È partito dal micro il metodo di Bruno Latour, con Laboratory Life, la vita di un laboratorio scientifico della California degli anni Settanta. Qui da etnologo partecipante, scopre che la verità scientifica, un farmaco un brevetto un qualsiasi risultato di ricerca, è il prodotto di una negoziazione tra scienziati, di uno scontro di potere tra punti di vista: chi vince afferma la verità. Nascono così gli Science Studies, di cui Latour è stato un pioniere.
È passato poi al meso Latour, quando ha praticato l’analisi di rete in Actor-Network Theory (ANT) negli anni Ottanta e Novanta, studiando come interagiscono attori diversi, umani e non umani, insieme a Michel Callon e altri all’Ecole des Mines. Perfino Aramis, una metropolitana ad alta tecnologia i cui vagoni si fermano, è un attore insieme alla RATP, la società parigina del metro, nella sua indagine; perfino le conchiglie di S. Jacques sono attori insieme ai pescatori, agli allevatori e ai commercianti della baia di Saint-Brieuc. Metodo infine raccolto nella teoria dell’assemblaggio in Reassembling the social, primi anni Duemila. Riassemblare il sociale cosa vuol dire? Ripensare la società in generale come un insieme di siti locali.
L’interesse di Latour non è al tema della città e dell’abitare, perché Latour è un sociologo della scienza. Ma ci sono delle interessanti coincidenze epistemologiche che lo porteranno a nuovi modi di abitare la Terra. Lui parla di siti locali dove sono elaborate le strutture dette globali. Quindi è già presente una critica all’idea di globalizzazione uniformante. Egli mette in evidenza l’importanza di questi siti locali. E dentro questo discorso non c’è più una scala macro e una micro, una scala grande e una più piccola.
Perché anche il macro è un sito che si connette con altri siti micro. Entrambi questi siti sono in realtà fatti nella stessa maniera, anche se noi pensiamo che uno sia macro e l’altro sia micro. Quindi la scala, questa dimensione che chiamiamo scala, oggi è predefinita: una scala macro, micro, una scala globale, locale. Latour dice: no, la scala viene definita dagli attori che si scalano, si spaziano, si contestualizzano reciprocamente, grazie al trasporto di tracce specifiche che viaggiano su veicoli specifici.
Questa è una metafora abbastanza vicina al concetto di rete ma con una forte novità. Latour propone di smontare la società a partire da una localizzazione del globale. Il globale è un terreno modellato dove si formano degli intrichi, degli ibridi. E a partire da questa localizzazione del globale c’è una redistribuzione del locale. La struttura locale in realtà è stata anch’essa preformata da altre cose, siti, momenti, attori. Quindi alla fine, anziché partire dal luogo partiamo dalla circolazione tra i luoghi. Non partiamo più dal luogo, da questo luogo, ma partiamo dal fatto che questo luogo è possibile perché è stato preformato da una serie di altri luoghi, siti, attori, momenti che lo hanno formato e quello che noi vediamo è non tanto il luogo in sé nella sua definizione, ma i sistemi di circolazione tra luoghi che hanno reso possibile ciascuno di questi luoghi.
Quindi una proposta di rovesciamento del discorso sulla costruzione della società, a partire dall’idea di assemblaggio. Assemblaggi non solo di territori ma di politiche: pacchetti variabili che siano congruenti con strategie di sviluppo differenziate rispetto alle opportunità e ai vincoli locali. Uscendo dal sistema a matrioska delle istituzioni chiuse una dentro l’altra, rimontando da lì a forme nuove sia di società, di interazione, che di abitazione della Terra. Partire da lì al di là della scala, che siamo noi a definire, a costruire. La scala -piccola, media, grande- non vuol dire molto rispetto al sistema della mobilità e dei flussi che diventano il principale fattore esplicativo dello sviluppo dei territori.
Il metodo Latour culmina nella sua Enquête sur les modes d’existence. Une antropologie des Modernes, del 2012. La sua fenomenologia dei ‘modi d’esistenza’ rappresenta il più singolare tentativo di rilettura della società entro un paradigma di antropologia della modernità. Chi sono i Moderni? Sono quelli che affermano un certo modo di abitare la Terra, basato sull’ubiquità. L’inchiesta è il metodo per scoprirlo. Si basa sull’esperienza, e sul flusso degli effetti. I modi d’esistenza sono quelli che permettono agli esseri di esistere: essi (gli esseri biologici come gli oggetti tecnici, artistici, ecc.) spariscono senza che sia instaurato un loro modo d’esistenza.
I Moderni hanno ricondotto tutto a un unico modo, il loro: hanno voluto imporre una ‘ontologia regionale’, la loro, fino ad occupare e colonizzare tutti gli altri spazi, diventare universale, imponendo così la loro astrazione alla totalità degli altri. I Moderni sono quelli che abitano la Terra con un insieme di astrazioni, di amalgami: tutti gli aspetti relativi e le qualità secondarie vengono esclusi, resta solo l’astrazione. Gli esiti sono disastrosi: la Terra è ridotta a natura non costruita, universale, quindi da costruire e da assoggettare. Occorre allora ‘risettare’ la modernità, riportarla a uno stadio iniziale precedente alla biforcazione tra ‘Noi, i Moderni’ e la ‘Natura’. E prepararsi a una ‘negoziazione planetaria’ su queste nuove basi. L’ultimo Latour dedica a Gaia, la Terra, la sua ricerca: una ricerca riparativa.
Il metodo instaurato nella Enquête è nuovo anche nel suo sviluppo: è un libro aperto, continua nel sito di AIME (An Inquiry into Modes of Existence) che tutti possono visitare, continuamente alimentato da nuove inchieste che seguono il protocollo instaurato da Latour: proporre esperienze di modernizzazione, indicare i valori che vengono affermati, disegnare gli incroci che si determinano, procedere alla loro verificazione, per giungere all’affermazione di nuovi modi d’esistenza. Tutti possono partecipare. E imparare a costruire il mondo comune. Questa è la immensa posta in gioco.