Inclusione e cambiamento climatico. Due sfide per la città del futuro

L’architettura è un modo di guardare il mondo, per anticipare il futuro, sfidando le avversità del presente.

Autore

Stefano Boeri

Data

3 Novembre 2022

AUTORE

TEMPO DI LETTURA

5' di lettura

DATA

3 Novembre 2022

ARGOMENTO

CONDIVIDI

Giugno 2018 – Due sfide per la città del futuro di Stefano Boeri

Intervista di Alessandra Favazzo
L’architettura è un modo di guardare il mondo, per anticipare il futuro.
Farlo significa affrontare le sfide del presente che per l’architettura, e l’architetto che l’interpreta, sono principalmente la questione della povertà e quella del cambiamento climatico. Sfide che interrogano la responsabilità dell’architetto sia nell’attività professionale sia in quella educativa.

Guardando al presente e pensando al futuro, come immagina le città/metropoli nei prossimi cinquant’anni e quali ritiene siano le principali
sfide?

Credo che le sfide da affrontare nel prossimo futuro siano soprattutto due: la prima è quella della povertà. La povertà assoluta è infatti un fenomeno che oggi riguarda oltre il 30% delle città del mondo. La seconda è quella del cambiamento climatico, che attualmente si presenta come qualcosa di difficilmente reversibile.

I progetti che stiamo portando avanti in Cina (come il Liuzhou Forest City, la città-foresta che assorbe CO2 e polveri sottili), ma anche con Slow Food (per esempio con la progettazione del Polo della Ristorazione di Amatrice) e il lavoro che abbiamo fatto a Eindhoven, in Olanda, con il modello di bosco verticale in social housing, tendono verso questa direzione, ovvero quella di creare delle architetture e delle situazioni urbane e territoriali, dove si fanno ingenti investimenti sulla forestazione e sul verde urbano, ma contemporaneamente si cerca di far fronte al problema del disagio abitativo.
Ritengo che, nel momento in cui si riuscirà – e da questo punto di vista il ruolo dell’architetto e dell’architettura oggi è molto importante – a individuare delle strategie e delle politiche che mettano insieme, grazie anche al ruolo dell’urbanistica, interventi che affrontando la questione della povertà contrastino anche il cambiamento climatico, avremmo compiuto un passo davvero fondamentale. Questo è quello che stiamo cercando di fare.

Cosa significa essere un architetto oggi?

Credo che il ruolo dell’architettura e dell’architetto sia quello di anticipare il futuro, cercando appunto di affrontare le sfide del Pianeta. E questo si può fare anche partendo da piccoli progetti.
Anche nel piccolo lavoro professionale, che magari si concentra su una scala limitata, come può essere quella di un edificio o del suo interno, si
possono affrontare i temi del disagio abitativo e la questione ambientale, che sono questioni di portata enorme, che dobbiamo tenere presente sempre, ogni giorno.

Come può rientrare la natura nella costruzione della città?

La natura ha un ruolo molto importante nel tessuto urbano, perché le città producono il 75% del totale dell’anidride carbonica oggi presente nell’atmosfera. Gli alberi, le foreste e i boschi sono in grado di assorbirne circa il 40%.

La grande campagna che abbiamo lanciato per la forestazione urbana rientra nelle iniziative del Forum mondiale di Mantova del 2018, promosso dalla FAO per il prossimo mese di novembre e che ha proprio questo scopo: riunire tutte le città del mondo e coinvolgerle in una grande operazione che preveda l’aumento in maniera esponenziale delle superfici vegetali e biologiche viventi.
Questo può essere uno dei modi con cui si contrastano gli effetti del cambiamento climatico.

Quale formazione è richiesta oggi all’architetto?


Oltre alla formazione accademica, l’importanza dei maestri è enorme perché insegnano un modo di pensare e un modo di costruire il discorso, oltre che un messaggio e un pensiero specifico. Per me alcune figure sono state fondamentali e ne cito qualcuna: Bernardo Secchi, Giancarlo De Carlo. Anche Ettore Sottsass, per altri aspetti, è stata per me una personalità imprescindibile, così come Enzo Mari. Sono figure straordinarie del mondo del design e dell’architettura da cui ho imparato moltissimo.
Al centro c’è lo scambio, perché i maestri non sono necessariamente delle figure lontane, che stanno sedute dietro a una cattedra, ma sono an-
che persone con cui si è collaborato o semplicemente degli amici.
Io stesso ho un modo di insegnare un po’ fuori dagli schemi, per cui cerco sempre di imparare anche dai miei studenti. Ogni volta che sono impegnato in un lavoro di laboratorio sono il primo ad apprendere.
Non posso poi non ricordare Carlin Petrini, perché in fondo molte idee che ho cominciato a sviluppare nel campo del rapporto tra la città e la natura (e ovviamente l’alimentazione) sono cominciate con lui. Il mio modo di vedere l’architettura è aperto ad altri mondi, anche se resto sempre un
architetto e ho portato questa professione in tutti i miei progetti:
ho fatto politica da architetto, ho fatto il direttore di rivista da architetto, il direttore di eventi da architetto e faccio il progettista da architetto.

In pratica per me l’architettura è un modo di guardare il mondo o, almeno, io la vivo in questo modo. Ovviamente c’è chi lo fa in modo eccellente anche solo stando all’interno dei confini della disciplina di progettazione degli spazi, ma ognuno lo fa alimentandosi delle proprie curiosità, ossessioni, idiosincrasie.

Questo è il bello dell’architettura: si è liberi di interpretarla.

In che modo l’architettura può concorrere a creare città coese e inclusive?

Credo che la questione dell’inclusività sia legata alla varietà delle culture che abitano all’interno di una città. Questo è poi l’elemento che rende una
realtà urbana una vera e propria comunità.

Occorre cercare di evitare l’omologazione e al contempo aumentare le occasioni di confronto e scambio. Questa è la sfida che forse non tanto l’architettura quanto la politica è chiamata ad affrontare. Ovviamente l’architettura può essere d’aiuto a chi amministra. Per esempio, nel grande progetto Tirana2030 (TR030), nella capitale albanese, ci sono tanti elementi importanti che vanno in questa direzione: oltre al grande bosco verticale, è
prevista la creazione di 25 scuole, con un modello di scuola aperta, ovvero istituti che restano aperti a tutte le ore del giorno, tutti i giorni dell’anno e che propongono attività per tutte le età. Noi stiamo partecipando alla progettazione di alcune di queste scuole. Anche quella della scuola e dell’istruzione rappresenta una grande sfida per il presente e il futuro.


Fonte/Testo originale: Stefano Boeri, ‘Inclusione e cambiamento climatico. Due sfide per la città del futuro’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 1, giugno 2018, Il Mulino.

Leggi anche
Clima
Editoriali
3′ di lettura

Una strada a doppio senso: nuove evidenze su come economia e clima si influenzano

di Alessandra Testa
Clima, Oggi
1′ di lettura

Abbiamo violato 7 dei 9 limiti planetari

di Redazione
Clima
Editoriali
5′ di lettura

L’evoluzione della salute nei negoziati climatici internazionali

di Cristina El Khoury
Tecnologia
Viva Voce

Nuove opere, tutti i dati in un singolo modello

di Eleonora Battaglia
1′ di lettura
Cultura
Viva Voce

Mondo animale e nativi americani

di Edoardo Serini
5′ di lettura
Società
Viva Voce

Naturalmente unico. Comunicarsi fuoriclasse del biologico

di Gloria Ballestrasse
3′ di lettura
Politiche
Viva Voce

Retorica, iperboli e strategie semantiche della comunicazione di Trump

di Massimiliano Frenza Maxia
5′ di lettura
Scienza
Viva Voce

I polpi possono cambiare colore: ma a quale costo?

di Redazione
3′ di lettura
Economia
Viva Voce

Etica e leadership sostenibile: il vero lavoro delle HR

di Antonella Cozzi
5′ di lettura

Credits

Ux Design: Susanna Legrenzi
Grafica: Maurizio Maselli / Artworkweb
Web development: Synesthesia