Gaspara Stampa, le rime del rinascimento

Autore

Alessandro Isidoro Re

Data

5 Settembre 2022

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TEMPO DI LETTURA

3' di lettura

DATA

5 Settembre 2022

ARGOMENTO

PAROLE CHIAVE


Cultura

Letteratura

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In principio fu Saffo, certo, la prima grande poetessa – ma le sue memorie letterarie si perdono nell’alone del mito presocratico… Per incontrare la prima letterata riconosciuta a livello internazionale dobbiamo risalire al rigoglioso ‘500 italiano – culla del rinascimento europeo.

Stiamo parlando di Gaspara Stampa, da molti infatti paragonata all’antica lirica dell’isola di Lesbo, che infiammò la raffinata società veneziana nel giro di soli pochi anni, con le sue performance canore, le esibizioni al liuto e, appunto, le ardite rime (come si può evincere dal bel ritratto che vedete qui sopra, che vede Gaspara a proprio agio tra pile di libri e un’arpa sullo sfondo).

Altro che la ‘sprezzatura’ consigliata da Baldassare Castiglione 1 per il perfetto cortigiano dell’epoca, Gaspara – nata a Padova nel 1523 e trasferitasi poi a Venezia insieme a fratello e sorella – si mosse con gaia leggerezza 2 tra audaci tresche amorose e vivace libertà di spirito. Il tutto espresso da una donna, artista e libera – una sorta di prima poetessa sul palcoscenico intellettuale europeo.

Il fat(t)o non poteva passare certamente inosservato, e ben presto il salotto di casa Stampa divenne uno dei luoghi più ambiti e frequentati dalla società colta del nord-est Italia del ‘500: tra rime ed amori, fece sospirare i futuri poeti romantici, che in lei – appunto – videro il fulgido di una novella Saffo europea.

Tra le passioni focose, uno su tutti; quello per il conte Collaltino di Collalto – al quale è dedicata la raccolta antologica di poesie postume (1554), pubblicata dopo la morte, ahinoi prematura, della giovane poetessa.

Suicidio a causa del sentimento non ricambiato dal conte? Febbri intestine acuitesi per le pene d’amore? La risposta aleggia, come spesso accade in questi casi, nel dubbio fascinoso dell’eternità. A noi rimangono le rime, immortali – come questa:

Altri mai foco, stral, prigione o nodo
sì vivo e acuto, e sì aspra e sì stretto
non arse, impiagò, tenne e strinse il petto,
quanto ‘l mì ardente, acuto, acerba e sodo.
Né qual io moro e nasco, e peno e godo,
mor’altra e nasce, e pena ed ha diletto,
per fermo e vario e bello e crudo aspetto,
che ‘n voci e ‘n carte spesso accuso e lodo.
Né fûro ad altrui mai le gioie care,
quanto è a me, quando mi doglio e sfaccio,
mirando a le mie luci or fosche or chiare.
Mi dorrà sol, se mi trarrà d’impaccio,
fin che potrò e viver ed amare,
lo stral e ‘l foco e la prigione e ‘l laccio.

Note

  1. Il comportamento ideale che un ‘perfetto cortegiano’ deve tenere in ogni occasione, come suggerito nell’opera omonima di Castiglione; un complesso mix di eleganza e savoir faire e disinvoltura nei modi.
  2. La scuola poetica del gai saber (ripreso in futuro da Nietzsche per costruire la sua personale Gaia Scienza), nata due secoli prima, è sicura fonte d’ispirazione per la giovane Gaspara.
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