Sepolture celestiali

La vita eterna diventa viaggio eterno: negli USA crescono i funerali spaziali. Ma anche nello spazio si può morire. La Stazione Spaziale Internazionale si adegua

Autore

Tiziana Panizza Kassahun

Data

8 Settembre 2025

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4' di lettura

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8 Settembre 2025

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Spazio

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In orbita, sulla Luna o nello spazio profondo: oggi è possibile avere una sepoltura celeste e portare letteralmente le proprie ceneri, spoglie o DNA nello spazio. Sono tre aziende nel mondo che forniscono questi servizi, agli esseri umani e persino ai loro animali domestici.

Andare in cielo è un eufemismo: significa morire. Ed è proprio nei cieli che fede e immaginazione hanno istituito la sede dei Beati e degli Dei.

Fin dai primordi della nostra civiltà il reame delle divinità è possibilmente anche il reame dei morti. Andare all’altro mondo, quello cioè lontano, venturo, post terrestre, fuori orbita, simboleggia la capacità di raggiungere il regno delle anime. È lassù nella volta celeste e nei corpi luminosi che abbiamo immaginato il Paradiso. I cieli, una volta intangibili e irraggiungibili, esistevano per noi nel momento in cui una creatura umana, morendo, lasciava la terra. O almeno così era nel passato.

Oggi è possibile avere una sepoltura celeste e portare letteralmente le proprie ceneri, spoglie o DNA nello spazio. L’invio nello spazio di un piccolo campione di resti o di DNA è l’opzione più recente pensata per coloro che scelgono di non essere cremati. Le destinazioni e modalità sono svariate: spargimento delle ceneri sulla superficie lunare, viaggio andata e ritorno delle spoglie entro i limiti dell’orbita terrestre e viaggio di sola andata fuori dal sistema solare attraverso una navicella tipo Voyager. In orbita, sulla Luna o nello spazio profondo, la gamma di servizi offerti è insomma davvero ampia. Non solo accessibile agli esseri umani, ma persino ai loro animali domestici. I costi variano a seconda della tipologia scelta e per alcuni servizi possono addirittura risultare sorprendentemente modici. Per esempio, i prezzi per il servizio Earth Rise, in cui i campioni di DNA dei defunti «sperimentano l’ambiente a gravità zero» e tornano sulla Terra, vanno da 3.495 a 11.085 dollari. Altri pacchetti più costosi comprendono servizi commemorativi, monitoraggio satellitare, presenza al lancio e, generalmente, chi partecipa alla commemorazione funebre può anche seguirne le fasi tramite un sito web. Shooting Star Memorial, per esempio, include un video montato professionalmente del percorso commemorativo.

Le aziende specializzate in sepoltura spaziale come alternativa alle sepolture tradizionale sono solamente tre: la Celestis, la Elysium Space e la Beyond Burial che si differenzia dalle altre due per la ‘sostenibilità’ dei suoi servizi, ovvero garantendo e certificando che le loro ‘commemorazioni dei defunti’ non creano detriti spaziali. Ma quando sono iniziate le sepolture celestiali? Nel 1992, l’astronauta della NASA James Weatherbee trasportò un piccolo contenitore con le ceneri di Roddenberry, il creatore di Star Trek, sullo Space Shuttle Columbia durante la missione STS-52. È soltanto nel 1997 che Celestis debutta commercialmente offrendo sepolture e cerimonie commemorative nello spazio. Inizia lanciando proprio una parte delle ceneri di Roddenberry, insieme a quelle di altri individui, tra cui Timothy Leary, in orbita attorno alla Terra a bordo di un razzo Pegasus partito dalle Isole Canarie. L’involucro con le loro ceneri brucerà nell’atmosfera nel 2002, dopo essere orbitato nello spazio per cinque anni.

Le sepolture, i funerali e le commemorazioni dei defunti nello Spazio sono arrivati prima del turismo spaziale. A conferma che alla conquista dello Spazio sottintende la nostra conquista dell’eternità. Un’infinita estensione nel tempo, che non ha inizio e non avrà fine. Gli archetipi millenari che sottendono al concetto dell’aldilà, ovvero quelle espressioni di forme a priori dell’essere che stanno in alto, che sono eterne e che tengono saldo il mondo, sono nel nostro DNA culturale. La morte è così percepita come ‘passaggio’, non la fine ma un confine da oltrepassare. Se nell’immaginario umano il contrario di mondo è il vuoto, il niente, l’eternità, un nulla che ci circonda e ci sovrasta ma che è ‘per sempre’, la sepoltura celestiale rappresenta, probabilmente, il tentativo di raggiungere quel ‘luogo’. 

E se l’universo è infinito, come pare, non è escluso che ci possano essere mondi al di là dei mondi. Cieli al di là dei cieli.

L’astrofisica ci dice però che nello Spazio non esiste vuoto e non esiste un centro, o meglio, il centro è dappertutto: ciascun punto dell’infinito può essere centro di qualcosa, di una galassia, di un sistema di galassie, di una costellazione e il vuoto cosmico pesa da morire perché delimitato da enormi ammassi e super ammassi di galassie legati tra loro da forze gravitazionali. L’entropia ci spiega che questo universo si consumerà e andrà verso la sua morte termica, raggiungendo il suo equilibrio termodinamico. La teoria dell’antimateria ci assicura che andrà verso un buco nero che lo inghiottirà, lo risucchierà. Altre teorie prevedono che andrà verso una alterità.

Ma cosa succede se a una creatura umana accade di morire mentre si trova nella volta celeste? Per esempio a un astronauta. Esistono norme simili a quelle di polizia mortuaria nella stazione Spaziale? Quale trattamento post-mortem è previsto? Quale protocollo si deve seguire? Quale involucro deve avvolgerlo? E di che materiale? Insomma se un astronauta muore nello spazio cosa succede? Il suo corpo viene conservato fino al rientro sulla Terra o viene rilasciato nell’orbita terrestre, dove si disintegrerebbe nel rientro atmosferico? E se rimandato sulla terra va poi bruciato insieme ai vari materiali contaminati? 

La morte di un astronauta nello spazio solleva complesse questioni etiche e logistiche. Lasciare il corpo nello spazio come luogo finale di riposo o lanciarlo nel vuoto interstellare? Nei vigenti trattati internazionali nessun articolo prescrive i comportamenti da osservarsi nel trasporto del cadavere di un astronauta. In realtà NASA nel 2012 ha inviato alla stazione spaziale internazionale una sorta di scatola facente funzioni di morgue. La prima ‘camera mortuaria’ lanciata nello spazio è stata inviata in orbita insieme a un cargo di pasti precotti e congelati e a numerosi strumenti scientifici. Si chiama HRCU (Human Remains Containment Unit), unità di contenimento per resti umani. Una sorta di versione modificata del sacco per cadaveri utilizzato dai militari in guerra. Ha un sistema di refrigerazione per rallentare la decomposizione con integrato un meccanismo per filtrare e controllare che non ci sia fuoriuscita di odori. E se l’astronauta anziché nella stazione spaziale muore sulla Luna o su Marte? Il riguardo per i morti oltrepassa la tecnica e sonda i magnifici misteri dell’animo umano e della civiltà. In ogni creatura che viene a mancare si proietta l’intero universo, così da farci essere quello che siamo: mortali. La morte è in fondo ciò che lega e connette tra loro tutte le generazioni, passate, presenti e future. Ma è anche una sorta di rapporto inedito tra coloro che sono sulla Terra e coloro che sono in Cielo e oggi nello Spazio. La cultura dei terrestri è iniziata con la sepoltura, e quella della generazione interplanetaria?

Proprio mentre sto ragionando su come chiudere queste riflessioni leggo la notizia: 

«il paracadute della capsula Nyx che trasportava 166 ‘frazioni simboliche’ di resti umani e campioni di DNA non si è aperto. La capsula e i resti si sono schiantati nell’Oceano Pacifico a tutta velocità, distruggendoli. Lo schianto è avvenuto Lunedì 30 Giugno 2025 alle ore 10». Questa la dichiarazione della società Celestis sul fallimento della sua missione Perseverance: «Sebbene al momento riteniamo di non poter restituire le capsule di volo, speriamo che le famiglie trovino un po’ di pace sapendo che i loro cari hanno partecipato a un viaggio storico, sono stati lanciati nello spazio, hanno orbitato attorno alla Terra e ora riposano nella vastità del Pacifico, in un momento simile a una tradizionale e solenne cerimonia di abbandono in mare».

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