Classi sociali in cerca di identità – parte 2

La chiusura individualista-localista della ‘neoplebe’ determina il suo comportamento elettorale

Autore

Luciano Vettoretto

Data

27 Novembre 2022

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5' di lettura

DATA

27 Novembre 2022

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L’offerta politica delle ultime elezioni italiane trova riscontri nello schema che proponiamo. I risultati sono noti: una chiara vittoria della destra estrema, un successo relativo, rispetto alle previsioni, del Movimento 5 Stelle con una chiara territorializzazione nel Mezzogiorno, un’ulteriore crescita dell’astensionismo, una crisi piuttosto profonda della sinistra, che si diffonde anche nei territori della ‘subcultura rossa’. L’analisi dei flussi elettorali mostra, per quanto riguarda la destra, soprattutto movimenti interni ai partiti della coalizione e, in parte, verso l’astensione, soprattutto da parte di ex elettori della Lega.

Il Movimento 5 Stelle che nel corso della passata legislatura e durante la campagna elettorale ha significativamente ridefinito il proprio rapporto con le istituzioni politiche e l’Unione Europea ed accentuato la propensione verso politiche redistributive (definite spesso un po’ semplicisticamente assistenzialiste) ha trasferito voti soprattutto verso l’astensionismo e, in misura assai minore, verso l’estrema destra. Il maggiore partito della sinistra, il PD, appare in una fase di stagnante declino: recupera voti dal suo stesso bacino, ma con flussi in uscita nei confronti del Terzo Polo, e non riesce ad attrarre voti dall’esterno né ad incidere sull’entità dell’astensionismo.

L’astensione cresce soprattutto a scapito di Movimento 5 Stelle, Lega e Forza Italia. Le indagini dell’IPSOS mostrano un significativo cleavage sociale del voto, almeno in termini aggregati: gli elettori con credenziali educative inferiori preferiscono la destra o il Movimento 5 Stelle; quelli in difficoltà economica il Movimento 5 Stelle; laureati, popolazione più abbiente e pensionati il PD; gli strati operai divorziano dalla sinistra in favore soprattutto dell’estrema destra. La dimensione generazionale impatta in modo significativo, dal momento che i più giovani si orientano verso il Movimento 5 Stelle e si mostrano assai poco attratti dal principale partito di sinistra.

A livello congetturale, si può ipotizzare che il modello di identificazione caratterizzato dalla chiusura individualista-localista abbia avuto un particolare supporto dalla neoplebe, così come anche il modello del populismo temperato dell’insicurezza esistenziale; l’identificazione in termini di adesione a una visione di una società giusta, soprattutto dal punto di vista dei diritti civili, in una prospettiva non-localista risulta assai meno attrattiva, localizzata in parte nelle aree urbane centrali del Centro-Nord e, con fatica, nelle aree della ex ‘subcultura rossa’, sembra legata in particolare alla classe creativa e in alcune frazioni delle élite.

Se concentriamo l’attenzione sulla neoplebe, ciò che sembra emergere è: 

– una radicalizzazione degli orientamenti di valore tradizionali, presenti nel lungo periodo in aree come Veneto, Friuli e parte della Lombardia e del Piemonte (famiglia, cerchie sociali basate sulla distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, debole conflittualità di classe, ruolo della donna, diffidenza verso lo straniero e verso la burocrazia pubblica, idea della mobilitazione individuale come chiave del successo e del benessere collettivo, mentre forse l’etica del lavoro ha lasciato spazio a comportamenti edonistici) che hanno percorso le stagioni politiche della DC e in seguito della Lega. In questi contesti, il voto operaio alla destra ha un senso storico. Che in questi contesti si possano scomporre adesioni identitarie e ricomporre alleanze tra segmenti della classe creativa e della neoplebe appare improbabile, se non nei centri urbani. Si può osservare in questi contesti un’apparente contraddizione tra orientamenti di valore localisti-individualisti e tradizionali e la presenza massiccia della società civile organizzata e del lavoro volontario in molteplici sfere della vita quotidiana, dal tempo libero all’esclusione sociale, dalla cultura all’assistenza dei soggetti più deboli, che trova ancora, almeno in parte, radici nella tradizione cattolica.  Nelle strutture profonde, la dimensione religiosa (le ‘radici cristiane’ del discorso politico) nelle sue innumerevoli aporie con i modelli economici e con la secolarizzazione della vita quotidiana è forse molto più influente di quanto non si sia portati a pensare;

– il divorzio tra alcuni segmenti della neoplebe, in particolare della classe operaia, e la sinistra nelle aree della ‘subcultura rossa’ e nei territori dell’ex grande impresa del Nord sembra assumere il tratto di una dinamica sradicante. Privi ormai di riferimenti, segmenti operai, o del proletariato dei servizi, vivono il disincanto della narrazione del mondo nuovo, giudicano la propria posizione sociale e relazionale rispetto a quella dei propri padri e nonni, vivono direttamente le ‘chiusure sociali’ che vivranno o stanno vivendo i propri figli, e sentono la paura e la minaccia della propria esistenza a fronte delle incertezze future, del rapporto con lo straniero, la distanza tra condizioni materiali di vita e le battaglie sui diritti civili, ma anche con le istituzioni che – seppur in misura assai minore di un tempo – dovrebbero assicurare i processi di riproduzione sociale. È probabilmente in queste situazioni che appare ineludibile la ri-politicizzazione, la costruzione di nuove prospettive e di possibili alleanze oltre il disincanto, la rassegnazione e la paura. Proprio per i nessi che legano condizioni materiali di vita, riproduzione sociale, welfare, forse anche possibili assonanze negli stili di vita (gli eco-habits, per esempio) tra classe creativa e neoplebe;

– il Mezzogiorno post-elettorale appare il luogo della ‘voice’, non più (solo) antisistema. Gli elementi chiave sono diseguaglianza, povertà, incivilities diffuse, aspettative che trovano soddisfazione solo nell’exit lavorativo, universitario, ospedaliero. Più ancora che negli altri casi, va qui ricordato che la rappresentanza non è solo politica. Tutte le istituzioni pubbliche (scuole, ospedali ecc.) rappresentano lo Stato. Nel Mezzogiorno una vastissima neoplebe, povertà e diseguaglianze, servizi pubblici, condizioni ambientali, nel loro intreccio, sono alla base del supporto delle istanze di un populismo temperato redistributivo, ben comprensibile guardando i flussi di spesa pubblica e la drastica riduzione della spesa corrente per il personale della pubblica amministrazione, un segmento fondamentale per quanto distorcente della vita economica e sociale. La capacità di invenzione sociale che tradizionalmente fa parte della grande città meridionale e non solo, e le necessità di investimenti in formazione e capitale umano possono costituire lo sfondo per nuove alleanze tra classe creativa e segmenti delle neoplebe (‘nuovi contadini’, operatori dell’economia della cultura e del turismo qualificato ecc.).


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