Il ‘fotosaggiare’ di Guido Guidi

Autore

Andrea Mattiello

Data

4 Luglio 2025

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4 Luglio 2025

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Arte

Fotografia

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Il paesaggio è un’idea. La mente si figura lo spazio attorno e questo assume forme, colori, movimenti, azioni. La figurazione ideale però è anche un dato di fatto, che ha molto a che fare con la natura, ma altrettanto con l’essere umano e la sua immaginazione. Probabilmente ogni forma di vita senziente munita di apparati in grado di dare forma al mondo che la circonda, ha capacità immaginative, ma di queste, per ora, non si ha possibilità di narrazione, sebbene sia affascinate immaginarsi come immaginino gli animali o addirittura come forme di intelligenza artificiale possano fare altrettanto, come dal titolo del celeberrimo romanzo di science fiction di Philip K. Dick Do Androids Dream of Electric Sheep? del 1968.

Replicanti a parte, se provate a chiudere gli occhi, ad attenuare i sensi e immaginare il paesaggio o la veduta davanti e attorno a voi, che immaginate? Ognuno genererà una versione di paesaggio unica che cambierà in relazione al contesto in cui vi trovate a leggere queste righe. Aprendo gli occhi e riconnettendovi con la realtà, se provate a sovrapporre il paesaggio che vi sta intorno, con quello che avete appena immaginato, o meglio inquadrato nello spazio della vostra immaginazione, che cosa riscontrate? Il paesaggio da voi immaginato e quello reale, sono prossimi? Cosa avete incluso o scartato nella vostra versione immaginata di paesaggio? I due paesaggi quanto e come si discostano? Nell’insieme che raccoglie le specificità reali e le modificazioni di queste generata della vostra immaginazione, lì sta la capacità del paesaggio di essere luogo insieme di generazione naturale e antropica, luogo di potenzialità creativa che da millenni spinge homo sapiens a rappresentarlo.

Guido Guidi, San Giorgio di Cesena, 1985

Non è qui il luogo per tentare di dare conto della tradizione che nelle arti visive si è confrontata con il paesaggio, che poi è in parte quello che questa rubrica si prefigge di fare, ma sicuramente queste considerazioni bene introducono la ricerca di Guido Guidi (Cesena, 1941), uno degli artisti italiani contemporanei che ha costruito una lunga carriera ‘inquadrando’ intellettualmente e artisticamente la questione del paesaggio con la fotografia. In sessant’anni di attività, Guidi ha ideato e predisposto assaggi di realtà dalla forte capacità evocativa perché aderenti tanto al dato di natura, quanto alle tracce antropiche del paesaggio. Con il suo lavoro Guidi ha trasformato il paesaggio in un luogo di esperienza e di conoscenza prima di tutto per noi osservatori, oltre che per il fotografo. Grazie a un percorso di ricerca decennale l’artista ha pianificato e intrapreso innumerevoli e quotidiane azioni di presa del reale, realizzate con l’intento di ‘fotografare’ e ‘saggiare’ il paesaggio, per ‘fotosaggiarlo’ appunto. La risultante di questa operosità artistica è una collezione di immagini fotografiche dove il paesaggio è certamente rispecchiato con estrema dovizia documentaristica, ma risulta soprattutto riscritto criticamente dalle scelte tecniche, formali e curatoriali messe in atto dal fotografo; una collezione quella di Guidi che ci ricorda che non c’è paesaggio senza l’inclusione dell’umanità.

Ingresso mostra “Col Tempo” 1956-2024

Per comprendere la vastità e la ricchezza generativa della ricerca di Guidi, sarebbe bastato visitare la grande retrospettiva dedicata alla carriera dell’artista Col Tempo, 1956-2024 tenutasi al MAXXI di Roma dal 13 Dicembre 2024 al 20 Aprile 2025 e curata da Simona Antonacci, Pippo Ciorra e Antonello Frongia1. Se avete mancato la mostra, e se non passate da Milano, dove è ora visitabile fino al 27 Luglio 2025, la mostra Da un’altra parte presso gli spazi di 10 Corso Como2, potete sfogliare il bellissimo libro d’artista che quella mostra ha accompagnato e intitolato Guido Guidi. Col tempo, 1956-20243. Le quasi 500 stampe fotografiche, organizzate in cinque macro-sezioni e quaranta sequenze della mostra, presentano una molteplicità di tematiche, tra queste centrale è il tema del paesaggio inteso in svariate formulazioni: antropico, urbanistico, architettonico, di dettaglio, di vista d’interni. Il paesaggio è ritratto da Guidi in modo articolato e creativo, ricorrendo a differenti formati fotografici, con grandi negativi e l’uso di banchi ottici, sviluppando un approccio alla fotografia di paesaggio con una cifra di alta riconoscibilità perché costruito componendo le immagini sulla lastra fotografica con lenta osservazione, con un passo da escursionista del visivo, in contrappunto con l’istantaneità del mezzo fotografico, e ricorrendo spesso al rimontaggio di immagini con gli indici dell’attività del fotografo, come stampe a contatto con provini, nastri per mascherature, segni e scritte realizzate con matite di cera con le note di post-produzione sui provini delle stampe stesse.

Guido Guidi, Ronta, 2016
Guido Guidi, Ronta, 2021

Quella di Guidi è una ricerca artistica che si manifesta nel suo compiersi mostrando oltre alle immagini le sue stesse procedure e prassi laboratoriali. Riflettendo sui suoi soggetti, tra questi il paesaggio, la fotografia di Guidi riflette su sé stessa: l’atto artistico e la sua fruizione guardano e si lasciano guardare, nel tempo, con attenzione e ascolto. Un’arte la sua che si fa e si fruisce quindi con tempi dilatati, ‘col tempo’ appunto, come dal titolo della retrospettiva, riferimento al cartiglio dipinto nella mano destra dell’anziana donna ritratta nella celebre opera di primo Cinquecento La Vecchia di Giorgione4.

Come in quest’opera di Giorgione, la fotografia di Guidi è frequentemente segnata da un realismo preciso che si manifesta grazie alla composizione sullo spazio della fotografia di figure e presenze umane, forme, materie e luci rese parlanti grazie a piani fatti di murature, pavimentazioni, intonaci e superfici segnate, intervallati a porzioni di cielo e terra, campiture di asfalto di strade di periferia, superfici di cemento, riflessi su vetri e ombre. La fotografia di Guidi si sviluppa come una lunga meditazione sull’atto del vedere, sul paesaggio come documento vivo, ma anche sull’uso della biblioteca e dell’archivio fotografico dell’artista come spazio laboratoriale, officina per la ricerca, la formazione e l’incontro. Nell’officina e nei corsi tenuti da Guidi nei decenni recenti si sono incontrate le nuove generazioni della fotografia romagnola e italiana5, incontri in parte raccontati dalla video-installazione, anch’essa in mostra al MAXXI, Da Guido di Alessandro Toscano6.

Da Guido video-installazione di Alessandro Toscano

La mostra è stata costruita a partire dall’archivio personale dell’artista, custodito a Ronta di Cesena, luogo operativo e mentale, dove fotografia, memoria e insegnamento si sovrappongono. L’allestimento, dopo il ritratto intimo del laboratorio di Guidi con la video-installazione di Toscano, si sviluppa lungo un percorso duplice: da una parte le sequenze fotografiche che attraversano cronologicamente quasi settant’anni di ricerca dell’artista; dall’altra le teche documentarie che ne mostrano il retrobottega intellettuale, come manoscritti, libri, appunti, materiali preparatori, veri sedimenti del pensiero fotografico dell’artista.

La mostra curata in successioni cronologiche, dopo una premessa intitolata Preganziol, si apre con Esordi, con opere in bianco e nero degli anni Sessanta, intrise della didattica veneziana di Scarpa, Zevi, Zannier, che mostrano già il tentativo di imprimere una struttura visiva a una realtà quotidiana apparentemente priva di grandiosità. Nella sezione intitolata Le ricerche degli anni Settanta, sono raccolte fotografie che presentano un doppio binario: da un lato la fotografia diaristica, erratica, talvolta sfocata o sovraesposta; dall’altro, l’attenzione all’edilizia ordinaria, al prospetto architettonico usurato, come nell’esemplare della foto Fosso Ghiaia, 1972 con la scritta ‘Villa dei sogni’, facciata di un abitare che rimane sospeso in un compromesso tra realtà e aspirazione.

Veduta mostra Col Tempo, 1956-2024
Guido Guidi, Porto Marghera, 1988

Gli anni Ottanta e Novanta vedono l’approfondirsi del lavoro a colori e con il banco ottico, formati come il 20×25 che esigono lentezza, rigore e disponibilità a un confronto più contemplativo con lo spazio. Cesena, Marghera, Trieste, la Via Emilia, fino alla lunga traversata dell’Europa sulla strada B1, da Kaliningrad a Santiago di Compostela: un atlante di luoghi apparentemente marginali che diventano, nello sguardo di Guidi, testimonianza di una stratificata azione culturale e allo stesso tempo di commento circa la civiltà europea tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo.

Nel cuore del lavoro di Guidi pulsa una concezione etica e politica del paesaggio, inteso non come semplice sfondo ma come ‘bene comune’, nel senso proposto da Salvatore Settis di memoria collettiva, risorsa civile, e diritto sia delle generazioni presenti e di quelle future7. Ma il ‘bene comune’ di Guidi, non è solo quello sottointeso da Settis, dell’Italia monumentale delle città d’arte o del paesaggio da parco naturale apparentemente acheropita, ovvero non toccato da mano umana. Il paesaggio per Guidi è cosa più vasta, comprensiva di zone industriali, di vista di periferie, di strade provinciali, di ambienti interni vissuti o abbandonati. Questi paesaggi ci vengono mostrati per quello che sono, o meglio per come appaiono allo sguardo mono-oculare dell’artista che traguarda il visore di una macchina fotografica, o bi-oculare davanti al banco ottico del grande formato. Guidi non trasfigura il paesaggio: lo osserva nella sua concretezza, lo fotografa in coerenza con il principio del realismo della fotografia, che tanto deve alla tradizione del realismo novecentesco8, così come alla fotografia documentaristica e sociale sviluppatasi negli Stati Uniti dagli anni Trenta in poi del secolo scorso9. Il paesaggio di Guidi è documento vivo, oltre ogni deriva onirica, espressionista e simbolista, a tratti affine con il dettame di fedeltà al reale del cinema di Michelangelo Antonioni, e allo stesso tempo con la rarefazione e astrazione di piani e luci che rimandano tanto alla pittura di un Piero della Francesca e alla pittura metafisica.

Questa fedeltà dialettica al reale non è però mai piatta registrazione, ma adesione a una complessità formale che valorizza anche l’imperfezione, il dettaglio, il caso. Ogni muro scrostato, ogni crepa, ogni tapparella abbassata, ogni porzione d’asfalto incastonato tra un campo e le mura di un casolare, ogni angolo industriale, diventa paesaggio, raccontato spesso con sequenze di scatti realizzati con inquadrature multiple e in successione, con archi temporali più o meno lunghi, con enfasi sul trasformarsi di luci e ombre. Queste trasposizioni di paesaggio, queste scritture con immagini del paesaggio, si caricano di un forte portato immaginifico, attivando in chi guarda un processo che genera immagini mentali partendo dalle immagini fotografiche, in un gioco ricorsivo che trae forza anche dagli svelamenti laboratoriali presenti in alcune delle stampe fotografiche di Guidi. Il paesaggio di Guidi è una grande opera compositiva di scrittura per immagini che tiene insieme dato di natura e dato antropico, con intelligente aderenza alla capacità generative legate alle molteplicità del paesaggio stesso.

Veduta mostra “Col Tempo” 1956-2024

Questa attenzione di Guidi per il palinsesto visivo del paesaggio in ultima istanza restituisce dignità a qualsiasi ente osservato, non solo a tradizionali soggetti da ritratto (non mancano tra le opere di Guidi ritratti fotografici di chi negli anni l’ha frequentato, dei suoi studenti, o casualmente incontrato, e delle opere degli architetti come Le Corbusier), ma anche a un insieme di evidenze che molto spesso diamo per trascurate, ai bordi della nobiltà che riconosciamo ad esempio al paesaggio di natura incontaminato, alle architetture o ai monumenti delle città d’arte. Queste evidenze sono così svelate nella loro profonda dignità e in quella forma intrinseca di bellezza che non cerca consenso, che conta perché semplicemente esiste e non perché debba essere esibita, e che si rivela nel tempo dell’osservazione e della ricerca di quelle che Antonello Frongia ha definito come e ‘geografie minime’ di Guido Guidi10.

Veduta di due opere di Guido Guidi dedicate alla Tomba Brion

Emblematico in questo senso il lavoro sulla Tomba Brion di Carlo Scarpa: un’opera che Guidi fotografa cercando di entrare nel ‘processo mentale dell’architetto’, cogliendone geometrie invisibili, giochi di luce sfuggiti perfino alla critica architettonica. La sequenza di fotografie realizzate da Guidi, e oggetto di una mostra a Mendrisio all’Accademia di Architetture del 201311, è uno degli esempi più compiuti della sua capacità di trasformare l’architettura in paesaggio e, viceversa, di trattare ogni paesaggio come architettura vivente e del vissuto.

Le fotografie della Tomba Brion sono esemplari per l’uso del grande formato, del banco ottico, della pellicola di grande dimensione, non solo per questioni di tecnica, ma soprattutto per una dimensione di poetica. Le immagini in queste fotografie si costruiscono e si mostrano lentamente, ‘col tempo’, ritornando al titolo della mostra. Quelle dedicate alla Tomba Brion, così come ogni presa e stampa fotografica di Guidi è frutto di ritorni, varianti e saggi. Lo sguardo si deposita sulle cose, le lascia affiorare, e le assaggia. Non a caso, la mostra si conclude con due sequenze recenti: Raccolta indifferenziata e In archivio, che rappresentano il punto d’arrivo, ma anche una sorta di ripartenza, di questa ricerca circolare. In questo contesto, l’archivio di Guidi diventa uno strumento generativo: un luogo in cui il pensiero fotografico si sviluppa non come collezione statica, ma come officina permanente. Un laboratorio aperto a giovani autori, un luogo in cui si pensa la fotografia e con la fotografia.

Col Tempo non è solo una retrospettiva, ma un gesto di responsabilità culturale. Il paesaggio che Guidi ci mostra, tra Romagna, Veneto, Sardegna, città post-industriali e architetture iconiche, non è mai visto come risorsa da sfruttare, ma come luogo da osservare, vivere e abitare eticamente. In questo senso, la mostra risponde a quella necessità evocata da Settis di passare dal paesaggio ‘da guardare’ al paesaggio ‘da vivere’.

La fotografia di Guidi è politica nel senso più alto: non perché denuncia, ma perché mostra. Mostra ciò che è, ciò che resta, ciò che rischia di scomparire. E nel farlo ci invita, come spettatori, a diventare cittadini del paesaggio. In un tempo dominato dalla velocità, dall’istantaneità e dalla distrazione visiva, l’opera di Guido Guidi è un atto di resistenza. Resistenza alla retorica dell’estetizzazione standardizzata, all’eccesso della perfezione, all’astrazione decorativa. È un invito a rallentare, a sostare, a osservare, a saggiare in profondità. E in questo sostare, a pensare. Col Tempo, come tutta la ricerca artistica di Guido Guidi, in fondo è un esercizio di consapevole cittadinanza visiva, l’articolazione di un pensiero civico che si origina da un’idea, che nel caso di Guidi poi si manifesta con l’azione di uno sguardo saggio che si posa su di noi e sul paesaggio, sguardo che rimane incastonato in immagini che ci aiutano a pensare, consentendoci di reimmaginare noi stessi assiema al paesaggio. Le immagini di Guidi sono strumenti potenti che tra verticale e orizzontale, tra bianconero e colore, tra paesaggio/ambiente e paesaggio/persona aiutano tutti noi a tra-guardare quello che vediamo.

La ricerca di Guidi è un ‘fotosaggiare’ il mondo con la fotografia, un’arte che, come precisa Guido Guidi stesso, «è difficile, molto difficile» perché per farla «basta schiacciare un pulsante»12, dopo aver fatto un lungo percorso di vita, di studio, ricerca e aver costruito relazioni attorno e davanti a molteplici paesaggi, che infondo sono gli specchi più fedeli della società che li produce13.

Note

  1. Sulla mostra, per immagini relative alla mostra e alle opere in mostre, si veda https://www.maxxi.art/events/guido-guidi-col-tempo-1956-2024/ 
  2. Si veda https://10corsocomo.com/it/blogs/news/guido-guidi?srsltid=AfmBOoqyarFZjxpOth5Rmm2-eNPb7SNsSbDsGC3k_jv3J9CX_OCjcqSM 

  3. Guido Guidi. Col tempo, 1956 – 2024, a cura di S. Antonacci, P. Ciorra, A. Frongia, Mack, Londra, 2024

  4. Si veda https://www.gallerieaccademia.it/la-vecchia
  5. Si veda la mostra Otto volte due: A window into contemporary Romagna photography, Large Glass 9 settembre–15 ottobre 2022, informazioni qui: https://largeglass.co.uk/otto-volte-due
  6. Si veda https://www.instagram.com/p/DFupP6cMld3/?img_index=1 
  7. S. Settis, Il paesaggio come bene comune, in “Belfagor”, Vol. 67, No. 1, 31 gennaio 2012, pp. 81-90.
  8. T. Serena, Fotografie testi segni: note sull’opera di Guido Guidi, in “Versants”, vol. 2, n. 68, pp. 93-110, 2021

  9. Ci si riferisce qui alla tradizione fotografica promossa dalle mostre curate da John Szarkowski al Museum of Modern Art, come ad esempio, The Photographer’s Eye del 1964, o New Documents del 1967, o American Landscapes, del 1981. Per le mostre di Szarkowski al MoMA, in: https://www.moma.org/calendar/exhibitions/history/?begin_date=1929&end_date=now&location=both&mde_type=Exhibition&q=John+Szarkowski+&sort_date=relevance 
  10. A. Frongia, «Almeno un sasso»: note sulla geografia minima di Guido Guidi, in A. Frongia, L. Moro (a cura di), Cinque paesaggi, 1983-1993, Postcart, Roma, 2013, pp. 90-95.

  11. Si vedano le stampe fotografiche nel sito dedicato alla mostra Guido Guidi. La Tomba Brion di Carlo Scarpa, in: https://www.arc.usi.ch/it/feeds/10853 

  12. Dalla dichiarazione di Guido Guidi in apertura al video realizzato la mostra al MAXXI, in: https://www.youtube.com/watch?v=QUE7AE3Ap0U&t=8s 

  13. S. Settis, Il paesaggio come bene comune, cit., p. 85.
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