«Chi sono io?» è la domanda che l’adolescente della società occidentale invariabilmente si pone, almeno a partire dall’inizio del secolo scorso. Nel Medioevo – e oltre – spesso non aveva nessuna possibilità di scegliere il suo destino e di seguire la sua vocazione; pensiamo alla monaca di Monza, vissuta nel Seicento. Ma negli ultimi anni assistiamo a un nuovo fenomeno che caratterizza la ricerca di sé anche rispetto all’identità di genere: l’anatomia, che ha definito per secoli l’uomo e la donna, nella civiltà dei cyborg e delle biotecnologie, non sembra più essere un destino.
Nella nostra società ipermoderna che significato ha l’attività psichica che caratterizza il processo di formazione dell’identità adulta? Cosa vuol dire oggi cercarsi, individuarsi, definirsi?
Sono psicologa e psicoterapeuta, lavoro da tempo con gli adolescenti e, lungo il mio percorso di vita e professionale, ne ho incontrati tanti. La prima adolescente che ho incontrato è stata ‘me stessa’ negli anni tra il 1965 e il 1970. Il secondo gruppo di adolescenti è stato quello che ho incontrato da professoressa di lettere nella scuola secondaria. Il terzo gruppo è quello delle teorie psicoanalitiche sull’adolescenza, che ho studiato e insegnato per diversi anni. Il quarto gruppo è quello dei miei pazienti, allo stesso tempo diverso dai primi due ma anche simile, sotto certi aspetti.
Cercarsi
Comincio da me stessa. Iniziai il liceo classico, a Milano, con tailleur blu, calze trasparenti, cerchietto per tenere i capelli ordinati, scarpe con poco tacco. A dicembre arrivò una circolare del preside che recitava: «Si ricorda alle alunne che è permesso indossare i pantaloni solo in caso di neve». Si stava insieme nella stessa classe, ragazzi e ragazze, ma giacca e camicia per gli uni e gonne per le altre segnalavano chiaramente l’appartenenza al genere maschile o femminile. Nell’ultimo anno di liceo si fumava in classe, professori e studenti, ci si vestiva come si voleva e si contestavano aspramente, fino ad uscire in massa dalla classe, i docenti ‘impreparati’. Era passato lo tsunami del Sessantotto e i ruoli di genere cominciavano ad essere messi in discussione dal femminismo che si affermava: le ragazze reclamavano nuovi diritti. Non indugio oltre su memorie che mi appartengono ancora molto vividamente e che mi consentono, nella pratica clinica, di immedesimarmi negli adolescenti di oggi e di empatizzare con le loro inquietudini. Ricordo solo come fossero importanti gruppi e sottogruppi che erano reali, fatti di persone che si incontravano e agivano le loro passioni – aggregandosi e disaggregandosi continuamente. Eravamo tutti un po’ inebriati dalla sensazione di poter contare nella società e di influenzarne il corso. Cercavamo noi stessi contrapponendoci agli adulti – i ‘matusa’ – e rispecchiandoci nei nostri coetanei. Una musica ‘rivoluzionaria’ era il sottofondo onnipresente in tutte le nostre occasioni di aggregazione.
Individuarsi
Degli adolescenti che ho conosciuto come insegnante, alla fine degli anni Settanta, ricordo come fossero impegnati a comprendere come svincolarsi dai genitori e sperimentarsi nel rapporto con i coetanei, anche rispetto alle prime esperienze sessuali, soprattutto dai 14 anni in avanti. In una terza media di una scuola della Brianza, incoraggiata da una preside lungimirante, organizzai un corso di educazione sessuale in cui avevo coinvolto anche l’insegnante di scienze e quello di religione. Fu un successo e anche grazie a quella esperienza cominciai ad interessarmi alle teorie psicoanalitiche dello sviluppo e mi iscrissi a psicologia a Padova. Uno dei primi libri che lessi fu L’adolescenza, di Peter Blos1 che descriveva le vicissitudini dell’adolescente americano del dopoguerra, all’epoca del rock and roll. Il focus del suo libro era sulla gestione della pulsionalità dei giovani in un’epoca in cui la società consentiva loro una libertà mai goduta prima e contemporaneamente li considerava dei promettenti consumatori. Nel dopoguerra, anche la realtà italiana avrebbe vissuto dei cambiamenti socioculturali di enorme portata, con l’esplosione demografica e il boom economico: con qualche anno di ritardo si presentarono anche da noi, passando per Londra e Parigi, fenomeni già visti nella società americana. Erik Erikson2, psicoanalista di origine tedesca come Blos, rese popolare il termine ‘identità’, un concetto che sottolineava l’importanza del riconoscimento dei giovani da parte della società. Negli stessi anni anche il britannico Winnicott3 sostenne l’importanza della ‘tenuta’ delle figure adulte, a partire dai genitori, per la costruzione dell’identità.
Da quel momento in poi, tutti gli autori che si sono occupati di adolescenza in America e in Europa hanno privilegiato la ricerca dei fattori capaci di promuovere la formazione dell’identità, intesa come conclusione di un percorso che esita nella separazione dalle figure genitoriali dell’infanzia e nella individuazione: la personalità sana del giovane non è una somma delle identificazioni con gli adulti significativi incontrati nel corso dello sviluppo, a partire dai genitori, ma una formazione nuova, con una sua stabilità. A questi obiettivi oggi molti autori, in particolare i seguaci di Lacan in Francia, aggiungono quello della ‘soggettivazione’, che implica la capacità di conoscersi e sperimentarsi nel mondo avendo coscienza di sé.
Definirsi
Veniamo all’oggi. Viviamo in un’epoca complessa, in una società che è stata definita ‘narcisista’ da Lasch4 e ‘liquida’ da Bauman5. Per i giovani i punti di riferimento scarseggiano, le scelte possibili aumentano, aiutate anche dalle esplorazioni in rete («e il naufragar m’è dolce in questo mare»), ma non le opportunità reali. Viene sempre più allontanato il momento in cui può definirsi raggiunta la ‘costanza del Sé’6. Gli adolescenti in molti casi mostrano di aver perso la capacità di riconoscersi un’identità dopo un periodo di sperimentazioni, grazie anche a quella ‘moratoria psicosociale’7 che la società concedeva loro. Una identità adulta dovrebbe garantire la possibilità di esprimere un Sé coeso ma allo stesso tempo includere rappresentazioni di sé e dell’altro non rigidamente fissate, persino contradditorie. Paradossalmente, a fronte della diffusa difficoltà di portare a termine la fase adolescenziale, assistiamo oggi ad un fenomeno nuovo che riguarda molti ragazzi: il bisogno di definirsi, spesso favorito dalla difficoltà che hanno gli adulti di tollerare, a loro volta, l’incertezza. La definizione di sé spesso sostituisce la ricerca, l’attesa e le identificazioni ‘di prova’. Sentiamo i ragazzi spesso affermare: «Sono depresso, anoressica, bipolare» o anche, rispetto al genere, ‘fluido, bisessuale’ o, addirittura ‘neutro o, in inglese, agender’. Definirsi per non definirsi, sembrerebbe.
Dalla sociologia e dalla filosofia a questo fenomeno sono state spesso attribuite cause esterne, sicuramente influenti (la rete, la mancanza di lavoro, la pandemia, le caratteristiche della famiglia nucleare, il cambiamento del ruolo paterno…). A queste aggiungo una prospettiva che riguarda lo sviluppo psicologico influenzato da nuove abitudini nell’allevamento dei bambini: la riduzione, nell’infanzia e nella famiglia, dello spazio del gioco spontaneo. Fu Winnicott8 a sottolineare l’importanza di questa esperienza formativa fondamentale, a partire dal ruolo dell’oggetto transizionale, reso popolare dai fumetti di Schultz come ‘copertina di Linus’. Il lenzuolino o il peluche scelto dal bambino piccolo è il primo oggetto ‘me-non me’, mantiene l’illusione della presenza materna anche quando la madre è assente, ed evolve nei fenomeni transizionali e in tutte quelle esperienze umane che rendono la vita interessante, stimolante, creativa. Winnicott vi include la religione, la musica e l’arte. Oggi persino i giocattoli per la prima infanzia devono essere educativi. Creare non significa produrre forme artistiche, ma, seguendo Winnicott, essere artefici della propria vita. I genitori, fin dai primi mesi, spesso cercano di saturare la mente del proprio bambino con nozioni e concetti, impedendogli di sperimentare l’ozio creativo e di fare l’esperienza dello stare solo ‘con sé stesso’. Anche nel periodo di latenza, che corrisponde all’età della scuola primaria9, il gioco libero, quello che si praticava in strada o nei cortili, è quasi sparito; vengono piuttosto privilegiate le attività sportive, intellettuali o anche ludiche, ma sempre sotto la supervisione dell’adulto. Le conseguenze di questa precoce adultizzazione del bambino sono sotto gli occhi di tutti. Gli adolescenti attuali sono pieni di timori e di ‘paranoie’, come loro amano definire le proprie insicurezze; spesso non sono riusciti a concepire uno spazio interno di pensiero immaginativo che si frapponga tra gli impulsi e l’azione. Freud10 definì il pensiero un’azione di prova; in adolescenza questa affermazione assume una particolare rilevanza. È importante che l’adolescente crei varie rappresentazioni di ‘sé con gli altri’ rimanendo sul ‘monte del possibile’ e talvolta scendendo ‘a valle’ per mettere alla prova questi scenari identificatori e relazionali. Se non ha imparato che il regno del possibile non coincide con la realtà e non sa tollerare gli scostamenti e le contraddizioni di questo incontro, può finire per agire i suoi impulsi, optare per una identità qualunque, anche patologica, o tornare ‘sul monte’ come un eremita. Per l’esito di questo ‘apprendistato’ hanno un ruolo fondamentale gli adulti che spesso, come dicevamo, invece di attendere che la ‘bonaccia’, come la chiama Winnicott11, lasci il posto ai venti che gonfiano le vele, cercano di accelerare l’uscita dall’incertezza dei loro figli. La madre di un mio paziente diciottenne che lamenta un profondo senso di ‘irrealtà’ recentemente mi ha detto: «Ma se mio figlio non è depresso, in quanto non reagisce agli antidepressivi, allora che cos’è? Ho bisogno di saperlo!»
Le conseguenze di questo impoverimento dell’immaginazione e della riduzione di questo ‘spazio di sicurezza’ sono sotto gli occhi di tutti: dalla proliferazione dell’ansia e degli affetti depressivi alle attuali soluzioni patologiche (anoressia, ritiro sociale). Il pensare e l’agire spesso coincidono, come anche recentemente hanno dimostrato gli omicidi compiuti da ragazzi nei confronti dei genitori o delle fidanzatine. Rispetto alla ‘scelta’ dell’orientamento sessuale o del genere, che sono due aspetti dell’identità diversi, anche se tra loro ben collegati, la sperimentazione che caratterizzava l’adolescenza qualche decennio fa sembra avere lasciato posto a una precoce definizione. Alle disforie di genere che legittimamente aspirano a trattamenti di transizione, si affiancano oggi molte richieste che, se analizzate attentamente, potrebbero rivelare fragilità identitarie più estese. È un tema complesso, questo, che ha suscitato in questi ultimi anni un grande dibattito anche a livello politico. Per tornare al gioco, ricordo che il termine inglese play significa anche recitare (e suonare). Se ad un bambino viene data l’opportunità di giocare liberamente con i pupazzetti o di immedesimarsi nei personaggi che imita costruendo degli scenari immaginari insieme ai suoi coetanei, da adolescente saprà mettersi in gioco sperimentando varie identità di prova, nella fantasia o nella realtà, prima di consolidare un’idea di sé più stabile. Per fare questo ha bisogno che gli adulti, genitori e insegnanti, non lo pressino con le loro richieste altamente prestazionali e sappiano tollerare i momenti di crisi e le oscillazioni identitarie: vestirsi in modo eccentrico o incongruente con il sesso di nascita può essere un fenomeno passeggero, magari provocatorio, e non la prova di una transizione di genere in atto.
Note
- P. Blos, L’adolescenza: una interpretazione psicoanalitica. Franco Angeli, Milano, 1971 (ed.or.1962).
- E. H. Erikson, Infanzia e società. Armando, Roma, 1966 (ed. or.1950).
- D. W. Winnicott, La famiglia e lo sviluppo dell’individuo. Armando, Roma, 1992 (ed or. 1965).
- C. Lasch, La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive. Neri Pozza, Milano, 2020 (ed.or. 1979).
- Z. Bauman, Modernità liquida. Laterza, Roma-Bari, 2002 (ed.or. 2000).
- M. Waddell, Mondi interni. Psicoanalisi e sviluppo della personalità. Bruno Mondadori, Milano, 2004 (ed or. 1998).
- E. H. Erikson, Gioventù e crisi di identità. Armando, Roma, 1995 (ed.or. 1968).
- D.W.Winnicott, Gioco e realtà. Armando, Roma, 1971 (ed.or. 1971).
- A. Grotta, P. Morra (a cura di), Bambini già adulti. Problemi dello sviluppo infantile al tempo di Internet. Pendragon, Bologna, 2021.
- S. Freud, Precisazioni su due principi dell’accadere psichico, in “Opere 1909-1912”, Vol. VI. Boringhieri, Torino 1985 e 2001.
- D. W. Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente: studi sulla teoria dello sviluppo affettivo. Armando, Roma, 1970 (ed.or.1965).