Lautréamont, poeta maledetto

Autore

Alessandro Isidoro Re

Data

18 Ottobre 2022

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TEMPO DI LETTURA

2' di lettura

DATA

18 Ottobre 2022

ARGOMENTO

PAROLE CHIAVE


Cultura

Letteratura

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Dal giorno in cui egli seppe leggere fu poeta e da allora appartenne alla razza sempre maledetta dalle potenze della terra

Alfred De Vigny

Isidore Lucien Ducasse, in arte e conosciuto ai più come ‘conte di Lautréamont‘, nasce nel 1846, non in Francia, come sarebbe semplice pensare, bensì nell’emisfero australe – precisamente in america latina e, zoomando ancor più, in Uruguay, nel paese di Montevideo. Coordinate fertili, che 14 anni dopo daranno i natali anche al poeta Jules Laforgue.

Il nome di Ducasse s’interseca, con il suo pseudonimo Lautréamont, appena giunto a Parigi, subito nel dedalo artistico-libertino della capitale. A questi due elementi, va aggiunto un terzo nome: quello del suo alter ego letterario, nonché protagonista della sua (unica) opera principale, I canti di Maldoror – un coacervo di malignità sublime, in forma di prosa poetica, che sarà  eguagliata soltanto dai Demòni di Dostoevskij, pubblicati nel 1873 (vale a dire, 5 anni dopo).

Siamo quindi di fronte a una dialettica dello pseudonimo, una quadriglia mimetica che mischia Isidore a Lautréamont e a Maldoror.

Possiamo liquidare il secondo come ‘classico’ tentativo di darsi un tono come nuovo creatore mefistofelico, ispiratosi all’eponima opera di Eugène Sue – che, in realtà, vede una grafia diversa del nome in questione; ennesimo ingrediente di alterità alchemica di questa storia di specchi e riflessi letterari.

La relazione tra il primo e il terzo nome, invece, Isidore-Maldoror, è molto più interessante. 

Abbiamo qui, infatti, diversi livelli di esegesi onomastica:

1- il primo ci suggerisce un’elegante assonanza tra le due parole, che evidenzia vigorosamente la sovrapposizione del poeta in carne e ossa col suo antieroe di fantasia – che si evince altresì dai riferimenti al sudamerica presenti nel testo;

2- il secondo ci mostra una desinenza nefasta, quel ‘mal’ che introduce a un mare di guai e nefandezze narrati nei sei canti dell’opera;

3- infine, le ultime due sillabe che possono indicare il dono ricevuto, l’alloro lirico riversato copiosamente nel flusso di coscienza infinito della sua opera immortale. 

Un gioco linguistico che si perde tra le battaglie esotiche del libro, tra omicidi e crimini di ogni risma. Un safari nel regno del male, nel reame di Maldoror. Lettura più che consigliata; essere umano quantomeno da riscoprire.

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