropocene e in piena crisi climatica. Ecco perché l’estetica, lungi dall’occuparsi esclusivamente del bello, del ‘bel paesaggio’, ci può fornire risorse importanti per inquadrare il territorio e ripensare il posto e il ruolo dell’umano al suo interno. 

Fin dalla sua definizione, in effetti, la dimensione del paesaggio, implica la presenza di un osservatore umano. Nell’attuale contesto di crisi ambientale, come si configura a tuo avviso il rapporto tra ‘umano’ e ‘naturale’?

Paesaggio e ambiente vengono spesso affiancati, come accade nella nostra Costituzione, senza che la loro relazione venga problematizzata. Si tratta però di due nozioni diverse: mentre l’ambiente è un concetto di tipo scientifico, che fa riferimento alle caratteristiche geologiche, chimiche e fisiche di un territorio, il paesaggio è un concetto relazionale, estetico e comunitario. Affinché ci sia un paesaggio, infatti, devono esserci un osservatore e un territorio che, appunto grazie allo sguardo del fruitore, nasce, cresce e si sviluppa in quanto paesaggio. Anzi, sono necessari sguardi molteplici, perché il paesaggio esiste non per il singolo ma per la comunità che vive e agisce su quel territorio. Fin dalla sua definizione, dunque, il paesaggio ci spinge ad andare oltre una comprensione dualistica del rapporto tra elemento naturale ed elemento artificiale: le opere, gli usi e le trasformazioni indotte dall’uomo concorrono a modellare il paesaggio e a definirne l’identità.

Questa prospettiva è tanto più preziosa oggi, nel momento in cui incontriamo sempre più spesso ambienti naturali la cui gestione è molto artificiale: superato, almeno in parte, il mito della natura selvaggia, scopriamo intorno a noi una naturalità spesso mantenuta in essere nella più completa artificialità. Il punto di vista paesaggistico ci può aiutare a comprendere che non si dà mai una cesura netta tra naturale e artificiale. Ancora una volta, in conclusione, il paesaggio si presenta come una categoria particolarmente adatta per comprendere i complessi rapporti tra uomo e ambiente. A patto di acquisire una sufficiente consapevolezza della nostra esperienza estetica, nella dimensione del tutto inedita dell’Antropocene.

Dal tuo punto di vista, quindi, per rispondere alla sfida della sostenibilità e fare fronte all’attuale crisi ambientale e climatica abbiamo bisogno di nuove categorie estetiche e di nuovi modi di fare esperienza del reale. Ma è davvero possibile rimodulare la nostra esperienza estetica? Possiamo aggirare i nostri bias cognitivi?

Se è vero che non possiamo prescindere dal nostro essere ‘uomini estetici’, naturali e culturali insieme, è altrettanto vero che possiamo agire trasformativamente sulla nostra esperienza estetica. Nell’esperienza estetica, infatti, intervengono più dimensioni, ulteriori rispetto a quella più originaria, emotiva, che sfugge largamente al nostro completo controllo: possiamo distinguere tra una componente percettiva, una componente emotiva e affettiva, una cognitiva e una immaginativa. Gli studi ci insegnano che possiamo agire sulla dimensione della cognizione, cioè su quello che sappiamo, per educare le nostre modalità di fare esperienza affinché diventino più inclusive e più capaci di andare oltre l’esclusiva categoria del bello così come viene tradizionalmente intesa. Possiamo percepire bellezza anche dove a prima vista non troviamo simmetria e ordine? Possiamo essere appagati anche di fronte a ciò che è diverso, di fronte a ciò che ci meraviglia ma che non corrisponde ai nostri standard ‘classici’ (qualsiasi cosa ciò voglia dire)? Certo, entro ampi margini possiamo.

L’informazione rimodula largamente la percezione, e benché non basti sapere per smettere di provare, una volta che sappiamo non possiamo fare come se non sapessimo. Servono azioni di educazione estetica ambientale per innestare nuovi elementi nel fatto percettivo ed emotivo che contribuiscano alla rimodulazione, in comune, dell’esperienza estetica complessiva. Serve tempo, molto tempo, per lavorare in senso di educazione estetica ambientale, perché siamo esseri abitudinari, e serve la disponibilità di tutti a rimettere in gioco le categorie estetiche alle quali siamo abituati. Ma se la posta in gioco è il nostro futuro in quanto umanità su questo pianeta, e se l’estetico ha (come credo che abbia) questo ruolo così centrale nella nostra esperienza del mondo, forse è un lavoro che vale la pena di iniziare a fare. Un lavoro graduale, di dialogo individuale e collettivo tra tutte le parti interessate, per mettere in campo nuove possibilità di esperire in comune.

La sfida è quella di rimettere il paesaggio al centro della discussione pubblica in una chiave progettuale.

Note

  1. Costituzione della Repubblica, articolo 41: L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali. 
  2. Mariagrazia Portera, Estetica della contingenza. Exattamenti e pennacchi tra biologia e filosofia, in Luigi Russo (a cura di), Premio Nuova Estetica, Palermo, 2013, pp. 91-112; Mariagrazia Portera, L’evoluzione della bellezza. Estetica e biologia da Darwin al dibattito contemporaneo, Milano, Mimesis, 2015; Ellen Dissanayake (autore), Fabrizio Desideri, Mariagrazia Portera (a cura di), L’infanzia dell’estetica. L’origine evolutiva delle pratiche artistiche, Milano, Mimesis, 2015; Mariagrazia Portera, La bellezza è un’abitudine. Come si sviluppa l’estetico, Roma, Carocci, 2021.
  3. Paolo D’Angelo, Il paesaggio, Roma-Bari, Laterza, 2021, p. 42.
  4. Emily Brady, The Ugly Truth: Negative Aesthetics and Environment, Royal Institute of Philosophy Supplement, 2011, 69, pp. 83-99.
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