Riverbed di Olafur Eliasson: negoziare e riflettere la natura

Autore

Andrea Mattiello

Data

18 Aprile 2025

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18 Aprile 2025

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Si passeggia in riva a un ruscello, negoziando la traiettoria del percorso tra pendenze e rocce di diverse dimensioni. I passi imprimono forza alla ghiaia lì accumulatasi in tempi geologici. Calpestati, i sassi si spostano, si comprimono e si distanziano producendo un crepitio di suoni secchi di diverse intensità. Questi si sommano ai rumori prodotti dal fluire dell’acqua che accelera e decelera nelle anse del ruscello. L’aria lambisce le gambe. L’umidità è percepibile dove la pelle è scoperta. Le narici colgono gli odori di ghiaia bagnata, di pietre scivolose e di materia intrisa d’acqua. Gli occhi passano in rassegna i colori bruni e grigio-verdi delle pietre, e il nero petrolio del ruscello e delle rive che lo contornano; poi vedono i bianchi delle pareti delle gallerie e del soffitto a lastre retroilluminate che uniformemente rendono visibile tutta l’installazione.

Deve essere stata più o meno questa l’esperienza di Riverbed, un’installazione site-specific realizzata nel 2014 dall’artista danese-islandese Olafur Eliasson e per una delle tre sezioni della sua prima mostra al Louisiana Museum of Modern Art a Humlebæk in Danimarca. L’opera ricreava, nelle sale dell’ala meridionale del museo, un paesaggio roccioso islandese con al centro un ruscello che serpeggiava seguendo la pendenza realizzata utilizzando le diverse quote delle sale dell’edificio. Il paesaggio, ideato scientificamente da Eliasson come resa di un ambiente naturale, si mostrava negli spazi del Louisiana Museum come uno scenario naturalistico incastonato in una costruzione artificiale, pensato come percorso da esperire passeggiando e riflettendo tanto sulla storia e l’architettura del Museo, quanto sulla geografia culturale dell’artista1.

Olafur Eliasson, Riverbed, 2014 (Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, Denmark) 2014 Photo Anders Sune Berg 01

La prima riflessione rimanda infatti alla storia del museo. Nel catalogo della mostra si racconta come Knud W. Jensen, il fondatore del Museo, scelse dove costruirlo dopo aver scoperto, proprio durante una passeggiata, un giardino incolto su di un terreno degradante verso lo stretto di Øresund e nascosto dietro una casa centenaria e dilapidata2. Così, Eliasson con l’installazione Riverbed propone in primo luogo una passeggiata come opportunità per ripensare al Louisiana, in quanto edificio e in quanto istituzione, partendo dalla sua storia e dal suo contesto originario. Riverbed diventa un ri-pensamento relativo a quella passeggiata originaria che ha determinato la nascita del Museo, una riflessione agita fisicamente dai visitatori invitati a percorrere una rievocazione mimetica di un paesaggio naturale (in quel modo di essere naturale che solitamente riconosciamo ai giardini) che rimanda a quello esperito da Jensen. Passeggiare, ma anche sostare, in questo paesaggio ricreato, diventa quindi un’azione di natura performativa che riqualifica gli spazi del museo che accoglievano l’installazione3.

Olafur Eliasson, Riverbed, 2014 (Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, Denmark) 2014 Photo Anders Sune Berg 02

È lo stesso Eliasson che ci aiuta a comprendere il senso ultimo di questo tipo di azione e le riflessioni che è in grado di generare. In un’intervista più recente Eliasson racconta che il visitatore facendo esperienza di opere come Riverbed viene riconosciuto come soggetto a cui «viene data la responsabilità di essere coautore di quella particolare situazione […]. Riverbed […] è un buon esempio dell’approccio che ti consente di essere un soggetto. Era fondamentalmente un grande paesaggio interno inserito negli spazi bianchi della galleria di un museo di tipo moderno. Il paesaggio era lì, a sfidare l’istituzione e i suoi modi di ospitare l’arte. Potevi fare una passeggiata o sederti vicino all’acqua e guardare cosa stessero facendo gli altri visitatori. C’era un elemento di sperimentazione comportamentale in quanto non c’era una narrazione principale, dovevi decidere da solo4». Riverbed offriva quindi uno spazio mimetico e naturale in cui si produceva senso sia con l’azione, sia con la riflessione soggettiva, nella consapevolezza che «l’arte promuove una narrazione più soggettiva e co-autorevole con uno spettatore coinvolto»5. Ma questa riflessione non è la sola innescata da quest’opera di Eliasson.

Olafur Eliasson, Riverbed, 2014 (Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, Denmark) 2014 Photo Anders Sune Berg 03

L’identità geografica e culturale di Eliasson (artista di nazionalità danese) si rispecchia nell’installazione portando dentro al museo un paesaggio di natura che rimanda all’Islanda, isola d’origine dei suoi genitori e a cui fa spesso ritorno nella sua produzione artistica. Il paesaggio islandese, con la sua peculiare connotazione geologica, orografica e climatica, è per Eliasson costante fonte di riflessione. Negli anni l’artista l’ha raccontato con disegni, sculture, installazioni e con la macchina fotografica6.

I paesaggi islandesi trovavano posto nella pubblicazione Contact is content presentata per la mostra al Louisiana Museum nel 20147. Nella pubblicazione, così come nell’installazione Riverbed, viene offerto al lettore uno sguardo sul processo che porta Eliasson dall’ispirazione basata sull’esperienza visiva e fisica del paesaggio islandese, all’astrazione intellettuale e infine alla creazione artistica che si origina dai dati esperienziali del naturale esperito. La pubblicazione raccoglie sequenze fotografiche di ghiacciai, cascate, fiumi, vulcani e grotte islandesi, restituendo un mondo naturale reso come sequenze di immagini con paesaggi e dettagli naturalistici, a cui vengono intervallate immagini di opere di Eliasson in cui l’artista da conto delle ricerche che legano assieme il paesaggio rappresentato con la fisica, le scienze della terra, la biologia e lo studio dei fenomeni climatici8.

L’installazione Riverbed rimanda quindi alla pubblicazione Contact is content, e insieme rimandano al paesaggio islandese. Gli elementi dell’installazione che costituiscono la restituzione mimetica del ruscello islandese, le ghiaie, i sassi, il fondale scuro su cui scorre l’acqua, insieme all’orografia ondulata, la luce e climatizzazione ricreate con un approccio da diorama ambientale nelle gallerie del museo, sono combinati dall’artista, con la collaborazione dei curatori del Louisiana Museum, con l’intento di produrre un ritratto esperienziale del paesaggio islandese il più possibile aderente al carattere di unicità geografica, geologica e climatica dell’isola, che viene altresì ripreso nella pubblicazione.

L’unicità paesaggistica islandese è un fattore fondante il processo creativo di Eliasson. L’artista, infatti, lo riconosce tanto spiazzante, quanto essenziale elemento generativo della sua ricerca artistica. La peculiarità del paesaggio islandese favorisce per Eliasson un processo conoscitivo che cerca di dare conto del fatto che la natura in Islanda sembra essere di primo acchito familiare, ma presto la si scopre alquanto diversa. In un dialogo tra Eliasson e il direttore del Louisiana Museum, Poul Erik Tøjner si dice: «Tutti concordano che l’Islanda sia natura. Ma quando ci arrivi, la natura è diversa da come pensavi. Non ci sono davvero alberi, e il sole, il vento e il meteo sono diversi. Infine, ci sono alcuni posti sull’isola che sono davvero diversi da tutto ciò che conosci. […] La familiarità è sostituita da una sorta di rivalutazione di ciò che vedi. Inizi a dubitare della scala delle cose. Diventa improvvisamente difficile valutare quanto qualcosa è lontano, quanto è alta una montagna. Ti trovi così di fronte a qualcosa che ti fa pensare: ‘Cosa sto guardando qui?’ Improvvisamente non c’è più una relazione naturale con la natura. Stai lì a negoziare costantemente il mondo che ti circonda, e quella stessa negoziazione aumenta o intensifica la tua sensibilità verso qualcosa che non si fa sentire come in un paesaggio familiare. Il tempo che ci vuole per muoversi in questo paesaggio diventa tangibile, il semplice atto di muoversi attraverso il mondo, attraverso lo spazio, in contrapposizione al semplice stare fermi: queste sono cose di cui diventi consapevole nel paesaggio islandese9».

Per Eliasson negoziare lo spazio del paesaggio islandese, tanto in situ, quanto nello spazio museale dell’installazione Riverbed, spinge a rivalutare il concetto di natura connaturandosi come esperienza primigenia e generatrice sia per l’elaborazione di una comprensione del naturale, sia per la sua personale produzione artistica. Attraversare il paesaggio islandese, passeggiandovi, implica un voltarsi indietro, un riflettere, su ciò che ci appare prossimo e lontano, e su ciò che ci sembra natura e altro rispetto alla natura. Passeggiare attraverso Riverbed richiede poi di girarsi, di guardare il paesaggio ricreato con una nuova prospettiva, e facendo esperienza del paesaggio di natura islandese in un contesto innaturale, guardare noi stessi in quel paesaggio. In fondo un soggetto che osservi una realtà riflessa ritrova sempre sé stesso riflesso nell’atto di osservare. Riverbed assume così la dimensione del paesaggio interiore perché spinge il visitatore, nel momento in cui occupa lo spazio dell’installazione, a riflettere su sé stesso come ente agente e agito di quel paesaggio. L’esperienza dell’installazione Riverbed, in quanto esperienza di natura calibrata con arte e cura in uno spazio per l’arte (e in questo senso quest’opera di Eliasson si pone nella tradizione del genere del still life, in italiano natura morta), imprime una maggiore efficacia all’agentività della natura nei confronti del visitatore e del visitatore nei confronti della natura.

Quella di Eliasson è una forma altissima di ricerca artistica che va oltre il documentare, pratica importantissima nell’arte paesaggistica di ogni epoca e luogo, e concettualmente esplorata da molti artisti del secondo novecento che si sono cimentati con Land Art, Earthwork e site-specific art10. Eliasson con le sue riflessioni e la sua ricchissima e articolata produzione decennale, qui solo accennata, ci porta a ponderare sul nostro rapporto con la natura, lo spazio fisico in cui esistiamo in relazione al movimento e alle nostre capacità percettive del nostro corpo attraverso lo spazio. Riverbed caricandosi di senso nel momento dell’attraversamento o, come abbiamo fatto qui in apertura nell’ecfrasi che quell’attraversamento traduce, ci ricorda che la natura si fa esperienza concreta solo in relazione alla conoscenza che di questa elaboriamo. Elaborazione che diventa ancora più acuta e incisiva proprio in virtù dell’attraversamento del paesaggio naturale incastonato nell’architettura del Louisiana Museum, asettico white cube espositivo dove, come in laboratorio, si amplificano i dati esperienziali evidenziando i fattori di unicità di quel paesaggio.

Chi ha camminato sulle sponde di Riverbed di Eliasson ha in fondo partecipato di un processo di elaborazione di conoscenza collettiva dove i dati esperienziali legati al paesaggio di natura islandese, a cui l’installazione rimanda, assumono così una piena dimensione estetica. È grazie a opere e ricerche come questa, in cui la natura si presenta in forma di finzione scientificamente calibrata e mediata, che possiamo diventare più intimamente consapevoli e analiticamente partecipi del naturale.

Note

  1. O. Eliasson, Olafur Eliasson: Riverbed, Louisiana, Humlebæk, Louisiana Museum of Modern Art, 2014.
  2. O. Eliasson, cit. p.12.
  3. Sul tema della natura performative di Riverbed, si veda M. Thobo-Carlsen, Walking the Museum – Performing the Museum, in “The Senses & Society” 11, no. 2, 2016, pp. 136–57.
  4. A degree of functionalisation doesn’t immediately derail the cultural train – Olafur talks to Joanna Warsza, in Studio Olafur Eliasson, Studio Olafur Eliasson: Open House, TYT (Take Your Time), 7, Berlino, 2017, p. 241.
  5. A degree of functionalisation doesn’t immediately derail the cultural train – Olafur talks to Joanna Warsza, cit. p.241.
  6. Per una rassegna delle opere di Eliasson legate all’Islanda, si veda Iceland , in Studio Olafur Eliasson, https://olafureliasson.net/search/Iceland.
  7. O. Eliasson, Contact Is Content, Distanz Verlag, Berlino, 2014.
  8. Si veda: Contact Is Content • Publication, in Studio Olafur Eliasson, https://olafureliasson.net/publication/contact-is-content-2014/.
  9. O. Eliasson, Olafur Eliasson, cit., p.86.
  10. Per una rassegna della produzione artistica di Olafur Elíasson, si veda Your Uncertain Archive in Studio Olafur Eliasson, https://olafureliasson.net/.
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