Quando un polpo si ferisce un arto, l’appendice può dividersi in due, dando al cefalopode un arto in più. Per molto tempo non si sapeva molto di quanto fosse funzionale questo nono arto o di come i polpi si abituino gradualmente a riutilizzare l’arto ferito. Ora, la prima osservazione a lungo termine di uno di questi animali in natura rivela che questo nuovo arto non solo funziona ma è capace di adattarsi per proteggersi e può specializzarsi per compiti complessi, persino pericolosi.
I ricercatori hanno utilizzato registrazioni video subacquee per osservare un giovane maschio di polpo comune (Octopus vulgaris) al largo dell’isola spagnola di Ibiza, che aveva riportato ferite a cinque arti, probabilmente durante uno scontro con un predatore. La maggior parte delle appendici dell’animale è ricresciuta normalmente, ma il suo braccio destro più anteriore si è diviso in due rami più piccoli.
Inizialmente, il polpo non usava questo arto per azioni “rischiose” come la cattura di una preda, preferendo invece piegarlo sotto il corpo o eseguire altri comportamenti non aggressivi. Per compensare questa possibile risposta post-traumatica al ricordo del dolore, un altro arto vicino si assumeva maggiori rischi.
L’adattabilità, affermano i ricercatori, sottolinea la flessibilità dei polpi: i loro arti possono reagire agli input sensoriali senza richiedere l’intervento del cervello, come se le appendici prendessero decisioni in maniera indipendente. Questo comportamento decentralizzato sembra estendersi anche alle braccia divise, che acquisiscono quindi nuove funzioni con il tempo e la guarigione.
La comprensione di questi adattamenti può fornire informazioni su come gli animali rispondono alle sfide fisiche e potrebbe persino ispirare nuovi progetti di robotica e protesi imitando le capacità di recupero degli arti dei polpi.
Per approfondire: MDPI